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Il nostro 33% per il welfare degli altri! ACTA in Commissione Lavoro del Senato per chiedere modifiche.

15 Aprile 2012 Diritti, Lavoro, News, Previdenza

E’ ufficiale! L’aumento al 33% delle aliquote contributive della Gestione Separata contenuto nel DDL per la riforma del mercato del lavoro andrà a finanziare gli oneri aggiuntivi per nuova ASPI, lavoratori dipendenti esodati e apprendistato: tutte tutele dalle quali i lavoratori indipendenti sono esclusi!

Dove sta l’equità? Dove stanno i nostri diritti di cittadini lavoratori?
“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, recita il primo articolo della Costituzione. Di tutto il lavoro, ribadiamo noi, senza alcuna esclusione. Senza discriminazioni fra cittadini di serie A e di serie B, particolarmente odiose in un momento di crisi economica così profonda.

Un’iniziativa di ACTA per bloccare l’aumento e modificare il DDL.
Per contrastare il DDL abbiamo subito contattato la Presidenza della Commissione Lavoro e Previdenza Sociale del Senato della Repubblica che ci ha chiesto di depositare una nostra Memoria, che sarà a disposizione della Commissione e pubblicata sul suo sito. Un’iniziativa che ha bisogno di essere sostenuta da una grande mobilitazione.

In questa Memoria chiediamo:
1) Articolo 9: modifica radicale dell’articolo per tutelare chi in regime di partita IVA svolge realmente attività di lavoro autonomo. E vuole continuare a svolgerla!

2) Articolo 36: allineamento della contribuzione pensionistica delle partite IVA che svolgono attività di lavoro autonomo a quella di commercianti e artigiani: quindi non solo blocco degli aumenti delle aliquote, ma equiparazione al 21%!

Leggi e diffondi la Memoria presentata da ACTA!
Leggi e diffondi il comunicato stampa ACTA!

MEMORIA sul DDL 3249

per la COMMISSIONE LAVORO, PREVIDENZA SOCIALE del SENATO DELLA REPUBBLICA

A cura di ACTA – Associazione Consulenti Terziario Avanzato

14 aprile 2012

Chi siamo e chi rappresentiamo

ACTA (Associazione di Consulenti nel Terziario Avanzato) è un’associazione nazionale nata nel 2004 per rappresentare i professionisti autonomi attivi nel terziario avanzato e nell’universo delle tecnologie digitali per la comunicazione, l’informazione e l’immagine, i cui clienti sono in prevalenza imprese o enti pubblici o agenzie che lavorano per conto di imprese ed enti pubblici.

Sin dall’inizio il pensiero della nostra Associazione è stata quella di dare una voce e un volto al lavoro del futuro. Sono nostri associati i lavoratori autonomi non rappresentati da ordini professionali o rappresentati da ordini professionali senza cassa, non riconducibili alle tradizionali categorie del commercio e dell’artigianato, lavoratori che assicurano la flessibilità così necessaria a un’economia postfordista, in cui non tutto il lavoro può essere ricondotto al lavoro dipendente. Ad ACTA aderiscono ricercatori, formatori, informatici, designer, grafici, traduttori, interpreti, esperti di marketing, di organizzazione, filmaker, operatori audiovisivi, illustratori, organizzatori di eventi, professioni tecniche che offrono consulenza alle imprese ed altri.

La nostra associazione è nata per coprire un vuoto nel sistema di rappresentanza in Italia. I nostri associati infatti non possono riconoscersi nelle organizzazioni sindacali o nelle associazioni datoriali perché rappresentano interessi differenti.

Professionisti con partita Iva: la nostra situazione attuale e come si è creata

Le professioni rappresentate dalla nostra associazione vengono generalmente svolte in regime di partita Iva. I professionisti senza cassa privata sono tenuti all’iscrizione alla Gestione Separata INPS.

La nostra situazione è particolarmente svantaggiata per i seguenti motivi.

• In quanto autonomi scontiamo una presunzione di colpevolezza, pur non essendo per noi possibile alcuna evasione fiscale perché lavoriamo con imprese e pubbliche amministrazioni che richiedono fattura per pagare. In aggiunta, una strana assimilazione alle imprese non ha ancora fatto chiarezza sulla questione Irap, che la maggior parte di noi continua a pagare.

• In quanto iscritti alla Gestione Separata siamo definiti parasubordinati (!?) e come tali assimilati a chi non è realmente autonomo e perciò appesantiti da un sistema di aliquote contributive derivato dal lavoro dipendente, ma senza analoghe prestazioni. Non si può negare che si siano verificati abusi nell’utilizzo di rapporti di lavoro autonomo in situazioni di effettiva subordinazione per poter uscire dai limiti posti dalla contrattazione collettiva, come d’altra parte entro il lavoro professionale ordinistico (si pensi a giornalisti e architetti, ma anche ad avvocati e medici) e nelle attività imprenditoriali (è nota la crescita di ditte individuali nell’edilizia e autotrasporto). Tuttavia, le poche indagini sul tema stimano la quota di questi abusi sia tra l’8% (ISFOL plus) e il 15% (IRES CGIL), evidenziando quindi che si tratta di un fenomeno importante, ma marginale rispetto al lavoro autonomo genuino.

