Sondaggio Acta: ecco come la pensano i professionisti indipendenti
23 Dicembre 2013 Lavoro, Previdenza, Vita da freelance
Qualche mese fa abbiamo lanciato un sondaggio volto ad individuare i principali problemi e le priorità da affrontare.
Chi ha risposto
529 professionisti autonomi, di cui 1/4 soci ACTA e un altro 1/4 iscritti ad ACTA, ma anche un 10% che non conosceva ACTA (e un 40% che conosce ACTA ma non è iscritto).
Sono in ugual misura donne e uomini, relativamente giovani (quasi il 60% è nato dopo il 1970), ma decisamente concentrati al Nord (2/3, di cui 34,4% in Lombardia e 9,1% in Piemonte), il 25,9% al Centro (la metà nel Lazio) e solo il 6,6% al Sud. Quasi tutti lavorano per imprese (3/4) e/o Pubblica Amministrazione (un altro 20%), in genere come professionisti con partita iva senza cassa privata (77,5%).
I problemi
Il problema più sentito è senza ombra di dubbio il peso fiscale e contributivo, giudicato molto o moltissimo rilevante dal 94,9% dei rispondenti! Rilevanti anche il deterioramento della competizione (67,7% ), osservabile nella spirale della concorrenza al ribasso e nella slealtà dei concorrenti, e la diminuzione dei compensi per unità di lavoro (63,3%).
Attualmente, i seguenti problemi quanto sono importanti per te?
L’insostenibilità del “cuneo fiscale” è confermata dalle altre risposte.
In tema di politiche pubbliche i maggiori consensi si addensano sulle misure riferite all’ambito fiscale-contributivo, in particolare a quelle che mirerebbero a correggere le condizioni ritenute più inique: al primo posto il blocco dell’aumento della contribuzione previdenziale degli iscritti alla gestione separata. Al proposito sottolineiamo che siamo molto contenti di essere riusciti anche quest’anno a rinviare l’aumento con la campagna DicaNo33.
Seguono gli interventi per rendere il fisco più “amico” e la revisione dei costi deducibili (ad esempio per far diventare interamente deducibili le spese di formazione, vitali per chi svolge un’attività basata sulle conoscenze), oltre che una chiara indicazione sull’interpretazione dell’IRAP. All’ultimo posto la riduzione dell’IRPEF, non perché questa non sia importante, ma probabilmente, dato che è un’imposta che trasversalmente agisce su tutti non è percepita come iniqua rispetto ai professionisti autonomi.
Quanto i seguenti interventi sono urgenti
Naturalmente l’ipotesi di una diminuzione delle imposte non può che trovare tutti d’accordo, ma un’altra domanda dà conto dello stato di saturazione/esasperazione: davanti ad una ipotesi di scelta secca tra riduzione del carico fiscale-previdenziale e aumento delle prestazioni sociali (mantenendo il carico contributivo fiscale attuale), quasi i ¾ dei rispondenti (74%) sceglie la riduzione dell’imposizione fiscale-contributiva. Se consideriamo che si tratta di lavoratori con scarsissime tutele (e mai come nella situazione attuale si sente questa mancanza!), la risposta segnala in maniera inequivocabile che non ci sono margini per una crescita del peso fiscale-contributivo.
Tuttavia, se consideriamo gli iscritti alla gestione separata (l’89% dei rispondenti), l’esigenza di maggiori tutele è più avvertita, esplicitata come prioritaria dal 38,7%, particolarmente tra coloro che hanno maggiori difficoltà lavorative.
Molto sentita la questione dei bassi compensi: in questo senso si nota che i rispondenti apprezzano tutte le ipotesi di intervento proposte senza che nessuna emerga come risolutiva. Soprattutto ci si attende che la PA dia il buon esempio, garantendo compensi equi ai collaboratori esterni, eliminando le gare al massimo ribasso e adottando parametri che definiscano tariffe minime e non massime. In genere non c’è un interesse diretto a queste misure, dal momento che solo il 20% ha rapporti di lavoro con il settore pubblico, ma esse servirebbero a cambiare culture e comportamenti, a creare un benchmark positivo. I due terzi sono anche d’accordo sulla lotta al lavoro gratuito e sulla definizione di un compenso minimo per tutte le attività, incluse quelle di stage, e il 65% vedrebbe molto favorevolmente la definizione di tariffari di riferimento insieme alle associazioni.
Politiche da adottare per favorire più equi compensi
La sfiducia nel sistema pensionistico
L’aspetto che suscita maggiore indignazione e preoccupazione è il basso rendimento dell’investimento pensionistico pubblico (obbligatorio), caratteristica comune a tutti i “contributivi”. Seguono alcune specificità negative che rendono ancor più critiche le prospettive dei “lavoratori non tipici”: l’impossibilità di unificare diverse contribuzioni, la non copertura previdenziale dei periodi di non lavoro (i più sensibili coloro che hanno maggiori difficoltà lavorative), il dover lavorare sino a 70 anni se non si raggiunge un montante che consente di percepire un assegno pari a 1,5 volte quello minimo (quest’ultima misura riguarda gli iscritti alla gestione separata). Solo l’8% cita come misura più iniqua l’impossibilità di andare in pensione prima dei 66 anni.
