Caro Ministro, noi ci siamo. Ci ascolti
28 Marzo 2012 Lavoro, Vita da freelance
Apprezziamo l’intenzione del Ministro Fornero a voler approfondire il tema del lavoro professionale con partita iva per contenere gli abusi e al contempo valorizzare il lavoro autonomo. Il ricorso all’uso forzato delle partite iva è un fattore reale. Secondo recenti stime la sua incidenza é al 15%, una percentuale che potrebbe aumentare nel momento in cui si restringeranno le possibilità di abuso di contratti di collaborazione.
E’ quindi corretto prevedere, entro la riforma del mercato del lavoro, il contrasto anche agli abusi dell’uso della partita iva. Ci preme però sottolineare alcuni aspetti che derivano da una riflessione che dura da anni e dall’analisi delle nostre esperienze.
Un intervento così drastico come quello che si prospetta nel progetto di riforma (che prevede l’utilizzo anche disgiunto di criteri sulla monocommittenza, la continuità di 6 mesi della commessa e l’uso della sede del committente) rischia di distruggere una grossa parte del lavoro autonomo “vero”, senza eliminare quello “finto”.
Molte delle nostre professioni, infatti, contemplano la continuità della commessa anche per più anni (intervenendo su progetti complessi attuati dal cliente), inoltre un cliente può risultare economicamente prevalente perché, soprattutto con la grave crisi che stiamo attraversando, sono stati persi gli altri clienti.
In sintesi, la variabilità insita nel lavoro autonomo potrebbe rientrare nella lettura restrittiva dei parametri utilizzati per scovare il falso lavoro autonomo. Purtroppo non è facile individuare criteri semplici che distinguano vere e false partite iva. La realtà non è facilmente scomponibile in bianco e nero, perché esiste una vasta gamma di grigi data dal sovrapporsi di più condizioni.
La partita iva non è l’ultima opzione possibile per chi vuole cercare una flessibilità facile e a basso costo. Esistono altre alternative: l’apertura forzata di una ditta individuale, il ricorso a società cooperative (una delle forme più brutali di sfruttamento, ma registrate nelle statistiche come lavoro a tempo indeterminato), o addirittura il lavoro nero, ove possibile.
Pertanto, intervenire nella direzione di contrasto del falso, in maniera poco consapevole delle reali modalità di lavoro, rischia di causare la perdita del lavoro per moltissimi lavoratori a Partita IVA, anche di coloro che hanno scelto di lavorare in autonomia, spingendo alla ricerca di un’alternativa che alla fine risulterebbe più onerosa da un lato e meno tutelata dall’altro.
Riteniamo sia opportuno un intervento che analizzi le tipologie di professionisti e i settori di attività per individuare di volta in volta le soluzioni più idonee per prevenire e per controllare gli abusi. Se ad esempio consideriamo un neolaureato alla prima esperienza lavorativa che lavora per un solo committente è molto probabile che l’apertura di una partita iva sia frutto di un’imposizione, perché difficilmente il neolaureato avrà sviluppato competenze sufficienti ad esercitare la propria attività in maniera autonoma. Si potrebbero definire alcuni passaggi per controllare l’apertura della partita iva, il suo successivo utilizzo e azioni di ispezione nei casi più dubbi.
Pensiamo inoltre che le politiche d’intervento non possano essere solo coercitive, ma debbano prevedere un mix di incentivi collegati alla leva fiscale, come suggeriamo in una proposta da noi elaborata e su cui saremmo lieti di confrontarci con chi sta lavorando a questa parte della riforma.
4 Commenti
Alessio
ReplyE’ inoltre da far notare che il criterio della “postazione presso cliente” è assurdo, perlomeno nel mondo del software, dove il cliente potrebbe disporre di (spesso costosissime) licenze per programmi specifici o server di sviluppo non accessibili dall’esterno; perché l’autonomo dovrebbe caricarsi l’onere di procurarsi una copia dell’infrastruttura hardware/sofware che il cliente mi mette a disposizione?
perché se qualcuno si comporta in maniera scorretta devono pagare tutti?
perché spezzare ancora le gambe a chi lavora nell’informatica, nell’IT e nel terziario avanzato? L’Italia non è forse già abbastanza indietro?
