Mentre si avvertono i rombi di tuono che preannunciano il possibile e ulteriore
innalzamento della contribuzione INPS Gestione Separata, sono in molti quelli che si preoccupano di cercare vie di uscita dalla situazione, magari riconfigurando il proprio rapporto fiscale con lo Stato. Tra le diverse ipotesi ce n’è una di sicuro interesse e che vi propongo, principalmente per
mettere a nudo le contraddizioni della legislazione italiana, che sembra proprio non avere la dovuta attenzione per figure professionali come le nostre.
Lo sapevate che facendo finta di avere un socio possiamo pagare meno tasse e contributi? Chi lavora in maniera trasparente e indipendente non credo abbia bisogno di queste soluzioni, ma è vero anche che occorre conoscere tutti i buchi neri del sistema, per capire quali rivendicazioni pubbliche potremmo avanzare per rendere più equo il sistema fiscale e contributivo per le Partite IVA.
Apriamo tutti una S.a.s.!
Vi lancio dunque questa provocazione: diventiamo tutti (a tutti gli effetti) imprese! Non lo siamo di certo, ma nonstante questo siamo considerati spesso come tali. E allora perché non simularlo? Ci troviamo un socio (anche moglie o fratello vanno bene) e fondiamo una S.a.s., ovvero una Società in accomandita semplice. Questa particolare forma societaria prevede che per i soci accomandanti, che non offrono prestazioni all’impresa, non siano previsti versamenti contributivi INPS e INAIL, il che consentirebbe di accantonare discreti risparmi contributivi, a parità di reddito, anche tenendo presente che l’aliquota previdenziale si attesterebbe al 20% (contributo artigiani e commercianti).
Ovviamente la scelta di impresa comporterebbe inequivocabilmente l’assoggettamento a tassazione IRAP, ma quale differenza fa rispetto alla condizione di attuale ambiguità fiscale che obbliga i professionisti a subire questo prelievo?
A parte le necessità di passare dal notaio per l’atto costitutivo, con il corollario di spese che ne deriva, non ci sarebbero poi grandi differenze rispetto alla condizione di professionista, nemmeno in termini di tenuta della contabilità. Ecco un esempio di quello che potrebbe essere uno scenario di “risparmio” a parità di fatturato.
Mi sia concessa qualche approssimazione. Non consideriamo (per approntare un ragionamento di massima) le deduzioni per i costi e facciamo un’ipotesi di fatturato pari a 30.000 euro. Calcoliamo oneri fiscali e contributivi per i due scenari in cui il professionista è iscritto alla Gestione Separata oppure sia socio al 50% in una società S.a.s.
Per il libero professionista iscritto alla gestione separata abbiamo:
- INPS (26,72% di 30.000 euro): circa 8.100 euro;
- IRAP (4% di 30.000-8100=21.900 euro): circa 900 euro;
- IRPEF (23% su 15.000 euro + 27% di 21.900-15000=6900 euro): 3450 + 1850 = circa 5.300 euro;
TOTALE PRELIEVI: circa 14.300 euro.
Società SAS con capitale al 50% tra due soci:
- IRAP (4% di 30.000 euro): 1.200 euro;
Socio accomandante:
- IRPEF (23% di 15.000 euro): 3.450 euro (ipotizzando 0 euro da altri redditi, altrimenti l’aliquota sale al 27% per redditi che eccedano i 15.000 euro, 38% sopra 28.000 euro e così via).
Socio accomandatario:
- INPS (20% di 15.000 euro): 3.000 euro;
- IRPEF (23% di 12.000 euro): 2.760 euro;
TOTALE PRELIEVI: circa 10.400 euro.
Esisterebbe dunque un risparmio di circa 4.000 euro annui, pari a circa il 13% del fatturato. Si tratta
di un risparmio in gran parte previdenziale, ma anche fiscale se si considera che i due soci S.a.s. godono di un’aliquota IRPEF al 23% in virtù della spartizione del reddito. Ovviamente questo comporterebbe, in uno scenario di previdenza contributiva, un minore alimentazione del proprio montante pensionistico, ma è evidente che il risparmio conseguito potrebbe essere utilizzato proprio per accantonamenti di previdenza complementare, peraltro con la possibilità di garantire una migliore rivalutazione del proprio montante rispetto a quello in Gestione Separata o eventualmente di godere di un serbatoio di liquidità a cui ricorrere in periodi di difficoltà professionale o malattia (una sorta di cassa integrazione fai da te).
