La RAI e le Partite IVA: un rapporto basato sul bonifico
5 Dicembre 2012 Diritti, Vita da freelance
Riceviamo e volentieri pubblichiamo la testimonianza di un nostro socio che lavora per la RAI come regista. Tempo fa avevamo pubblicato la testimonianza di un giornalista RAI.
Ho 37 anni, e lavoro in Rai dal settembre del 2004 come libero professionista. Ho iniziato in una delle tre reti generaliste, con un piccolo contratto di consulenza, mal pagato, di cui ero felicissimo. Per l’occasione, dopo due mesi di lavoro, la RAI mi chiese di aprire la partita IVA. Da quel momento, negli anni, le relazione umane e le aspettative professionali tra me e la RAI si sono gradualmente ridimensionate, nella misura in cui alle intenzioni non sono quasi mai seguite le iniziative. Pertanto, ad oggi, il mio rapporto lavorativo non si basa più sulla fiducia, non si basa su un progetto condiviso, non si basa neanche sulla stima professionale o sull’orgoglio aziendale: oggi il mio rapporto di lavoro si regge sulla fiducia di un bonifico ad ogni fattura emessa per un lavoro svolto.
Ma poiché aspetto ancora la RAI del futuro, oggi che anche la fiducia nel bonifico non è più una certezza, ho deciso di condividere con ACTA e con i miei virtuali colleghi questo breve racconto dell’ultimo tratto del mio personale cammino attraverso le vessazioni di cui non bisogna parlare.
Gli italiani non amano discorrere del proprio reddito, si sentono nudi e vulnerabili, ad aprir bocca, tanto più se svolgono un lavoro autonomo, tanto più se lo svolgono nella stessa azienda, come nella RAI ad esempio, dove esistono molti pesi e una collezione medievale di misure. E il dubbio che alcuni si arricchiscano e altri debbano tirare a campare si annida proprio in questa incontestabile discrezione. In questo caso però è necessario farvi riferimento, perché in un’azienda pubblica in cui ai tornelli, di sera, c’è una fila di dipendenti che aspettano le undici e mezza per vedersi accreditato il rimborso mezzi, in un’azienda che paga i fuoriporta solo a chi ha le spalle protette, anche se vive a due passi dal lavoro, e li nega a chi non ce le ha, millantando direttive circolari dal sapore apocalittico, in un’azienda insomma che rinnova il guardaroba ma ha ancora le tasche bucate, mi sembra utile parlare di cifre.
Nel 2004 guadagnavo circa trecento euro lorde a settimana, per un periodo complessivo di circa nove mesi. Chi ha una partita IVA sa che questa cifra va quasi dimezzata. In tasca, all’epoca, non mi restavano che settecentocinquanta euro mensili, considerando che all’epoca il prelievo INPS si attestava intorno al 12% dell’importo fatturato. Con gli anni, lentamente, questa percentuale è salita fino a sfiorare 1/4 dell’importo fatturato. Ma questo è un altro discorso, sebbene parli ancora e comunque dell’inclinazione vessatoria delle politiche fiscali nei confronti degli autonomi.
Ho continuato così, mettendomi in tasca i miei settecento e passa mensili, lavorando di fatto da dipendente, con la mia scrivania in redazione, il mio computer, la mia casella di posta elettronica RAI, 5 giorni a settimana, a cui si aggiungevano i turni mensili, per quattro anni. Nel 2008, finalmente, sono “diventato” regista. Le virgolette servono a identificare un riconoscimento aziendale, frutto tra l’altro di una casualità, di un rimescolamento dirigenziale, in cui ho avuto la prontezza di inserirmi offrendo la certezza di saper fare quanto mi chiedevano: il regista. Mi ero diplomato al Centro Sperimentale e, prima ancora, quando ancora studiavo all’università, avevo frequentato una scuola di un anno da operatore di ripresa cinetelevisiva. Comunque, ero regista, e la mia gavetta era ufficialmente finita.
Col mio primo contratto da regista ho iniziato a guadagnare circa settecento euro a settimana: cifra lorda, che decurtata degli oneri fiscali, sfiorava i millecinquecento euro mensili netti, per nove mesi. Oggi, con la quota INPS decisamente ipertrofica, la cifra si è ulteriormente ridotta.
Questo tipo di compenso in RAI viene contrattualizzato come “consulenza tecnico scientifica”, oppure come “contratto da autore testi”, abitualmente della durata della produzione per cui si lavora (dai tre ai nove mesi). A fianco alla consulenza, per poter realizzare e “dirigere” contributi video, la RAI stipula con il regista un secondo contratto, a cui si applica un prelievo ENPALS (ora INPS, ma alle stesse condizioni della vecchia ENPALS), e il cui ammontare era di cinquecento euro a contributo (ovviamente lorde). Per ognuno di questi due contratti c’è un referente fisico alla contabilità, una persona in carne e ossa a cui indirizzare le fatture con la cadenza concordata, abitualmente mensile. Le scritture dunque esigono una fattura, le regie un’altra. Per ogni mese, pertanto, compilo due fatture in Excel e le spedisco a due persone che d’abitudine mi danno conferma della ricezione. Chiamerò queste due persone Carla Polis (consulenza/autore testi), e Carla Tetis (regia).
