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Seminario sulla riforma delle professioni: il punto di vista del Colap

8 Aprile 2013 Eventi, Lavoro

Riceviamo da Giuseppe Lupoi del Colap un commento al seminario del 18 marzo Professioni: riforma o controriforma?

Qualche settimana fa sono stato invitato a un Seminario organizzato dal Dipartimento di scienze sociali dell’università di Milano in collaborazione con ACTA, l’associazione dei consulenti del terziario avanzato, sugli effetti della legge n. 4 del 2013, quella che già dal titolo mostra l’ambiguità del legislatore.
Che vuol dire: “Disposizioni in materia di professioni non organizzate.”? E’ già inusuale definire una nuova norma con una negazione, peraltro tronca del complemento. Ricorda altre stagioni, quando, ad esempio, si redigevano gli statuti delle Regioni e molte nel primo articolo si facevano vanto di definirsi regione antifascista.
Poi, il testo base della legge deriva dal lavoro della X° commissione della camera dei deputati che ha unificato le proposte di singoli deputati i cui titoli erano affatto diversi. Andavano da “Disposizioni in materia di professioni non regolamentate” (Formisano, Froner, Buttiglione), a “Disposizioni in materia di professioni associative” (Quartiani), a “Disposizioni in materia di riconoscimento delle associazioni professionali” (Lulli), a “Disposizioni concernenti il riconoscimento delle professioni non regolamentate e delle loro associazioni professionali” (Della Vedova).
Gli estensori del testo hanno avuto, cioè, la possibilità di scegliere tra un titolo banale, come “Disposizioni in materia di professioni non regolamentate” contenente una negazione e, ovviamente, incongruo in quanto negato dalla stessa proposta, e titoli assertivi, espliciti, sostanzialmente corretti. La legge tratta delle libere associazioni professionali e delle conseguenti professioni associative. Nulla di più logico, nulla di più piano, che scriverlo nel titolo: Disposizioni in materia di professioni associative”, oppure “Disposizioni in materia di riconoscimento delle associazioni professionali”.
Non hanno scelto né l’uno, né l’altro. Il titolo individuato non corrisponde a nessuna delle proposte originarie. E’ un parto della X° commissione della camera dei deputati che si è rifugiata in una ulteriore negazione, anch’essa, a ben vedere, priva di senso logico. Che significa professioni non organizzate? A noi sembra un sinonimo di professioni disorganizzate? Ma quale sarebbe la logica di perdere tempo a normare professioni disorganizzate? Facciamo peccato a pensare che i Signori deputati, nel loro sub conscio, abbiano avuto timore di esporsi troppo e dire apertis verbis che stavano trattando di libere associazioni professionali? E allora hanno preferito troncare il titolo e rimandare l’indicazione del complemento al primo comma dell’articolo 1: “… in ordini e collegi.”, peraltro parziale e fuorviante. Si potrebbe pensare che abbiano ritenuto che le parole ordini e collegi era bene che non fossero presenti nel titolo, per pudore, per timore di offendere un potentato o per altre ragioni che ci sfuggono.
Ma veniamo al dibattito che si è svolto a Milano.
La professoressa che ha introdotto il dibattito, tanto per gradire, ha posto il seguente dilemma agli oratori: la legge o è una opportunità, o crea altri vincoli, o non serve a niente. Davvero incoraggiante.
Il professore di diritto, chiamato a spiegare al pubblico la legge, ha affermato che è una legge confusa, che la definizione di professione è lacunosa, che l’unica utilità della legge è evidenziare la competenza senza però alcuna promozione o valorizzazione dell’attività del professionista. Si tratterebbe, a suo dire, di una legge “vetero-albista”, che “scimmiotta” gli albi, che crea nuovi obblighi poco utili al professionista, e così via dicendo.