Che ne dite, sarà il caso di cercarci un socio? 🙂
15 Commenti
Manuela Bartoli
ReplyInteressante esempio. Peccato però che i professionisti che operano con la pubblica amministrazione spesso, come me, non possano operare come società ma solo come persone fisiche (formatori) in virtù della prescrizione relativa alla legge sugli appalti (delega massima del 30% dell’importo di progetto)… Quindi nel mio caso non sarebbe possibile. Grazie comunque e cerchiamo ancora, qualcosa dovremo pur fare, anche considerando gli importi della futura pensione…
Petra Haag
ReplyGrazie Federico,
è una possibilità che ho preso in considerazione più volte, ma appunto, bisogna trovare un socio accomandante con reddito inesistente.
Grazie a questo spunto ci penso nuovamente ….
Elsa Bettella
ReplyTrovo che sia un’idea eccellente per chi non ha vincoli di prestazione come persona fisica e non giuridica (come nel caso di Manuela e come nel mio); credo non sia difficile trovare il “socio” ed è un suggerimento che mi sentirei di dare a tutti i giovani. Grazie Federico
Luca
Replycredo che dovremmo seguire la via principale di una lotta contro la folle tassazione verso i lavoratori/trici “autonomi” almeno questo da ACTA mi aspetto.
i trucchetti ce li dira’ il commercialista ma anche in questo caso noi in quanto soggetti debolissimi non ne potremo approfittare perche’ saremmo sicuramente poi vessati da controlli della Finanza ecc.
se siamo interessati ad ACTA è perché siamo “costretti” a fare le parcelle e non possiamo fare nero, non possiamo buttare tutto e aprire una nuova società ogni anno
siamo lavoratori non furbetti e in questo paese, evidentemente, soccombenti
Manuel N.
ReplyEra già da un po’ di tempo che riflettevo su questa ipotesi. Infatti volevo parlarne col commercialista. Questo articolo ha rinnovato il mio interesse!
Catherine
ReplyHo chiesto al mio commercialista di leggere l’articolo e dirmi cosa ne pensa. Ecco la sua risposta:
Purtroppo non è vero.
1 La costituzione di una impresa presso la CCIAA la cui attività, sia commerciale o nel settore di servizi alle Imprese (Terziario) nella quale rientrerebbe la tua attività, prevede obbligatoriamente ed automaticamente (è direttamente la CCIAA che trasmette l’iscrizione all’INPS) l’iscrizione per il o i soci accomandatari nella gestione INPS Commercianti con la seguente contribuzione:
2.860,82 contributi fissi annuali indipendentemente dall’utile conseguito.
+ il 20,09% sulla parte di Utile eccedente 14.240,00
Le uniche attività che si sottraggono a questo obbligo sono le imprese aventi attività industriale.
Fabio
ReplyCatherine, consiglierei al tuo commercialista di leggere meglio. Sono i soci ACCOMANDANTI ad essere esonerati dall’INPS.
Nulla da dire invece sulla questione dei contributi fissi e del minimale di 14.240 eur.
Dr. Luca Tartufari
ReplyIo sono dell’idea che dovremmo “associarci” nel senso fattivo di raccogliere firme, farò io una petizione online tramite facebook se trovo riscontro su questo Vostro sito al mio articolo; la petizione dovrebbe vertere sul riconoscimento della forma aziendale della ditta individuale con la clausola che, rimanendo nel regime dei minimi (circa 30.000€/anno lordi), ci venga concesso il riconoscimento della Situazione Patrimoniale Perfetta: (spiego per chi non sapesse cosa sia) questo ci consentirebbe di tutelarci i quanto come ditta individuale o S.A.S. o in generale le società di persone il guaio è che in caso di contenzioso con causa persa in tribunale, noi rispondiamo col patrimonio personale, cosa che con le società di capitali (SRL e SPA) non accade in quanto rispondono solo per il capitale sociale (SRL 10.000 euro, le SPA 120.000 euro). Inoltre aprire una “SRL a socio unico” consta di un investimento non irrilevante: 10.000 euro il capitale sociale + spese notaio di solito 2.500 euro circa + varie ed eventuali (inps, inal, ecc.) arriviamo a quasi 15.000 euro, quindi senza questi soldi non si può nemmeno iniziare a lavorare in modo “tutelato” ma solo esponendosi come Ditte Individuali che se per qualche motivo va male ci tocca vendere l’auto e ipotecare la casa, tanto per fare due esempi…!!!