Dal gennaio del 2012 ho lasciato la rete generalista per lavorare a un progetto più innovativo sviluppato in uno dei canali tematici della RAI – quelle che io considero mitologicamente i veri figli di una RAI-Urano. Le condizioni contrattuali nelle reti tematiche sono diverse, ci sono meno risorse, e le produzioni sono più corte, in termini di durata stagionale. Ma il lavoro è decisamente più stimolante, e s’imparano ancora un sacco di cose.
In termini di fatturazione e pagamenti, le modalità sono le stesse di prima: stessi referenti, stessa prassi. In breve: il produttore esecutivo della trasmissione per cui il regista o consulente lavora emette nota di pagamento ai responsabili della contabilità per un certo numero di puntate. Non appena la nota, firmata dai dirigenti, arriva alla contabilità – ci possono volere alcuni giorni – Carla Polis e Carla Tetis dovrebbero avvertire i registi/consulenti e dire loro che possono emettere fattura. Carla Polis lo fa con estrema puntualità. Carla Tetis mai. Di solito le note arrivano i primi giorni del mese successivo a quello di riferimento. In questo caso si data la fattura all’ultimo giorno del mese precedente, e il motivo è semplice: la RAI da contratto s’impegna a versare gli importi entro 30 giorni a partire dall’ultimo giorno del mese di emissione della fattura. Se fatturo il primo o il 31 giugno è uguale: la fattura verrà pagata entro il 30 luglio. Più o meno.
Queste scadenze temporali, salvo eccezioni fastidiose, sono quasi sempre state rispettate. Le eccezioni fastidiose possono prevedere ritardi nei pagamenti anche di due mesi, e a quel punto bisogna chiedere in giro, trovare un collega con il tuo stesso contratto, sperando che abbia avuto il tuo stesso problema prima di te, rivolgersi alla contabilità, che ti darà il numero di telefono della tesoreria di Torino – sperando non sia cambiato, come è accaduto quest’anno – la quale cercherà di risolvere il tuo problema in tempi spesso dipendenti dal senso di responsabilità ed empatia del collega che trovi all’altro capo del telefono. Ma, onestamente, in otto anni e mezzo ho avuto bisogno di chiamare Torino quattro volte. E sono sempre riuscito a trovare la ragione dell’intoppo in tempi ragionevoli. Il mio rapporto con il cliente RAI, ancora una volta, veniva salvato dall’emissione di un bonifico.
Ecco una lunga premessa in cui ho spiegato le regole del gioco, per poter finalmente raccontare come si svolgono le partite.
Il problema vero sorge a fine anno, precisamente a novembre, quando i colleghi a tempo indeterminato, che fanno il tuo stesso lavoro, si preparano a ricevere la busta della tredicesima in cima alla busta paga. In quelle buste ogni anno ci vedo il sudore delle lotte sindacali del ventesimo secolo, e la determinazione dei lavoratori uniti nello sforzo di contrastare regole inique o, peggio ancora, l’assenza di regole.
Per noi registi, invece, e in generale per i consulenti e le partite IVA, il metodo di erogazione dei compensi, verso novembre e dicembre, diventa euristico: i primi anni di lavoro, non essendo stato istruito, emettevo le due fatture per il lavoro svolto a novembre entro la prima settimana di dicembre, e per il lavoro svolto a dicembre al termine dell’ultima puntata del programma, di solito verso il 16 del mese. Tutte e quattro le fatture venivano pagate puntualmente a fine febbraio. Qualcosa, quindi, non andava.
Mi sono pertanto informato presso Carla Polis e Carla Tetis. Entrambe si affrettavano a dire che la RAI, senza darne alcuna comunicazione ai diretti interessati, chiudeva la contabilità entro i primi 4 giorni di dicembre e la riapriva a gennaio: sono dettagli che chi lavora in RAI conosce e dà per scontati, ma che inspiegabilmente non condivide con i nuovi arrivati, che scoprono sulla propria pelle che a dicembre-gennaio, se non apriranno per bene tutti e due gli occhi, non avranno il becco di un euro nel loro conto corrente.
Pertanto, negli anni, ho imparato “euristicamente” a fatturare le puntate di novembre entro i primi quattro giorni di dicembre. Ogni anno qualche ora prima, ogni anno senza riceverne comunicazione. E sempre per non sbagliare, ho iniziato da qualche tempo a emettere fattura a fine novembre, prima ancora che Carla Polis mi avvisi – visto che Carla Tetis non lo reputa di sua competenza – che è arrivata la nota di pagamento. E, nonostante le iniziali proteste di Carla Tetis, tutto è andato più o meno bene.
