Alcuni commenti alla nostra indagine
18 Gennaio 2013 Vita da freelance
Renata Semenza
I dati emersi dall’indagine Acta non sorprendono.
Durante una fase di crisi economica di questa portata è naturale aspettarsi un inasprimento dei rischi individuali, soprattutto in un mercato già di per sé molto competitivo come quello del lavoro intellettuale qualificato.
Alle competenze tecnico-professionali si aggiungono in maniera ancora più consistente del solito le attività di relazione, di auto-imprenditorialità, di mantenimento della propria reputazione come fornitore di servizi. Si amplia di conseguenza la parte gratuita della prestazione professionale.
L’aspetto allarmante è che più della metà di chi risponde (nel comunicato stampa non ci sono informazioni su numerosità e composizione del campione) ha serie difficoltà economiche, si trova in altre parole in condizioni di semi-povertà o a rischio di povertà.
Partendo da questa consapevolezza vorrei però richiamare l’attenzione su due aspetti fra loro connessi.
Il primo è che quest’area del lavoro autonomo si contraddistingue per le significative diseguaglianze interne e infatti, durante questa fase,non tutti risentono della crisi o almeno non tutti ne risentono in misura uguale.
Quali sono le variabili che fanno la differenza?
Guardando i dati si direbbe che la maggiore esposizione alla competizione di mercato e la maggiore vulnerabilità sociale siano legate al tipo di competenza che il consulente/ collaboratore offre. Le competenze di carattere più tecnico-informatico-ingegneristico paiono più solide, meno fragili di quelle di carattere più creativo, a cui -in una fase recessiva- il mercato è più disposto a rinunciare.
Questa disparità di posizionamento nel mercato del lavoro, tra una componente professionale competitiva in quanto richiesta dal mercato anche in periodi di accentuata crisi economica e una più vulnerabile ed esposta alle fluttuazioni di mercato, le cui competenze sono probabilmente più inflazionate, ci suggerisce una seconda considerazione, o meglio uno spunto di riflessione.
Sarebbe opportuno soffermarsi non soltanto sulle caratteristiche dell’offerta e sulle condizioni di lavoro, ma sulla composizione della domanda di servizi qualificati. Fare un’indagine presso i committenti per conoscere più a fondo la questione vista dal lato delle imprese oppure trovare altre sedi di riflessione in cui siano le imprese a commentare questi stessi risultati.
Questo tipo di offerta di lavoro quale tipo di domanda fronteggia? Quali sono le previsioni di sviluppo del mercato dei servizi sul piano del fabbisogno di qualifiche e competenze professionali altamente qualificate e specialistiche? Potrebbe essere utile anche osservare le tendenze in atto in altri paesi europei e non, alcuni dei quali sono certamente più abituati e attrezzati di noi a ragionare sui fabbisogni occupazionali nel medio periodo.
Una riflessione di questo genere avrebbe il vantaggio di informare e orientare meglio chi già opera in quest’area del lavoro autonomo, ma soprattutto chi sta facendo il suo ingresso, per vocazione o per necessità.
Emiliana Armano e Lara Maestripieri
ACTA con questa indagine mette in luce la realtà invisibile ma sempre più consistente della vulnerabilità del lavoro autonomo e della conoscenza dentro la crisi. Si riscontra un depauperamento delle risorse inteso come esperienza di progressivo disallineamento tra la formazione e l’attività svolta. Questo rischio è amplificato dall’aumento della subordinazione e diminuzione dell’autonomia e come già evidenziato in precedenti ricerche, la quota di lavoro autonomo che si trova a vivere una condizione di monocommittenza e riduzione di autonomia è preoccupante.
Non assistiamo però a un generico processo di de-skilling ma al sospingere intenzionato del lavoro della conoscenza verso una progressiva erosione delle proprie prerogative, come forma di assoggettamento e proletarizzazione del lavoro autonomo dentro la crisi. A preoccupare non è solo il fatto che secondo l’indagine ACTA un lavoratore autonomo su due ha ricevuto nell’ultimo anno una richiesta di lavoro extra. Gli stessi dati evidenziano come cresca anche la percentuale di lavoro non produttivo, destinato alla ricerca di nuovi clienti e al recupero crediti. Dice molto bene Roberto Ciccarelli nel suo commento (Manifesto del 15/1/2013) quando rileva la crescita nella crisi di quella quota di lavoro gratuito che viene richiesto “normalmente” a monte, a valle, a fianco e oltre il contratto formale di lavoro.
I clienti stessi anch’essi messi in difficoltà dalla crisi e dalle politiche di austerità riscontrano delle difficoltà nei pagamenti. Il contratto informale che vive dentro le relazioni interpersonali, fatto di attese e fiducia reciproca, entra in crisi e non riesce più a funzionare come modello efficace di regolazione del mercato. Il risultato è che quasi il 22,6% dei lavoratori autonomi intervistati produce un fatturato insufficiente a sostenere le spese minime e un altro 48% ha un guadagno appena sufficiente a coprirle.