Aspetto Vostri numerosi riscontri!! Poi partirò con la petizione.
PS: mi trovate su FB ma citate il riferimento all’ACTA altrimenti non Vi aggiungo al mio profilo!
Grazie per la cortese attenzione e scusate se mi sono dilungato.
Dr. Luca Tartufari
mauro
ReplyCaro Federico, cosa mi puoi dire sul mio caso??
Sono in pensione dal 1992 (anzianita’ INPS)e la mia pensione mi consente di vivere discretamente bene. Ora, per puro caso, nel 1994 ho aperto una SAS di cui sono accomandatario e questo lavoro mi aiuta a passare un po di tempo.
E’ giusto che io sia costretto a pagare ancora 2 pensioni se quanto prendo di pensione dal 1992 e bastevole alle necessità mie e di mia moglie? Al sottoscritto non interessa avere la RIVALUTAZIONE quando cessero’ di fare l’accomandatario.Capirei la contribuzione se devo cotruirmi UN VITALIZIO, ma questo non e’ ilo mio caso.Perchè devo essere costretto?
Federico Fischanger
ReplyMauro, grazie per essere intervenuto. Ovviamente l’articolo non vuole essere un attacco pregiudiziale alla forma societaria sas di per se stessa. Il nostro scopo è quello di mettere in evidenza alcuni “buchi neri” e contraddizioni del sistema contributivo e fiscale del nostro Paese.
Erika
ReplyGentile Mauro, che cosa suggerisce, di versare la sua contribuzione a un fondo di solidarietà per chi come me neolaureata che lavora con partita iva non vedrà mai la pensione o di toglierle anche questa parte di contributi perché il mio costo del lavoro sia più alto del suo e io sia definitivamente fuori mercato? Vede in quale pessima situazione ci troviamo noi giovani, a poter fare solo domande sbagliate?
mauro
ReplyGentile Erika,
certamente la sua attuale situazione e anche in prospettiva, non è “invidiabile”, ma perchè devo sentirmi in colpa? Ho 74 anni di cui 52 di contribuzione inps ininterrotta e contunuo a lavorare.
Il sottoscritto (finito il servizio militare di leva), ha preso la valigia ed è andato a lavorare nel nord ITALIA (operaio di 3° categoria)e assunto dopo 3 mesi di prova. I soldi erano pochi ma il fatto che iniziavo a pagarmi la pensione mi confortava.I primi 2 anni sono stati molto duri e volevo “mollare tutto” e ritornare al mio paesello ma una considerazione mi convinse a restare : i miei figli un domani adulti quale avvenire? Si obbitterà : i tempi sono cambiati, ma questo ritornello lo sentivo raccontare anche da mio padre. Sicuramente sono stato un uomo fortunato, ma le assicuro che nessuno nella mia ormai lunga vita, mi ha mai regalato niente.Cordialità.
Max
ReplyLo spunto è interessante ma a mio parere fuorviante: a parte la difficoltà di trovare un socio accomandatario a reddito nullo che si presti alla bisogna (che si fidi e di cui ci si possa fidare…), la cosa mi pare il solito sotterfugio “all’italiana”.
Il problema delle partite IVA è che l’attuale regime impositivo è anomalo, vessatorio e sproporzionato, ma non lo si risolve coi trucchetti contabili: la via maestra è quella di arrivare a contare di più a livello politico in modo tale da obbligare i legislatori a varare riforme realistiche e ragionevoli.
Lo dico chiaramente, evasori ed evasione non devono essere più tollerati nè giustificati in alcun modo, ma parallelamente si deve esigere un sistema impositivo realistico e sostenibile.
Comunque sia, un bravo a chi di Acta si sbatte per inventarsi delle soluzioni, anche se magari poco ortodosse.
Questo dibattito è già un piccolo e costruttivo inizio.
Un buon lavoro a tutti.
Cristina
ReplyHo letto questo articolo molto interessante, a un anno e mezzo di distanza da quando è stato scritto. Sono una giornalista e sono a caccia di “paradossi italiani” in materia di fisco e previdenza. Mi chiedevo se una simile analisi sia ancora attuale e se, eventualmente, sia possibile mettersi in contatto con l’autore. Lavoro per un quotidiano online. lascio il mio indirizzo mail (cristina.malaguti@ilvostro.it)
Grazie
Cristina
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