Produttività, flessibilità e lavoro autonomo
21 Dicembre 2012 Lavoro
Il lavoro autonomo è flessibile per definizione. Per questo, andrebbe incentivato come misure fiscali e contributive come quelle per il lavoro dipendente.
L’accordo interconfederale Linee programmatiche per la crescita delle produttività e della competitività in Italia, recentemente stipulato tra le associazioni imprenditoriali e i sindacati (con esclusione della Cgil), rileva la necessità di incrementare e rendere strutturali le misure fiscali e contributive volte ad incentivare la contrattazione di secondo livello che collega parte della retribuzione al raggiungimento di obiettivi di produttività… In particolare, le Parti chiedono al Governo e al Parlamento di applicare, sui redditi da lavoro dipendente fino a 40 mila euro lordi annui, la detassazione del salario di produttività attraverso la determinazione di un’imposta, sostitutiva dell’IRPEF e delle addizionali, al 10% , nonché di confermare lo sgravio contributivo fino al limite del 5% della retribuzione variabile prevista dai contratti collettivi aziendali o territoriali.
Queste richieste sono certamente coerenti con la accresciuta consapevolezza dell’importanza di stabilire, ai livelli più vicini alla prestazione lavorativa, misure in grado di incrementare produttività, qualità, redditività, efficacia, innovazione, efficienza organizzativa e altri elementi rilevanti ai fini dell’aumento della competitività, soprattutto in questa fase di pericolosa perdita di produttività complessiva del sistema Italia. Ai fini di questa argomentazione, è particolarmente interessante notare che l’accordo ribadisce l’importanza centrale degli istituti della flessibilità dell’orario come leva per la realizzazione degli incrementi di produttività: la ridefinizione dei sistemi di orari e la loro distribuzione anche con modelli flessibili in rapporto agli investimenti, all’innovazione tecnologica e alla fluttuazione dei mercati vengono riconosciute come strumenti fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi aziendali. E’ noto che le imprese sono costrette in mercati globali sempre più competitivi e in produzioni sempre meno standardizzate e, in effetti, dove l’innovazione tecnica e le esigenze di flessibilità aziendali cominciano a trovare riscontro nella disponibilità dei lavoratori a sperimentare nuove forme di flessibilità dell’orario (turni aggiuntivi , lavoro di sabato e domenica, orari su base plurisettimanale) si può constatare che il miglioramento dei processi, la saturazione degli impianti, la puntualità nelle consegne, il rispetto delle scadenze previste dai contratti di fornitura consentono di generare aumenti di produttività significativi.
Di questi vincoli e di questi obiettivi i lavoratori autonomi professionali sono perfettamente consapevoli.
Da sempre, i lavoratori indipendenti collaborano al business delle aziende-clienti, integrandosi con la massima flessibilità nei processi di produzione e di creazione di servizi, nel rispetto delle esigenze organizzative, degli obiettivi di qualità, delle scadenze previste dai committenti. In qualche misura – per alcune figure professionali anche in misura prevalente – lo sviluppo delle forme di collaborazione autonoma professionale nasce proprio da queste esigenze di flessibilità delle imprese, finora poco e mal soddisfatte dalla rigidità del lavoro dipendente. Per un freelance, lavorare la sera o nel week end, saltare un pasto o giocarsi le vacanze, sono fatti quasi consueti quando vi sia una scadenza da rispettare, un problema da risolvere, un imprevisto da superare. Questo fatto va sottolineato ancora ed ancora.
Freelance, lavoratori della conoscenza, professionisti del terziario avanzato sono un un’area di lavoro preziosa per l’economia, anche e forse soprattutto per la flessibilità della loro prestazione. Per questo ci chiediamo, perché non chiedere anche per i lavoratori indipendenti detassazione e decontribuzione, in ragione del contributo che danno quotidianamente, attraverso la flessibilità dei loro orari di lavoro, al miglioramento della competitività del sistema economico?
3 Commenti
Andrea
ReplyParole sante.
Tanto per dare una idea io mi mangio le ferie di Natale, compreso sabati, domeniche per consegnare quanto prima un progetto per una macchina che deve essere messa in servizio a fine gennaio per produrre da febbraio conla materia prima che arriverà ad inizio febbraio. Ecco questi sono i tasselli che si devono incastrare. Quanti dipendenti troverebbe l’azienda per la quale lavorano, disposnibili nei fine settimana, di sera, anche di notte, a lavorare per finire tutto il laovro nei tempi richiesti. Lo dubitei molto, perchè sentendo i lavoratori dipendenti difficilmente rinunciano alle loro esigenze di ferie, riposo per l’azinda per farlo in un secondo momento. Non sto parlando di eliminare il riposo o le ferie, ma di rendere gli orari flessibili per aiutare l’azienda a produrre prima e meglio. Il problema è che pure le aziende non sono disposte a riconosscere spesso ai lavoratori che si rendono disponibile quel qualcosa in più che il lavoratore si meriterebbe. Per questo si innesca quel fenomeno dove: il padrone chiede ma non paga o non mi da nulla in cambio, allor io laovratore non faccio nulla in più del minimo. Io questo lo constato spesso, soprattutto nelle aziende di un certo livello non in quelle piccole o artigiane, dove per non perdere il lavoro si adattano a quasi tutto.
Mario Panzeri
ReplyLa domanda che pone Anna Maria Ponzellini è tanto giusta quanto, ovviamente, retorica. Il motivo per cui è stato avviato un processo di alleggerimento del carico fiscale e contributivo dei lavoratori dipendenti e non di quelli indipendenti – il cui apporto in termini di flessibilità andrebbe tangibilmente riconosciuto – risiede nella cultura dominante in questo paese che semplicemente non considera vero lavoratore chi non riceve una busta paga a fine mese; la stessa, per dire, che ritiene che chi percepisce redditi al di fuori del lavoro dipendente sia evasore a prescindere. La domanda invece non retorica che occorrerebbe porre è per quale ragione, se non per gli effetti di una sorta di sindrome di Stoccolma, tanti lavoratori indipendenti, certamente anche tra gli iscritti ad ACTA, continuano a sostenere e a votare le forze politiche che maggiormente a quella nefasta cultura si ispirano.
Silvestro De Falco
ReplyIo mi spingerei oltre e chiederei sgravi fiscali per i compensi ottenuti lavorando oltre le 40 ore settimanali.
Non esiste forse la detassazione degli straordinari per incentivare la produttività?
Non sarebbe difficile. Si potrebbe far riferimento agli studi di settore – dove dichiariamo anche il numero di ore lavorate.
Occorre che tutti noi facciamo di più per far capire che anche noi lavoriamo, eccome se lavoriamo.
Anzi, quasi quasi mi sto convincendo che se non ci fossero gli indipendenti che lavorano di notte, di mattina presto, i sabati e le domeniche, parecchi uffici stenterebbero a partire (sono proprio curioso di vedere cosa succederebbe se gli indipendenti decidessero di riposarsi una volta tutti insieme, magari per celebrare la Settimana Mondiale del Lavoro Indipendente)
Certo, ci sono le resistenze – anche interne, come sottolinea Mario Panzeri nel suo post – ma non è il caso di disperare. Prima o poi il mondo si accorgerà.