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Il PD e la Riforma del Lavoro (anche autonomo)

28 Aprile 2010 Diritti, Lavoro

Il PD in questi mesi sta discutendo al suo interno di Riforma del Lavoro e di Lavoro autonomo. Siamo molto lieti di osservare che il Senatore Treu ha accolto molte nostre osservazioni alla Proposta di Legge cosiddetta “Statuto dei lavori autonomi“.

Compare infatti sul quotidiano Europa del 23 aprile, in un suo intervento dal titolo “Più tutele per tutti“,  un’autocritica che ricorda come la progettazione partecipata sia una formula importante di partecipazione al processo democratico. Si legge nell’articolo:

I problemi e le incertezze dei lavoratori autonomi e dei giovani professionisti non sono eguali a quelli dei dipendenti, neppure a quelli dei collaboratori a progetto. Anche le loro aspirazioni sono diverse. Il PD deve parlare e pensare a tutti, non solo al lavoro dipendente, come ha fatto finora, con il risultato di non farsi neppure ascoltare dai lavoratori autonomi (e dalle imprese) e di perdere gran parte dei lavoratori tradizionali (al Nord votano più Lega che PD). Il mondo del lavoro autonomo (le partite I.V.A., le micro imprese e professionisti non tutelati dagli ordini) ha bisogno anzitutto di riconoscimento e di essere valutato per la sua importanza nell’economia e nella società. Poi chiede di essere liberato dagli ostacoli che ne frenano lo sviluppo e di essere sostenuto nella necessità di qualificarsi e di crescere

E a seguire, si racconta che la proposta è stata redatta

[…] dopo aver consultato i rappresentanti di questo mondo [tra cui ACTA n.d.r.] e vuole dare risposte a queste esigenze con misure diverse: facilitazioni, anche fiscali, all’avvio di attività nuove, specie di giovani; detassazione delle spese di formazione e di aggiornamento; sostegni finanziari e servizi sul mercato per riqualificarsi e migliorare le proprie attrezzature; riduzione progressiva dell’Irap, aiuti nei momenti di crisi (una forma di “ammortizzatori” adatti a loro).

Rispetto alla categoria dei lavoratori economicamente dipendenti, si sottolinea che

hanno esigenze di protezione, simili anche se non eguali a quelle dei dipendenti. Nel caso di crisi dei committenti devono avere accesso agli stessi ammortizzatori universali che noi proponiamo per tutti i dipendenti. Ma molti di questi si sentono autonomi e vorrebbero essere aiutati a diventarlo. Per questo è sbagliato omologarli in toto ai dipendenti, come chiede una parte della sinistra. Una necessità urgente è di smascherare i falsi lavoratori autonomi, le false partite Iva, le false associazioni in partecipazione e i collaboratori, che in realtà lavorano come dipendenti. In Italia sono in numero abnorme soprattutto perché costano meno, in termini di compenso e di contributi sociali. Così sono doppiamente sfruttati. Noi proponiamo di armonizzare i costi contributivi di tutte le forme di lavoro per evitare queste distorsioni e per garantire a tutti una adeguata pensione futura [ci auguriamo che non abbiano sempre come riferimento il 33%!!!!, ndr]. Queste differenze fra le tre aree di lavori, autonomi, economicamente dipendenti e subordinati, vanno riconosciute. Ma proprio perché non diventino fonte di diseguaglianze e di precariato occorre costruire una base comune di tutele e di opportunità nel rapporto e nel mercato del lavoro che dia sicurezza e prospettive a tutti. Noi proponiamo che questa base comune comprenda diverse misure: un salario minimo per lavoratori dipendenti, contratti a progetto e partite IVA, stage pagati (i bassi salari sono causa di povertà e di diseguaglianze inaccettabili); contributi sociali comuni a tutti i lavoratori per garantire una pensione comune (da sostenere con una base fiscalizzata) e per smascherare i falsi co.co.co. e partite IVA; tutele di base in caso di maternità, malattie, infortuni; diritti individuali e collettivi comuni; ammortizzatori sociali universali (tutti i lavoratori, anche autonomi e a tempo indeterminato sono a rischio di precarietà), accompagnati da politiche attive e da formazione utile ad aggiornare le competenze e reimpiegare i lavoratori [qualcosa di meglio rispetto alla formazione attualmente fruibile con voucher, please]. Tale base di diritti può dare contenuti a una vera cittadinanza sociale per tutti i lavoratori. E’ importante perché può permettere maggiore libertà di scelta ai lavoratori al di sopra degli standard minimi: quindi una flessibilità positiva.

Di diverso avviso Pietro Ichino che, sempre su Europa, il 24 aprile, con un intervento dal tirolo  “Lavoro, lo status quo è indifendibile” ripropone il Contratto Unico per tutto il lavoro dipendente, allargando “il campo di applicazione del diritto del lavoro a tutta l’area della dipendenza economica dall’azienda, che è assai più ampia rispetto a quella del lavoro subordinato”, dove con l’espressione “economicamente dipendente” Pietro Ichino intende quello

[…] prestato continuativamente per un’unica azienda, quando il lavoratore ne trae complessivamente più di due terzi del proprio reddito di lavoro complessivo, e il reddito stesso non supera i 40.000 euro annui (la soglia è ridotta a 30.000 euro nel progetto Nerozzi-Bobba). Una definizione discutibile e perfettibile, certo, […] ma essa ha il pregio di ricomprendere tutte le posizioni di falso lavoro libero-professionale con partita Iva, consentendone l’individuazione diretta anche soltanto sulla base dei tabulati dell’Inps o dell’erario, senza bisogno di sofisticate disquisizioni giuridiche.

In questo caso non è previsto alcun intervento nell’area che, per differenza, è considerata realmente autonoma.

ACTA

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