Volete che ACTA sia un'associazione di rappresentanza o soltanto un think tank?
4 Febbraio 2011 Lavoro, News, Vita da freelance
ACTA è nata nel luglio 2004 come “associazione di rappresentanza” attraverso la firma, davanti al notaio, di un gruppo di venti persone (dentro il quale anche chi scrive ebbe l’onore di trovarsi), che includeva formatori, ricercatori e consulenti. Il famoso “terziario avanzato”. Lo scopo era di rappresentare il popolo che non c’era, o meglio che c’era ma non era visibile e che non era altrimenti rappresentato. Una categoria di cittadini lavoratori che aveva molti doveri, pochi diritti, nessuna certezza e nessuna tutela. Un popolo che andava crescendo per numero e per varietà di mestieri.
Sono passati più di sei anni e da allora ACTA ha svolto, attraverso il lavoro volontario dei suoi soci, una grande opera di informazione e sensibilizzazione sia presso il “suo” popolo sia verso le istituzioni e l’opinione pubblica. La prova? I media riferiscono di noi continuamente: radio, tv, giornali nazionali ci hanno dedicato e continuano a darci grande attenzione. Forse perché di cose ne sono state fatte tante e bene, ma soprattutto perché ACTA è considerata un think tank del lavoro autonomo, un pensatoio moderno, da parte non soltanto dei giornalisti specializzati, ma anche dei sindacati e dei legislatori che la interpellano quando devono scrivere qualcosa di serio e di realmente nuovo. Questo è il frutto di un lavoro infaticabile di riflessione, approfondimento, comparazione svolto costantemente all’interno di ACTA.
Il “Manifesto dei lavoratori autonomi di seconda generazione” e la rappresentazione teatrale “Lo Stato del Quinto Stato” sono due strumenti per tutti per comprendere la modernità e la libertà di pensiero di ACTA. Ma se dovessimo rimanere soltanto un “pensatoio” non avremmo raggiunto lo scopo per cui siamo nati e ci siamo sviluppati: la rappresentanza. Oggi, dobbiamo essere molto, ma molto più numerosi nell’associazione per contare, per fare pressione, per spingere al cambiamento.
Ci vuole un’iscrizione di massa perché tutti, là fuori, si rendano conto che ci siamo e siamo tanti e che se vogliono il nostro voto (che è quello che farà la differenza alle prossime elezioni) devono darci la garanzia di avere capito e volere sanare le profonde ingiustizie, le diseguaglianze normative, fiscali, previdenziali che ci riguardano. Se non saremo un grande gruppo nel giro di breve tempo – e questo è il momento propizio – rischiamo non dico di scomparire, ma di rimanere un think tank.
E’ questo ciò che vogliamo? Se vogliamo cogliere l’attimo, organizzare altri eventi, avere una segreteria stabile e retribuire un esperto per un’azione di ricerca fondi e altre attività indispensabili per la nostra sopravvivenza, è necessario che la bassa quota di iscrizione possa moltiplicarsi per 1.000 o 2.000 iscrizioni. Coraggio!
Elsa Bettella