In pensione con “Quota 100”? Non per i freelance
18 Gennaio 2019 Previdenza
Pur se in ritardo rispetto agli sbandierati tempi di marcia, entrerà presto in vigore uno dei provvedimenti annunciati con i più sonori squilli di tromba da parte del governo: la possibilità di raggiungere il requisito pensionistico con la cosiddetta “quota 100”, ossia con il raggiungimento di almeno 62 anni di età anagrafica e almeno 38 anni di anzianità contributiva (62+38=100).
La misura, negli intenti governativi, vuole consentire un accesso preferenziale alla pensione per coloro che volessero uscire dal mondo del lavoro prima del raggiungimento delle soglie utili per la pensione di vecchiaia (67 anni di età, nel 2019) e, al contempo, “liberare” più posti di lavoro per persone più giovani.
Tutto bene, quindi? Non proprio!
Al di là delle considerazioni sui costi a carico della fiscalità generale stanziati per questa iniziativa, dobbiamo appurare che “quota 100” non sarà un’opzione disponibile per i professionisti freelance!
Perché non sarà disponibile?
Perché, nell’impostazione del provvedimento, il governo non è intervenuto a rimuovere alcune delle rigidità che caratterizzano la Gestione Separata dell’INPS, cui versano i propri contributi i professionisti freelance. Tra queste rigidità vi è quella di non poter effettuare contribuzione volontaria per coprire anni di lavoro prestato precedenti al 1996, ossia antecedenti l’istituzione della Gestione Separata stessa.
Questa rigidità implica che una/un professionista freelance, che avesse iniziato la propria attività lavorativa prima del 1996, non riuscirà a raggiungere oggi il requisito minimo dei 38 anni di anzianità contributiva per beneficiare di “quota 100”; le uniche possibilità di farlo sarebbero legate alla possibilità di cumulare i contributi versati in eventuali altre attività lavorative inquadrate secondo i canoni del lavoro dipendente o autonomo (artigiano, commerciale, agricolo autonomo) svolte prima di tale data.
Il riscatto degli anni di laurea: l’ennesima occasione persa?
Un altro aspetto che ci saremmo aspettati venisse affrontato con maggiore attenzione dal legislatore in questa fase è quello relativo al riscatto contributivo degli anni di laurea. Si tratta di un’annosa vicenda che però, nonostante gli annunci, non trova al momento un ragionevole sviluppo.
Se si vuole davvero incentivare la crescita delle competenze nel nostro paese e riconoscere alla formazione un ruolo chiave nell’auspicata crescita di produttività del lavoro (i cui dati ci relegano in fondo alla classifica europea), uno degli aspetti da incentivare riguarda, appunto, quello del riscatto contributivo degli anni di laurea.
La previsione normativa riguardante il riscatto degli anni di laurea prevista nel decreto legge presentato giovedì 17 gennaio non incentiva affatto questa opzione poiché, a fronte di eventuali versamenti finalizzati al riconoscimento di anni di contribuzione, non vi sarebbe un corrispondente incremento del montante contributivo. Insomma, una sorta di cambiale a vuoto con la quale “comprare” anni di anzianità contributiva: di sicuro non uno strumento molto allettante per i giovani (e meno giovani) laureati.
La possibilità, infine, di vedersi riconoscere anni di contribuzione volontaria e di riscatto della laurea consentirebbe a molti freelance di evitare l’iniquità di dover lavorare fino ad oltre i 70 anni di età per raggiungere i requisiti richiesti dalla pensione di vecchiaia.
Per il mondo freelance, a meno di correzioni ai provvedimenti attualmente in vigore, più che di “quota 100” si dovrebbe infatti parlare di “quota 110”, “quota 115”…
Interventi correttivi sono dunque attesi e necessari.