Un punto di grande attenzione è la contribuzione INPS, passata dal 10% del 1996 al 27,72% del 2012, con aumenti che spesso hanno coinciso con la necessità di fare cassa per finanziare misure a favore di altri lavoratori (ad esempio, l’accordo del welfare del 2007 per consentire il pensionamento a 58 anni di lavoratori in regime retributivo, l’aumento legato alla manovra dell’agosto 2012 a favore dell’apprendistato). La contribuzione previdenziale è quasi interamente riconducibile all’accantonamento ai fini pensionistici (27%). Solo lo 0,72% è volto a coprire la malattia e la maternità.

Contrariamente a quanto si sostiene, la nostra contribuzione pensionistica è già ora superiore a quella di tutti gli altri lavoratori, inclusi i dipendenti. L’equivoco nasce dalla comparazione tra due modalità diverse di calcolo. Dalla tavola successiva, che calcola il cuneo fiscale e contributivo complessivo a partire da un costo del lavoro lordo di 40.000 euro, si evince che prendendo a riferimento la stessa base di calcolo la contribuzione pensionistica di un dipendente è intorno al 25%.

Confronto contributi dipendenti - autonomi GS

Cosa cambierebbe con il DDL 3249
Il DDL prevede due misure che ci riguardano direttamente.
1. Articolo 9 : altre prestazioni lavorative rese in regime di lavoro autonomo. L’articolo contiene tre condizioni che cancellano di fatto la nostra stessa esistenza.
Nel DDL c’è un dispositivo che formalmente è contro le “false” partite IVA, ma che nei fatti rischia di cancellare i veri lavoratori indipendenti con partita IVA, con gravissimo danno per tutto il sistema economico, in quanto alcune professionalità ad alto valore aggiunto possono essere acquisite dalle imprese solo ricorrendo a consulenti esterni (impensabile stabilizzare, soprattutto per una piccola media azienda i formatori, i consulenti organizzativi, gli esperti web etc di cui si serve). Per non parlare dei settori dove il mercato è strutturalmente intermittente, come l’audiovisivo (tv private, editoria), l’economia dell’evento, la convegnistica, le mostre d’arte, le fiere. Nel DDL Si stabiliscono infatti tre condizioni: (1) durata della collaborazione superiore a sei mesi; (2) valore della collaborazione superiore al 75% del reddito annuo; (3) postazione di lavoro presso il committente. Se ricorrono almeno due di queste condizioni il rapporto non è più indipendente e regolato da partita IVA, ma diventa di collaborazione coordinata e continuativa. Ciò significa ad esempio che, se all’inizio dell’anno ad un professionista viene proposta una consulenza annuale importante, questa dovrà essere rifiutata perché potrebbe rappresentare oltre il 75% del reddito annuale. Ma probabilmente il problema sarà ancora più grave: l’azienda o l’ente pubblico non potrà rivolgersi ad un freelance per lavori importanti, per evitare il rischio di trovarselo come collaboratore stabile (e sarà assai esitante anche per lavori meno importanti, non potendo sapere a quanto ammontano gli altri compensi del freelance).

2. Articolo 36: un incremento di 6 punti percentuali dell’aliquota pensionistica per tutti i soggetti che versano nella Gestione Separata dell’INPS, che passerebbe dall’attuale 27% al 33% nel 2018. Questo aumento interesserebbe anche i lavoratori indipendenti con partita IVA: quelli che, per intendersi, si confrontano sul mercato con altri professionisti con casse indipendenti che pagano una contribuzione che si aggira mediamente intorno al 14% e molto più dei dipendenti.
Dai documenti disponibili è evidente che anche questa volta l’aumento dei nostri contributi è stato deciso per coprire prestazioni per altri lavoratori: parte dell’ASPI, dei costi per gli esodati, dell’aumento costi sull’apprendistato e persino la contribuzione figurativa di altri, ovvero di chi godrà dell’ASPI (questa è davvero la beffa!). Contribuiranno a ripagare le spese anche altre fonti (aumento dei costi sui contratti a termine e una tassa di 3 euro sugli imbarchi aerei), ma la gallina dalle uova d’oro è comunque rappresentata da quelli come noi costretti a versare all’INPS il 33% di contributi per non avere niente in cambio.
Il previsto aumento dei contributi fino al 33% è inoltre in netto contrasto con quanto affermato nel Decreto SalvaItalia che, all’articolo 24 comma 28, contempla la decontribuzione verso schemi previdenziali integrativi.

Ci sia consentito osservare che è mortificante, per un Paese come l’Italia che ha dei problemi di competitività, una visione del mondo del lavoro tutta rivolta all’indietro e priva di una minima proiezione verso il futuro.