Milo
ReplyApprezzo moltissimo il lavoro che ACTA sta facendo in un momento cosi’ delicato per una categoria poco rappresentata come la nostra. Pero’, se posso continuare sulla falsariga di quello che sto sostenendo da diversi giorni in questo blog, stiamo tutti ESAGERANDO: forse in preda ad un eccessivo panico non totalmente giustificato, ma che sta aumentando giorno per giorno, anche a causa di una colpevole mancanza di parole rassicuranti sull’interpretazione della normativa da parte dei politici e dei giuslavoristi.
Confesso che anch’ìo, da diversi mesi, seguo la vicenda con notevole timore, prima sulle proposte Ichino e Nerozzi, poi sull’effettiva proposta dal Ministro Fornero, ma ritengo di aver sempre sbagliato la prospettiva con la quale ho letto come colpevolizzanti per il lavoratore i parametri di presuntivita’.
Nel senso che a prima vista potrebbero sembrare parametri volti a regolamentare come NOI lavoratori autonomi dobbiamo fare il nostro lavoro, ovvero quali siano i confini entro i quali possiamo essere considerati tali, ma NON e’ certamente cosi’!
Ma vi sembra che una norma del genere possa costringervi a rifiutare lavoro da un ‘buon’ cliente, per farvi fare un salto nel vuoto, a cercare altri committenti (a patto di trovarli con la crisi che c’e’…) che magari neanche siete sicuri che vi pagano? Ma vi sembra possibile introdurre una legge del genere senza cambiare non solo il Cod. Civile, ma anche la Costituzione?
Se volevano colpire la monocommittenza, nel senso del far desistere il lavoratore autonomo da intraprendere come ritiene meglio per lui, sarebbero dovuti intervenire sul Cod. Civile, dall’Art. 2222 (in particolare), al 2228 (se autonomi non ordinistici), oppure dal 2229 in poi (per gli ordinistici). Ripeto: nel Cod. Civile non c’e’ NESSUNA LEGGE che impedisce ad un lav. autonomo di essere monocommittente! Quindi nessuna legge ordinaria puo’ e potra’ MAI obbligare una p.iva ad essere multi-committente, pena una sanzione, peggio che peggio costringendo all’assunzione presso chicchessia. Nessuno puo’ obbligarvi a fare nulla in questa direzione.
Mi spiace che questa cosa sia poco chiara, ma inizio a credere che ci sia una precisa, subdola, strategia mediatica consociativa (da parte dei media, che nulla sanno del ‘terziario avanzato’) a creare questo panico…
Tornando all’interpretazione della norma, che e’ introdotta in una profonda (e a mio parere caotica) rivisitazione del DIRITTO del Lavoro (e non del DOVERE del Lavoro), tale norma, appunto, e’ messa a tutela del lavoratore ‘discriminato’ e a detrimento delle aziende ‘furbe’ alle quali vengono imposti dei ‘paletti’ sugli ‘abusi’ degli strumenti di flessibilita’ in ingresso.
In particolare:
– anche se ad un loro collaboratore, a seguito di un’ispezione (che e’ sempre necessaria), sara’ sollevata la ‘presunzione di subordinazione’ i committenti hanno a disposizione la ‘prova contraria’. E notare che sono le aziende a doverle esporre, e non certo il collaboratore che non e’ direttamente colpevolizzato da tale norma. Anzi, aggiungo, tipicamente (a meno di controlli a sorpresa) DEVE ESSERE IL LAVORATORE che si sente discriminato a stimolarla.
Nel senso che se anche si rientra nei parametri ispettivi, e’ richiesto AL COMMITTENTE di dimostrare che non ne sta approffittando.
E come fa? A fronte dei tre indici presuntivi , ci sono ‘mille’ indici contro-presuntivi che si possono presentare:
– mancanza di timbratura
– mancanza di subordinazione gerarchica
– mancanza di orari di lavoro fissi
– prestazione differente o particolare risp. a quella dei dipendenti della stessa azienda
– libera negoziazione dei compensi a cifre di mercato
– mancanza di coordinamento delle ferie, delle assenze, etc.
– fatture emesse dal lavoratore verso il committente senza impegno generico orario, ma citando i servizi prestati e le opere realizzate (il ‘progetto’, mi si permetta…)
– fatture non cadenzate e sempre uguali
– mancanza di genericità e ripetitività della prestazione, ma unicità e alto contenuto intellettuale della prestazione stessa;
– non ultima, ma forse la piu’ importante, la VOLONTA’ espressa dal collaboratore.