Almeno fino ad ora.
Il 29 novembre scorso, a conclusione del mese, ho emesso due fatture del valore complessivo di duemila euro (sempre lordi) per il lavoro svolto a novembre. Duemila euro, vale a dire circa millecento-milleduecento euro netti, da incassare a dicembre, d’abitudine tra il 30 e il 31.
Non appena ho inviato la fattura, ricevo due email: la prima da Carla Polis in persona, che mi dice che è tutto a posto, e che ho fatto bene a mandarle la fattura perché, come ogni anno, lei chiuderà la contabilità entro i primi giorni di dicembre. E la seconda da Carla Tetis, o meglio dal suo indirizzo di posta elettronica, perché si tratta di una email automatica, che riporto qui interamente:
buongiorno, si avvisano tutti i collaborati, che il 27 novembre è l’ultimo giorno utile per la fatturazione.se comunque volete inviarle dopo tale data, si rende noto che quelle emesse dopo il 27 novembrel 2012 saranno inoltrate dalla data del 10 gennaio 2013, data di riapertura della contabilità
Ecco, a dicembre non verrò pagato per il mio lavoro di regista, ma solo per il mio contributo da consulente. E non verrò pagato neanche a gennaio. Vale a dire che a dicembre, dei duemila lordi, mi arriveranno milleduecento euro circa. Sempre inesorabilmente al lordo delle imposte. Al netto, a dicembre avrò in tasca circa 650 euro.
Sappiamo tutti che a dicembre ci sono parecchie tasse da pagare, considerando gli anticipi IVA che lo stato esige con vorace regolarità. Sono regole che siamo tenuti a rispettare, e che molti di noi rispetterebbero volentieri, a patto di sentirsi integrati un un sistema che li rispetti. Mi chiedo allora, senza sarcasmi, perché la RAI non comunichi le date di chiusura della propria contabilità, in modo da consentirci di emettere fattura nei tempi previsti? Perché non lo fa, proprio in un mese critico come dicembre, in cui chiunque ha il diritto di vivere decentemente le proprie ferie, soprattutto se si tratta di ferie non retribuite, com’è il caso dei registi e dei consulenti? Perché non tutela, anche in questa forma più misera e stilizzata così simile ai “bandi”, i suoi lavoratori più vulnerabili, “prestatori d’opera” che proprio a fine anno si trovano ad affrontare ingenti richieste di contribuzione da parte di uno Stato lontano, e spesso presente solo nelle pieghe degli F24 o dei RAV?
E poi, la domanda che mi ha spinto a scrivere questo post, la sfumatura beffarda che mi ha umiliato, che continua a umiliarmi, che continua a farmi scuotere la testa, nelle pause tra una chiacchiera e un’altra, o in fila sulla tangenziale: quale sistema di regole permette a Carla Tetis di chiudere arbitrariamente la contabilità una settimana prima del consueto? Chi le permette di rispondere a una richiesta legittima con una email automatica mortificante, sciatta, e non firmata?
Scriveva Calvino nel suo Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti, pubblicato su Repubblica il 15 marzo 1980, che gli onesti e i giusti sono, in ogni epoca, onesti e giusti perché non possono farci niente
“se la loro testa funziona sempre in base a quei vieti meccanismi che collegano il guadagno col lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione d’altre persone“.
Nello spirito di questo Apologo, sogno una televisione di Stato, e un mercato del lavoro, e un Paese, in cui al posto di Carla Tetis, e al suo fianco, e sopra e sotto di lei, ci siano persone intente “a farsi sempre degli scrupoli, a chiedersi ogni momento cosa avrebbero dovuto fare“. Io per primo.
Tutto il resto verrà da sé.
Fred Bailey
ACTA
4 Commenti
cristina
ReplyGrazie. A nome di tutti noi, che dobbiamo subire situazioni come questa, per colpa di chi, puntulmente pagato ogni mese, non reputa suo dovere fare il proprio lavoro. Di chi non si vergogna di farti sentire come se stessi chiedendo l’elemosina, quando chiedi solo che il tuo lavoro venga pagato. Buone Feste
Giovanni
ReplySolo per dirti che so di cosa parli e che qualcosa, a breve, certamente cambierà. Il problema è che nessuno ha ancora capito se in meglio o in peggio.
Un autore (dunque nella tua stessa situazione, ma senza la scrittura!)
Frunz
ReplyA me pare che questo sistema abbia anche un suo risvolto estivo. O forse di me si occupa Carla Tetis. Saluti, Z.
rosa corsara
ReplyPezzo mirabile. Idea buona per film.
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