Abbiamo ancora bisogno della CGIL?
28 Maggio 2013 News, Vita da freelance
Scrivo queste note partendo dal post Non organizzateci per favore, in cui Romano Calvo ci aggiorna sulle ultime posizioni in casa CGIL riguardo i freelance e l’universo dei lavoratori autonomi della conoscenza.
Non ho letto i documenti di cui parla Romano, e non li leggerò, perché non voglio più perder tempo con la CGIL, ma il tema della relazione con i sindacati continua a suscitare attenzione, investimento di tempo ed energie da parte di molti dei soci ACTA, e per questo ritengo doveroso raccontare qualcosa della mia esperienza in ACTA, partendo dall’ultimo episodio di una storia ormai quasi decennale.
Lunedì sera (20 maggio) sono stato a un incontro nel circolo PD Milano Futura con Paola Giovannetti relatore ACTA (ha parlato lei, io sono solo intervenuto quando non ce l’ho fatta più a sentire il presidente del circolo che la contribuzione degli autonomi fra un po’ sarà pari a quella dei dipendenti, gli ho detto che è già superiore…).
Come AL SOLITO uno dei responsabili PD ci ha detto “è molto interessante quello che dite, se volete VI FACCIO INCONTRARE la CGIL…”
COME AL SOLITO sembrava che ci stesse facendo un favore, una concessione (ACTA, una piccola associazione con un paio di migliaia di iscritti, ammessi al cospetto del più importante e potente sindacato nazionale… Quale onore!).
Gli ho spiegato che con la CGIL sono ormai 10 ANNI che parliamo, ma non è MAI, MAI successo niente di positivo per noi, ANZI LE COSE VANNO SEMPRE PEGGIO… I contributi aumenteranno al 33% per l’ignoranza degli esperti del lavoro (che proprio non capiscono che paghiamo già di più), e il lavoro autonomo, il terziario, la flessibilità, l’autonomia, continueranno ad essere SCORAGGIATI. Il modello del lavoro in questo paese continua ad essere la grande fabbrica. L’imprenditore “sano” è quello che ti assume a tempo pieno e indeterminato. Gli altri sono “piccoli“, “precari“, “finti“.
Cambiano gli attori, ma sento dire sempre LE STESSE COSE.
Io ci ho messo 6-7 anni a capirlo, non credo che ACTA abbia sbagliato a muoversi in questa direzione nel passato. Ma mi dispiacerebbe vedere i nuovi “activisti” passare i prossimi 6-7 anni a rifare le stesse cose, ritentare gli stessi approcci, ripetere gli stessi tentativi…
Come Romano, anch’io credo che le soluzioni NON POTRANNO MAI ARRIVARE DA CHI HA CREATO IL PROBLEMA (stavamo meglio, ma molto meglio, quando non si erano ancora accorti di noi e i precari erano chiamati lavoratori flessibili che rispondevano in maniera sana a una richiesta del mercato e delle aziende).
Sono stato vice presidente di ACTA, e quindi qualcuno degli “activisti” più recenti ha chiesto se questa è la linea dell’associazione, esprimendo al contempo rammarico per il fatto che mi sono “scottato 7 anni fa“…
Naturalmente sono l’ultimo che può dare la linea, e non è questo il punto. Credo doveroso invece raccontare la propria esperienza e trasmetterla, perché chi arriva dopo non debba sempre e di nuovo ripartire da zero.
Io non mi sono scottato sette anni fa, di botto… La cosa è avvenuta progressivamente, nel corso di alcuni anni, nel corso di decine di incontri, contatti, telefonate, articoli, dibattiti, energie e tempo spesi…
Mio nonno era comunista e sindacalista, mio papà pure, io non avevo neanche mai considerato l’idea che avrei potuto non ritrovarmi nella sinistra… Sentivo che CGIL e sinistra parlavano di noi come “controparte” o come anomalia da riportare alla regola (poveri, oppressi, sfruttati, bisognosi di un contratto collettivo per esistere – quindi proletari da difendere – di un albo, di un ordine – quindi professionisti/controparte), ma pensavo si trattasse di un momentaneo accecamento, di una mancanza di conoscenza… e che presto avrebbero capito che noi eravamo il futuro, una classe di lavoratori finalmente libera dai vincoli della fabbrica e dai mezzi di produzione di qualcun altro, orgogliosi, autonomi, in grado di misurarsi con il mercato, in grado di creare sviluppo e benessere partendo dalle conoscenze come materia prima e strumento di produzione accessibile. Indipendenti dalla necessità di appoggi, raccomandazioni, giri e raggiri, da tutta la nefasta rete di clientele e di appoggi che fa del lavoro un “posto fisso”, indipendente dal valore di quello che produce, e quindi come tale sempre bisognoso di “protezione” (per molti di noi in ACTA invece la protezione, welfare, diritti, dovrebbero essere universali e incentrati sulla cittadinanza, non sul possesso o meno di un contratto di lavoro di un certo tipo).
E’ solo lentamente che ho percepito la presenza di una discontinuità, una incomunicabilità di fondo… più parlavano di noi, più cercavano di rappresentarci, più aumentavano i problemi… Allora cominci a far caso a certe cose, quando ti dicono “avete ragione, ma c’è chi sta peggio“, “alcuni di voi restano evasori“, “voi avete scelto“, “tu sei fortunato, tu sei bravo“, cominci a capire con orrore che non si tratta più di stupidità, di non conoscenza, ma di un sistema di pensiero, di una mentalità precisa, velati di odio e rancore verso chi non si riconosce nell’idea vetusta e superata di un mercato del lavoro che ci mette in concorrenza con la mano d’opera cinese, indiana, serba e rumena (3-6.000 € l’anno), invece di lanciarci in un confronto con i lavoratori della conoscenza delle start up newyorkesi e californiane (80-100.000 € l’anno).
La mia non è stata una “scottatura”, ma una “cottura” a fuoco lento. Si è trattato di un processo lungo e doloroso, molto frustrante, fatto di momenti di tristezza e abbattimento… Non auguro a nessuno di ripetere questa esperienza… Romano concludeva dicendo che chi ha creato il problema non può produrre le soluzioni. Mi fa venire in mente una bella e tremenda definizione di follia: “fare e rifare le stesse cose aspettandosi un risultato diverso“.
2 Commenti
giorgia
ReplyL’incapacità di comprendere i cambiamenti avvenuti nella società italiana e mondiale a seguito della rivoluzione copernicana portata da internet, si riflette anche in come vengono considerati i lavoratori autonomi e le start up. Pieni di iniziativa, proattivi, professionali e innovativi: il lavoro se lo creano ogni giorno senza aspettare che gli arrivi dall’alto. Dovrebbero essere sostenuti economicamente e politicamente ma prima ancora dovrebbero essere compresi nella loro ricchezza e ampiezza di potenzialità che sono in grado di portare in modo contributivo alla intera società anche, per esempio, nel ridare la speranza di poter mettere a frutto le proprie capacità a molte persone che il lavoro ancora lo aspettano non comprendendo che è necessaro cambiare paradigma. Questo mondo avrà bisogno di un numero sempre minore di lavoratori “dipendenti” intesi in senso tradizionale. Sono con ACTA che cerca di portare avanti per le battaglie per i “cittadini lavoratori” intesi nella loro vasta gamma di potenzialità e dignità umana e professionale.
Gilberto Allesina
ReplyAlfonso, 10 e lodi per il tuo articolo. La mia impressione è la stessa ma se guardiamo a come in questo paese non si discute con serietà di politica industriale, ma di poltrone da occupare, allora continueremo a navigare da soli.