E, sicuramente, me ne dimentico molte, ma la Giurisprudenza diventera’ presto ricca in questo senso…
Avendo quindi ristabilito la corretta lettura della situazione, c’e’ pero’ un problema, il VERO problema, a mio parere, che emerge dalla lettura delle conseguenze piu’ subdole di tale normativa: infatti, molte aziende anche assolutamente regolari nell’utilizzo delle p.iva monocommittente, di fronte all’effetto di deterrenza della norma, per evitare ‘guai’, potrebbero:
1) chiederci(/imporci?) di essere assunti (ma a questo punto io li saluterei e mi cercherei altri committenti o andrei a raccogliere i pomodori…)
2) limitare l’apporto dei collaboratori nell’organizzazione dell’azienda, ma a questo punto potrebbe non bastare limitarne l’uso a meno di 6 mesi all’anno, visto che gli indici si usano in maniera disgiunta e quindi non metterebbero completamente al riparo le aziende stesse.
In questo senso la normativa, se resta cosi’, potrebbe creare notevoli problemi anche alle ‘vere’ p.iva, qualunque sia la struttura del loro reddito (mono-committenti, ma anche pluri-committenti, a questo punto…), e, aggiungo, anche agli ordinistici come me, anche se venisse confermata l’esclusione degli stessi: di fronte all’effetto di deterrenza, le aziende potrebbero davvero non guardare in faccia nessuno e ‘tagliare con l’accetta’ l’opportunita’ di fornirsi sul mercato del lavoro autonomo.
C’e’ pero’ un possibile effetto di contro-deterrenza: se il lavoro autonomo presso il committente e’ vitale per le attivita’ dell’azienda, ad es. nella struttura produttiva e progettuale (si pensi, ad esempio, all’apporto progettuale di ordinistici o anche a ruoli ‘senior’ esternalizzati verso liberi professionisti, come vedo succedere sempre piu’ spesso), allora e’ difficile che anche di fronte a queste difficolta’ l’azienda si possa privare piu’ o meno rapidamente di questi ruoli chiave.
Ovvero: piu’ l’autonomo e’ un ‘vero’ autonomo e non subordinato, ovvero ha potere contrattuale nei confronti del committente, piu’ puo’ stare tranquillo.
Scusate la prolissita’, ma spero di aver dato un contributo utile alla discussione.
traduttore
Replyhai ragione milo e ha ragione anche free-lance nelle altre pagine, noi del terziario avanzato dovremmo chiedere più modernità allo stato, oggi quanto accaduto a bologna dimostra ulteriormente che nel rapporto stato-contribuenti non vi è solo una questione di soldi evasi o pagati, piuttosto di un abuso da parte delle istituzioni nei confronti di chi si dedica al proprio lavoro e poi deve far fronte a regole sconosciute, a balzelli, a una miriade di regolamenti che vengono elusi INCONSCIENTEMENTE, SENZA NEMMENO SAPERLO, e si diventa con l’essere evasori. Gli italiani le tasse le pagano, credo sia doveroso per le istituzioni offrire una burocrazia svelta e efficiente, che possa lasciare il contribuente in condizione di lavorare, non di sprofondare in dinamiche che nulla hanno a che vedere con il proprio lavoro.
E credo che la spinta alla modernità, a una maggiore efficienza, possa venire proprio da noi autonomi del terziario avanzato, che conosciamo bene quanto un link, una funzione, un procedimento informatico, può risparmiarci ore e ore di lavoro e lo stesso vorremmo che venisse fatto dalle istituzioni.
Diamola noi questa spinta.
Federico
ReplySapete a cosa potrebbe portare questa normativa…
1) una rivisitazione delle tariffe per le persone che lavorano a P. Iva
2) un aumento dei contratti a T. Indeterminato e quindi anche ad un maggiore passaggio di un dipendente fra una società e l’atra con conseguenti aumenti.
3) una miglior selezione meritocratica..
4) la chiusura delle serrande di quelle società che guadagnano solo sul Bodyrental
Ben venga la riforma che taglia queste logiche di mercato da BodyRental brutali, ridando guadagno alle persone e non ai passaggi di fatturazione.