L'assurda situazione dei giornalisti RAI con partita Iva
23 Aprile 2012 Diritti, Fisco, News, Vita da freelance
Riceviamo e pubblichiamo la testimonianza firmata di un giornalista RAI, che per ovvi motivi preferisce rimanere anonimo.
La situazione delle partite IVA in Rai è tra le più assurde.
In larga parte questo tipo di contratto viene applicato alla maggior parte dei giornalisti professionisti che lavorano per le trasmissioni delle Reti. Il Contratto giornalistico è infatti riservato ai colleghi che lavorano solo per i Tg e per le rubriche ad essi collegati. Gli unici colleghi tra l’altro tutelati dal sindacato USIGRAI. Gli altri devono obtorto collo. accettare questo tipo di contratto (regista/autore testi) pur svolgendo le mansioni di inviati o di redattori nelle principali trasmissioni di informazione della Rai. Devono essere a disposizione 24 ore su 24, lavorare se richiesto a Pasqua o a Natale senza la minima maggiorazione di retribuzione, senza orari. Devono rispettare i turni al montaggio e devono rispondere del loro operato ai vertici dei programmi e ai capistruttura Rai.
Un costume che si è rapidamente diffuso anche a Mediaset e La 7.
Le mansioni che vengono richieste sono identiche a quelle dei colleghi inviati dei telegiornali, ma con ritmi assolutamente più pesanti, senza la minima tutela assicurativa. Se accade un incidente, o se qualcuno gli spara addosso, il giornalista a partita Iva non ha la minima copertura. Forse dobbiamo aspettare che qualcuno di noi ci lasci la pelle perché il problema esploda.
Ovviamente non vi è la minima copertura neppure per quanto riguarda la continuità di lavoro o la giusta causa di licenziamento. Basta semplicemente risultare invisi all’autore di turno o non accettare di scrivere quello che vogliono i capi, per non vedersi rinnovare il contratto e restare alla fame, visto che non esistono ammortizzatori sociali. Inutile dire che grazie a ciò la libertà e la dignità professionale dei giornalisti a partita Iva va a farsi benedire. Il risultato è un appiattimento totale.
La maggiore retribuzione (lorda) è un’altra colossale bufala. Ai giornalisti a partita Iva si impone di pagare tutto, quindi la retribuzione risulta alla fine al netto assolutamente bassa.
La Rai impone agli inviati (per la natura stessa del loro ruolo) continui spostamento per seguire in Italia e all’estero gli argomenti su cui realizzare i servizi. Le spese devono essere anticipate, per poi averle rimborsate dopo la presentazione di ricevute e la compilazione di un modulo nel quale vengono dettagliate tali spese. La Rai quindi approva il rimborso e impone di emette fattura, ci si trova così a pagare più volte le tasse, non solo l’Iva. Su tali rimborsi (che sono alla fine dell’anno somme assai consistenti) viene imposta, essendo fatturate, il pagamento della previdenza, il pagamento dell’Irpef come se si trattasse di normali compensi, infine tutto ciò fa salire in maniera folle l’imponibile anche se in fattura viene specificato che si tratta di rimborsi di note spese, quindi non compenso, ma solo restituzione di somme anticipate. La Rai, anche di fronte alle evidenze di legge, impone pervicacemente questa prassi.
Chi non ci sta può solo scegliere di non lavorare.
6 Commenti
Mario Panzeri
ReplyL’ente pubblico RAI dà il buon esempio, e anche grazie a questo comportamento adesso dovremmo pagare noi e i nostri committenti, le piccole e medie imprese (che pure non sono, nel loro insieme, immuni da responsabilità, ma che di solito non hanno certo le risorse della RAI, o di Mediaset e La7, che alla RAI si sono ispirate).
Comunque, in generale, quello della fatturazione dei rimborsi spese per le trasferte è un altro sconcio che deve finire; così come il conseguente obbligo di portare a costo le spese sostenute per le trasferte stesse. Un’assurda partita di giro, con devastanti effetti a livello di studi di settore.
Paolo
ReplyUna vergogna. E non ci sono altre parole da aggiungere.
Dario
ReplyE i giornalisti delle redazioni che cosa dicono? E i sindacati? Fanno finta di niente evidentemente. Troppo comodo un supercontratto e i peones che fuori portano acqua al mulino per un tozzo di pane. Suggerisco di leggere bene l’ultima carta deontologica dell’OdG. Se la solidarietà non nasce spontanea tra lavoratori, che sia “spintanea”. Partano denunce ai caporedattori e direttori secondo i principi della carta deontologica a livello magari di associazioni di giornalisti, non individuali (che altrimenti si perde davvero il lavoro). Non ci sono precedenti in questa direzione, ma perché non tentare?
sara
ReplyLa cosa più triste è che queste denunce siamo costretti a farle in anonimato. Perché se le fai mettendoci il tuo nome, molto probabilmente il giorno dopo non ti chiamano più
GILDA LA TRIGLIA
ReplyAI SINDACATI INTERESSANO SOLO GLI ASSUNTI.DA SEMPRE USANO UNA GENERAZIONE PER GARANTIRE I DIRITTI ACQUISITI DEGLI EX SESSANTOTTINI.
PS:ORA CAPISCO MEGLIO PERCHE’ IN ITALIA NON ESISTE L’INFORMAZIONE