I messaggi subliminali e il contributivo all’italiana
2 Maggio 2012 Previdenza
Se si fa un po’ di attenzione si scopre una manovra sotterranea volta a far accettare a chi andrà in pensione con il metodo contributivo il principio che si devono aumentare i contributi previdenziali.
Intendiamoci, il vostro umile corrispondente non è contro il metodo contributivo in sé e per sé ma non è d’accordo per come è stato impostato il contributivo all’italiana dall’INPS.
Il messaggio che questi signori trasmettono è che più si versa più alta è la pensione. Il ragionamento non fa una grinza; è tautologico che più si risparmia e più ci si ritrova nella vecchiaia.
Quello che omettono di dire, però, è che ci sono forme di risparmio previdenziale che forse possono essere leggermente più redditizie dei fondi INPS gestiti con il metodo contributivo, fra cui la Gestione Separata INPS, se non altro perché godono di agevolazioni fiscali.
Questi signori, purtroppo per noi, sono grandi esperti e parlano a un pubblico molto ampio.
Uno di questi è il professor Alberto Brambilla ed è di questa mattina – 27 aprile – una sua intervista sul Corriere della Sera in cui dice
I giovani che hanno cominciato a lavorare nel ’96 con la riforma Dini (anno in cui è stato adottato ufficialmente il metodo contributivo in Italia e la Gestione Separata. NdR), se non verseranno sufficienti contributi non godranno né di maggiorazioni sociali né di integrazioni al minimo.
Quando si dice non “verseranno sufficienti contributi”, io già comincio a tremare.
Il motivo è semplice.
Alberto Brambilla è presentato come docente e come ex sottosegretario del welfare ma non come presidente del Nucleo di Valutazione della Spesa Previdenziale, quel gruppo di lavoro che decide, fra le altre cose, come cambia il coefficiente di trasformazione delle pensioni in base alla speranza di vita.
L’uomo è un convinto sostenitore del contributivo all’italiana.
Questo è quanto ha detto in un convegno sul metodo contributivo :
Adesso voglio dire rapidamente due cose riguardo al sistema contributivo. La prima riguarda il tasso di rendimento. Voi sapete che la formula del sistema contributivo è la sommatoria, per l’intero periodo della vita lavorativa, dei contributi versati, capitalizzati ad un tasso di interesse che lo Stato riconosce pari alla media geometrica del PIL quinquennale, degli ultimi cinque anni. La media quinquennale del Pil, se la vogliamo fare per il periodo 1995-2007, si è mossa al 4,83% di interesse netto accreditato su tutti i contributi (io ho calcolato circa il 4,35% lordo per la Gestione Separata INPS. NdR). È quanto di più alto ci sia in tutti i sistemi finanziari. A parte che batte anche il pur generoso rendimento medio annuo lordo dei Bot, che è stato del 5,34 ma che, sottratto il 12,5% di tassazione, fa 4,5. Ma supera anche gran parte delle altre forme di investimento. Voi direte che però, tutto sommato, qualcuno ha reso di più. In realtà, nel 2007, 100 mila euro investiti nella previdenza avrebbero generato 184 mila euro capitalizzati al tasso quinquennale del Pil. Se li avessimo investiti in titoli di Stato avrebbero fruttato 196 mila euro, però avremmo dovuto togliere – come detto – il 12,5% in tassazione. Se li avessimo investiti invece nell’indice Comit – che è l’indice di borsa – avremmo fatto 263 mila euro, un guadagno che oggi però si riduce. L’indice Comit dall’inizio dell’anno ha perduto circa il 22%, per cui siamo leggermente sopra al risparmio previdenziale ma veramente di poco e con un rischio indubbiamente maggiore.
Chi ha voglia di cimentarsi può tirare fuori carta, penna e calcolatore e scoprire tutte le inesattezze di queste affermazioni.
2 Commenti
romano calvo
ReplySilvestro, grazie per questo aggiornamento però secondo me dovresti stare attento ad un elemento: teorizzare un sistema previdenziale tutto a capitalizzazione, significa riscrivere il patto sociale che stà sotto al sistema previdenziale. Lo si può fare, basta essere consapevoli di dove si va a parare. Nel momento in cui si decidesse che i capitali accumulati con i contributi previdenziali devono essere “valorizzati” con gli strumenti della finanza che conosciamo, saremmo belli fritti. Altra cosa, del tutto auspicabile, è dire che nel caso delle partite IVA è necessario detassare la eventuale quota di reddito che si decidesse di indirizzare ad una previdenza integrativa. Insisto però a farti ragionare sul concetto di patto sociale ed intergenerazionale. Se oggi i conti saltano è perché qualcuno ad un certo punto ha ciurlato nel manico, promettendo pensioni superiori a quanto versato. Su quel punto dovremmo soffermarci. Non sul principio, per me imbattibile, per cui la previdenza deve restare pubblica ed il sistema a ripartizione è il più sensato. Ovviamente in un orizzonte in cui ogni modifica previdenziale cercasse di rispettare il patto sociale. Le cui regole fondamentali sono che ognuno ha diritto a ricevere una pensione a 65 anni, commisurata a quanto ha effettivamente versato nel corso della vita lavorativa. I versamenti contributivi non possono essere superiori a quanto sia necessario per garantire una pensione decente a 65 anni. La solidarietà verso chi non ce la fa ad arrivare alla pensione minima, deve essere gestita all’interno di un altro patto sociale, anch’esso da riscrivere.
Ciao
Romano Calvo
Silvestro De Falco
ReplyGrazie, Romano, per l’interessante commento.
Il tuo riferimento al patto sociale – e implicitamente allo Stato quale regolatore delle norme contenute nello stesso – ha centrato il problema.
Per limitarci al campo della previdenza, constato che le condizioni sono cambiate e che è necessario adattarsi, se non altro per una questione di sopravvivenza.
Dobbiamo imparare a vivere con il metodo contributivo e in un mondo in cui prevale il metodo contributivo incomincia immediatamente a trovare spazio l’istinto di sopravvivenza sotto forma di interesse personale e di fredda razionalità, facendoci porre la domanda: “Ma perché devo impiegare i miei soldi con chi mi dà una remunerazione inferiore a quella che posso spuntare altrove? Per quale perverso motivo devo essere felice di vedere i miei soldi rivalutarsi ad un tasso basso mentre mi si alza l’asticella dei requisiti con l’allungamento dell’età o stabilendo che posso ricevere la pensione solo nel momento in cui la stessa è pari – una cosa che non ho mai sentito da nessuna parte al mondo – almeno a 1,5 volte l’assegno sociale?” A me quest’ultimo sembra un modo che, come per il criceto sulla ruota, ti costringe a correre per rimanere sempre allo stesso posto.
Per quanto mi riguarda la mia lotta – e credimi, mi sto alzando su tutte le cassette di sapone che trovo per parlarne a chiunque abbia voglia di ascoltarmi – in questo momento è quella di creare una consapevolezza di questo abuso per fermarlo.
Non so se il patto sociale debba essere riscritto ma so di sicuro che questo squilibrio va corretto.
Ciao,
Silvestro