Bologna Backstage
La troupe composta da actori, regista, tecnici audio e video si muove di buon mattino da Milano dentro a un torpedone nero a finestrini oscurati, degno di un vero blitz. Lo spettacolo “Lo stato del quinto stato” è previsto alle nove di sera ma l’idea è di arrivare a Bologna presto, in modo tale che ci sia tutto il tempo per studiare lo spazio a disposizione, stabilire la scenografia, provare le musiche e le immagini e tentare di recitare in trasferta e all’aperto. Il cortile interno di via Pietralata, quartiere Saragozza, si presta alla perfezione con le sue strane scale metalliche esterne, qualche siepe sparsa sotto il muretto e alcune panchine qua e là. Pensiamo a chissà quanta gente, dopo cena, quando quelle case erano abitazioni, si sarà seduta al fresco a raccontarsi della giornata e del lavoro e dei figli e delle speranze per il futuro. Anche noi pensiamo al futuro, prossimo e remoto. Di lavoro e di relazione.
Intanto, mentre con allegro vociare depositiamo materiali e borse, si apre di scatto una persiana verde da una finestra interna a quel quadrilatero di case, che oggi ospita uffici comunali e varie associazioni, e una bella signora bruna ci intima di non fare troppo baccano e di ricordare di spegnere le luci e lasciare pulito, la sera. Non capiamo se stia scherzando, ma quando scende per andarsene dall’ufficio, ci squadra e con aria sorniona continua i suoi commenti dicendoci che sembriamo proprio un gruppo di ragazzetti travestiti da adulti. La rassicuro sulla mia adultità e lei, guardandomi da sopra gli occhiali da sole e squadrandomi mi suggerisce di esercitarmi meglio a fare la parte dell’adulta perché sembro anch’io una scolaretta in vacanza. E’ una simpatica impertinente e forse ha ragione lei.
Passiamo una giornata tra chiacchiere, confidenze, prove, lavoro al cellulare, gare di memoria calcistica, musiche, discorsi sul lavoro e su Acta e la sera, dopo un breve rinvio causa pioggia, “Lo stato del quinto stato” va di nuovo in scena e ci coinvolge e ci mescola al gruppo di spettatori interessati e attenti che, alla fine della performance e dopo la conclusione di Sergio Bologna, da il via a una serie di interventi a catena. Solleticata dallo spettacolo la memoria genetica dei presenti capta i brusii di chi viveva in queste case e popolava quel cortile nelle sere d’estate e non so cosa succeda ma anche noi actori sentiamo il bisogno di raccontarci e parlare di lavoro e dire del nostro lavoro e di cosa ci facciamo lì e perché stiamo dentro ad Acta, qual è il senso della nostra partecipazione e il valore percepito dell’associazione. Insomma le nostre sono testimonianze che si susseguono a catena, spontanee, sorprendenti, coraggiose. La serata termina ben dopo le 23, con un applauso corale. Un applauso a noi: da lavoratori a lavoratori da cittadini a cittadini, da persone a persone, come per dare corpo a quanto recita il nostro manifesto “….sviluppare i rapporti di prossimità come rapporti fisici tra persone che si guardano negli occhi, si stanno ad ascoltare e riscoprono la grande civiltà del convivium”. Stavolta il menù non merita cenno: troppo tardi per una cena e troppo frugale la frisella tanto per riempire un po’ di languore. Ripartiamo col torpedone nero del blitz, sotto una pioggia battente, stanchi e straniti. Chissà forse quel languore di prima era solo contentezza.
4 Commenti
ugo
ReplyA leggere le parole di Elsa, vedere le vostre espressioni, respirare atmosfere bolognesi, mi vien da dire … e corre corre la locomotIVA!
giacomo mason
ReplyBravi!!!
Samanta
ReplyMa quanto siamo belli?!? Grazie Elsa! Grazie a tutti. ACTA ci sta portando sempre più lontano, con successo e divertimento, e noi stiamo portando ACTA sempre più in alto. Continuiamo così.