La nostra proposta (per limitare i danni) di modifica del DDL 3249
Articolo 9 del DDL
Da molti anni ragioniamo su questo tema ed è molto difficile individuare delle condizioni oggettive con cui separare gli autonomi autentici dagli abusi. L’unica strada davvero equa ed efficace sarebbe l’intensificazione dei controlli (sicuramente insufficienti, specialmente negli ultimi anni). Probabilmente non è una strada totalmente percorribile, ma riteniamo che vista l’assoluta preponderanza del lavoro autonomo genuino (almeno l’85%), si debba prestare grande cautela a non danneggiare un’area del lavoro già duramente gravata da una condizione fiscale e previdenziale soffocante e dalla crisi. Per questo proponiamo alcune misure che permettano evitare gli abusi più eclatanti, mentre per gli altri occorrerà comunque aumentare la funzione di controllo, analogamente a quanto si sta facendo coi controlli fiscali.
La misura proposta è che ci sia una “presunzione” di parasubordinazione:
• nel caso in cui nell’impresa committente esista una analoga mansione svolta da un dipendente e il trattamento economico del collaboratore autonomo sia complessivamente pari o inferiore al 120% del compenso corrisposto al dipendente;
• nel caso in cui nell’impresa committente non esista una analoga mansione, dovranno valere congiuntamente le seguenti due condizioni:
a. fatturato non superiore ai 20.000 euro;
b. 75% del fatturato in monocommittenza per almeno due anni consecutivi con lo stesso committente.
Articolo 36 del DDL
Uniformare la contribuzione pensionistica delle partite IVA che restano tali a quella degli altri lavoratori autonomi che versano all’INPS, e quindi a commercianti e artigiani.

ACTA

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4 Commenti

  1. Gilberto Allesina

    Reply

    E’ palese la violazione dell’articolo terzo della Costituzione Italiana, che letteralmente dichiara: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” Sembra chiaro che non se ne può più di questo succhiare la nostra classe di lavoratori. Qui lo stato agisce nel senso opposto, quello di creare ostacoli! Non sarebbe il caso di inoltrare alla corte costituzionale una richiesta di incostituzionalità di queste misure inique?

    15 Apr 2012
  2. Andrea

    Reply

    E’ un furto legalazzizzato se passa questo DDL come formalizzato.
    Io giuro che non pagherò e farò di tutto per non pagare a costi di chiudere l’attività.
    Se fossero dei contributi che arrivassero a me capirei, ma così è troppo.
    La Fornero spero se ne vada assieme a Monti se questo è il loro modo di governare.
    Saluti.

    15 Apr 2012
  3. Andrea

    Reply

    Vi prego ribelliamoci facciamo qualcosa perchè ci stanno rubando i soldi e il nostro futuro.

    15 Apr 2012
  4. Silvestro De Falco

    Reply

    Car*,
    è partita questa mattina un’iniziativa contro l’aumento dei contributi previdenziali alla Gestione Separata.
    Chi vuole partecipare è pregato di scrivere la lettera in basso a uno o più membri della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati http://www.camera.it/99?shadow_organo_parlamentare=1504 o della Commissione Lavoro del Senato http://www.senato.it/leg/16/BGT/Schede/Commissioni/0-00011.htm:

    “Gentile On./Sen…..

    sono un professionista non ordinista iscritto alla Gestione Separata INPS (GS) e vorrei manifestarLe un punto di vista circa l’inopportunità di un aumento graduale al 33% dei contributi da versare alla GS stessa previsti dal DDL Lavoro.

    Innanzitutto, un tale aumento è in netto contrasto con quanto affermato nel Decreto SalvaItalia che, all’articolo 24 comma 28, contempla la decontribuzione verso schemi previdenziali integrativi. Infatti, con tale comma il Governo riconosce implicitamente che tali schemi previdenziali offrono rendimenti più interessanti, anche grazie alle agevolazioni fiscali di cui godono, e quindi più adatti ad assicurare un futuro più tranquillo alle giovani generazioni che sempre più andranno in pensione con il metodo contributivo, che è quello alla base della GS.

    Infatti, la rivalutazione del montante nella Gestione Separata è legata all’andamento del PIL. Purtroppo quest’ultimo non sta dando buona prova di sé e gli effetti negativi del suo andamento si sentiranno per molti anni ancora. A titolo esemplificativo, faccio osservare che la rivalutazione del montante nella Gestione Separata INPS per il 2010 è stata pari all’1,79% a fronte di un tasso di inflazione del 2,87%, imponendo di fatto una tassa agli iscritti.

    In effetti, l’aliquota attuale del 27% sul reddito lordo di un professionista indipendente – non finta partita IVA – preclude a quest’ultimo di fatto l’accesso a forme di risparmio pensionistico più convenienti per il suo futuro.

    Vorrei che fosse chiaro che non si chiedono né il mantenimento di vecchi privilegi né la concessione di nuovi ma solo la possibilità di poter orientare il proprio risparmio previdenziale in maniera più oculata di quella garantita dall’INPS.

    A tal fine, faccio presente che che un euro investito in BTP a 30 anni dal 1 genaio 1996 avrebbe reso il 130% in più rispetto allo stesso investimento rivalutato applicando i tassi della GS.

    Certo che vorrà considerare questi aspetti nelle Sue valutazioni, Le porgo i miei migliori saluti.

    Firma“

    16 Apr 2012

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Il nostro 33% per il welfare degli altri! ACTA in Commissione Lavoro d…

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