Pertanto, in questa nota vogliamo sottolineare un elemento che ci è parso particolarmente rilevante: quello del depauperamento economico e sociale del lavoro cognitivo e della privazione della voce pubblica che è lo specchio di un’intera generazione giovane e adulta, istruita, ricca di saperi ma inserita prevalentemente in ruoli precarissimi del lavoro della conoscenza, dalla partita iva alla consulenza al lavoro a progetto. Una generazione la cui esistenza pubblica è basata sul ricatto: o accettare il de-mansionamento, la sotto-occupazione o rinunciare del tutto a esprimere le proprie conoscenze nel lavoro e nella società.
Alle richieste di diritti giustamente avanzate da questo mondo, il legislatore è sempre stato incapace di rispondere. Dopo un’immobilità sul tema durata anni, nel corso dell’ultima legislatura è stato approvato in via definita il disegno di legge che regolamenta le associazioni professionali che rappresentano le professioni non regolamentate. Tuttavia, tale normativa si è limitata a sancire l’esistente e non ha avuto il coraggio di affrontare nessuna delle grandi questioni che la trasformazione del lavoro autonomo ha messo in campo negli ultimi anni: la questione dei diritti, la protezione del lavoro di conoscenza dal rischio di social dumping, il rispetto del contratto e dei tempi di pagamento per non parlare dei diritti previdenziali e di nuovo welfare. La disconnessione tra il lavoro della conoscenza e la classe dirigente è ancora una volta profonda.
Sergio Bologna
La nostra indagine avrebbe forse dovuto soffermarsi di più sul tema della coalizione. Conoscere a fondo tutti i risvolti, anche quelli più nascosti, del lavoro professionale indipendente è utile sì, ma alla fin fine la cosa importante è capire come se ne esce da questa situazione drammatica di crisi e di disorientamento. Poiché siamo convinti che il destino dei lavoratori – dipendenti o autonomi – è in parte nelle loro stesse mani, nella loro capacità di difendersi, o si comincia da qui o si continua a girare a vuoto ripetendo, ogni volta un po’ meglio, le cose che già sappiamo. Una spia di come i 744 rispondenti all’indagine percepiscono il problema della coalizione può esser data dalle frasi con cui hanno definito il loro giudizio e la loro posizione verso Acta. Premesso che la cosa che ci ha stupito positivamente è l’alta percentuale di risposte di non soci e negativamente la bassa percentuale di soci (bassa rispetto alle attese), la grande maggioranza riconosce l’utilità dell’azione svolta da Acta, con adesioni anche entusiastiche o con frasi del tipo “mi sembra che facciate un buon lavoro ma aspetto di conoscervi meglio”. Molti sono gli iscritti ad altre associazioni e dicono “questo mi basta”, alcuni hanno la doppia iscrizione e sono, tra i nostri soci, i più attivi. Colpisce, ma per alcuni di noi c’era da aspettarselo, la frequenza con cui si risponde che la non iscrizione dipende da ragioni economiche: la quota associativa Acta è di € 50,00 (cinquanta) all’anno e di € 30,00 (trenta) per i giovani. “Devo limare ogni spesa, non nego che sarei interessato all’iscrizione però…”, “Non sarei adesso in grado di versare il contributo di iscrizione. A malapena arrivo a fine mese. Aderirei volentieri se la mia situazione me lo permettesse”. Di un certo interesse le osservazioni sul perimetro della rappresentanza, dove ci sono forti disparità di idee. Da un lato quelli che chiedono un allargamento (“Sino ad ora mi è sembrato che ACTA si sia interessata prevalentemente del lavoro professionale delle P.IVA non tutelate da albi o ordini“). Un gruppo interessante, ma minoritario (sino ad ora, poi vedremo che accade post-rifoma). Credo che tra i co.co.pro e altre figure ce ne siano molte che non si sentono “finti autonomi” ma che non di meno hanno bisogno di voce, sostegno, tutele. “Se l’associazione ha in progetto di allargare la propria azione a tutto il mondo del precariato professionale o “quinto stato”, a prescindere dalle forme contrattuali, sarei interessata alla partecipazione. Steccati e deliminatazioni di campo ce ne sono già troppe..”). Dall’altro quelli che chiedono delimitazioni (“Ho aderito 2 anni fa, poi per pigrizia non ho più rinnovato. La partita iva accomuna sia veri lavoratori autonomi che finti lavoratori autonomi. Mi piacerebbe che ACTA si focalizzasse sulla prima categoria quella dei veri lavoratori autonomi. La seconda categoria esprime bisogni, necessità e modalità di approcciarsi al lavoro diverse che dovrebbero trovare maggiore espressione/condivisione nella missione di un’organizzazione sindacale”). Dall’insieme delle risposte emerge comunque una maggiore sensibilità al problema della coalizione (non avrebbero risposto se non lo sentissero urgente).