Al mio turno non ho potuto fare a meno di esordire ricordando le parole che il mago Cutrone dei Giganti della Montagna ha rivolto alla Contessa: “sei lei, Contessa, vede ancora la vita dentro i limiti del naturale e del possibile, l’avverto lei qui non comprenderà nulla…”. Perché a me era chiaro che gli esimi relatori che mi avevano preceduto, pure esperti e a conoscenza della materia, nulla avevano capito della legge: l’avevano letta come se leggessero una delle altre 150.000 leggi vigenti, pieni di divieti e di obblighi, senza capirne la portata rivoluzionaria.
Non avevano capito quanto antitetica sia una associazione professionale rispetto a un Ordine, quale sia l’importanza della definizione di professionista data dalla legge, che la amplia sino alla forma societaria, certo già prevista dalla legge 109 del 1994, ma limitatamente alle professioni tecniche, quale sia l’attenzione che viene data dalla legge alla tutela dell’utente, come sia innovativo il modo di porsi del legislatore che non obbliga ma solo “consiglia”.
O forse non avevano voluto capire perché fa comodo, ai difensori del vecchio, a chi è cresciuto nel mito della professione protetta da riserve di legge, chiudere gli occhi e sperare che la 4/2013 diventi irrilevante.
Se avessimo avuto un dubbio sulla difficoltà del cammino che è dinnanzi a noi per fare applicare la “nostra” legge, ecco l’altro giorno ce lo siamo tolto! C’è molto da fare! Sarà la nostra missione dei prossimi mesi, dei prossimi anni: la seconda colonna che sorregge il sistema professionale italiano, quella rappresentata dalle professioni associative, dovrà ingrossarsi sino a raggiungere la prima, quella che compie ora i 100 anni, anch’essa da poco (mal) restaurata. Altrimenti non vi sarà equilibrio e il rischio di crollo sarà assai alto.
Ci piace, però, ricordare anche altri due interventi: quello di un rappresentante dei consulenti del lavoro che ha avuto l’onestà intellettuale di ammettere che i crediti formativi in atto nel mondo ordinistico sono del tutto fasulli, non danno formazione vera, confermando così quello che noi da tempo sosteniamo e cioè che per la formazione specialistica post laurea deve essere privilegiata l’Associazione professionale, e quello del rappresentante di Acta che ha criticato l’introduzione, sia pure volontaria, delle certificazioni UNI, la norma sulle forme aggregative delle associazioni e l’imposizione dell’obbligo, per chiunque svolga una professione inquadrabile nella legge, di dichiarare che essa è svolta sulla base delle legge 4/2013.
A quest’ultimo relatore, se avessimo avuto il tempo, avremmo voluto dire che siamo in totale accordo con le sue critiche. Le prime due sono norme che abbiamo dovuto subire pur di avere la regolamentazione delle associazioni, l’attestato di competenza e la qualifica di professionista per tutto il mondo non ordinista e che l’obbligo di scrivere “professione esercitata ai sensi della legge 4/2013” è stata introdotta in Senato all’ultimo minuto come mediazione tra l’imposizione richiesta dal partito di maggioranza di scrivere: professione non sottoposta al controllo degli ordini o niente legge.
Di fronte all’incertezza, alle perplessità, alla diversità di opinioni che la legge 4/2013 ha portato con sé noi siamo convinti che il lavoro di questi dieci anni sia stato un lavoro fondamentale. In tutta Europa il modello associativo è il modello che più di tutti risulta in linea con i principi di liberalizzazione, di ammodernamento,di competitività di cui abbiamo bisogno.
Esser riusciti ad affermarlo anche nel nostro paese, che da sempre dimostra una tendenza al conservatorismo, rappresenta un grande successo di cui siamo fieri.
Per noi questa legge è una grande opportunità ed il nostro lavoro nel prossimo futuro sarà proprio quello di avviare un percorso di interlocuzione con il ministero dello sviluppo economico ed una promozione verso l’esterno che consenta di rendere evidente a tutti la portata innovativa del provvedimento. Se faremo bene il nostro lavoro, quelli che ora esprimono dubbi sull’utilità di questa legge, se in buona fede, si ricrederanno.

ACTA

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