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Cassazione: un lavoratore autonomo escluso dagli studi di settore

26 Novembre 2011 Fisco, News

Con ordinanza n. 21856 del 20 ottobre 2011 la Corte di Cassazione ha confermato il principio sostenuto dalla sentenza n. 26635/2009 delle Sezioni Unite della Cassazione in base al quale, in sede di contraddittorio, il contribuente ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione del contribuente stesso dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame; mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. Secondo il principio in parola, inoltre, l’esito del contraddittorio non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici.

Il caso.

Un lavoratore autonomo aveva proposto ricorso contro la sentenza della commissione tributaria regionale della Toscana che, confermando la sentenza di primo grado con la quale era stato respinto il ricorso del contribuente contro un accertamento IVA, IRPEF ed IRAP fondato sugli studi di settore, aveva affermato che, gravando sul contribuente stesso l’onere di superare la presunzione di maggiori ricavi, il riferimento al limitato numero di clienti e la conseguente affermazione circa la fatturazione per intero di tutte le prestazioni eseguite non poteva essere considerata idonea a dimostrare un andamento economico diverso da quello presunto attraverso l’applicazione, appunto, degli studi di settore. La Suprema Corte ha accolto il ricorso del lavoratore autonomo, censurando l’operato del giudice di merito che non aveva fatto buon regolamento al principio sopra menzionato non avendo compiuto alcuna valutazione della controprova offerta dal contribuente, della quale aveva assiomaticamente affermato: “non può essere considerata idonea a dimostrare….”, mentre il lavoratore autonomo aveva, come si è detto, dimostrato non soltanto di avere pochi clienti e di non poter, quindi, rientrare nel range previsto degli studi di settore, ma anche di avere fatturato tutte le prestazioni eseguite.

Mario Panzeri

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di Mario Panzeri tempo di lettura: 2 min
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