Quali aspetti sono considerati più iniqui?
La consapevolezza di un futuro pensionistico incerto ha spinto il 24% a sottoscrivere uno schema assicurativo privato, un altro 39% vorrebbe sottoscriverlo e ci sta pensando.
Welfare: forte richiesta di tutela dalla disoccupazione
Dovendo scegliere una sola misura di intervento dell’area del welfare, qual risulta la più urgente? Quasi il 30% vorrebbe una pensione più adeguata, che remuneri correttamente quanto versato. Ma ci sono due risposte che considerate insieme fanno emergere in misura ancor maggiore la richiesta di una tutela dalla disoccupazione: il 25% vorrebbe l’introduzione di un reddito minimo garantito e il 17% una riforma degli ammortizzatori sociali. Tra i più giovani questa esigenza è ancora più sentita. Misure che andrebbero introdotte a carico della fiscalità generale, dato che comunque un aumento contributivo non è considerato sostenibile.
Tenuto conto della difficile situazione dei conti pubblici, quale intervento ritieni più urgente
La rappresentanza
Solo un quarto dei rispondenti è socio ACTA, il 22% aderisce ad associazioni professionali di categoria, il 20% ad altre associazioni, il 5% a sindacati e un altro 5% ad associazioni di imprese.
Le richieste alla propria organizzazione sono piuttosto diverse a seconda del carattere dell’organizzazione stessa. Per i nostri soci è prioritaria l’attività di lobby, per gli altri al primo posto ritroviamo i servizi legali e fiscali (molto desiderati anche dai soci Acta). Al terzo posto l’attività di networking, mentre la domanda di servizi per lo sviluppo professionale è più presente tra chi è iscritto ad associazioni di categoria.
Cosa ti aspetti in maniera prioritaria dalla tua Associazione
La grande maggioranza (quasi il 70%) affida il ruolo di rappresentanza di interessi ad associazioni che, come Acta, rappresentano trasversalmente le professioni, il 15% si affida invece alle associazioni di categoria, mentre un 10% non crede nella rappresentanza e ritiene che il sostegno dei professionisti autonomi passi attraverso il rafforzamento delle capacità di contrattazione individuale dei singoli. Quasi nessuno ritiene sia utile rinforzare sindacati e associazioni delle imprese.
Ritieni che per i professionisti autonomi sia più utile rinforzare
Infine abbiamo chiesto l’opinione sulla legge delle professioni.
Il 56% non la conosce, solo il 4% si attende che aiuti a valorizzare la propria professionalità, mentre il 21% ritiene che potrà creare vincoli e costi e il 19% che non cambierà nulla.
2 Commenti
paolo
ReplySe i sondati sapessero che i contributi previdenziali sono imposte, le risposte sarebbero diverse sul punto della richiesta di diminuzione delle prestazioni previdenziali.
https://it.wikipedia.org/wiki/Contributi_previdenziali
Ma hanno ragione sullo scarso rendimento, visto che è legato solo a PIL.
https://it.wikipedia.org/wiki/Metodo_di_calcolo_contributivo_a_capitalizzazione_simulata
Milo
ReplySalve a tutti (in particolare ad ACTA),
in merito alla natura del lavoro ‘indipendente’, e della necessità di ribadire la libera scelta della nostra condizione, vi consiglio di tenere d’occhio quella mostruosità che stanno per propinarci sotto il nome altisonante del cosiddetto ‘Job Act’ di Renzi(e).
Anche in questa ennesima riproposizione, più o meno mascherata, della flexsecurity di Ichino (come non fosse bastata la legge Fornero), il lavoro vuole essere ricondotto al lavoro subordinato, perché secondo Renzi(e) e le sue eminenze grigie, quando uno ha la partita iva è sempre e comunque contro la sua volontà.
Per cui via con la conversione in contratti-a-tempo-indeterminato-fasulli-senza-articolo-18 che faranno la felicità degli imprenditori e dei sindacati: in questo modo ci ricondurrebbero tutti nel novero della contrattazione collettiva nazionale, con buona pace della nostra indipendenza, ma senza (almeno) la tutela dell’art. 18. Tutti ‘soldatini subordinati’, senza potere di contrattazione, senza possibilità di organizzare il nostro tempo, senza possibilità di lavorare per più committenti (anche mantenendo un committente prevalente), magari con timbratura oraria e ‘multe per mancata timbratura’.
Chiedo ad ACTA di vigilare ancora una volta (come fece efficacemente ai tempi della Fornero) su questa ennesima ricetta che nasce già vecchia: come se poi il lavoro si creasse dal nulla, modificando per la milionesima volta le norme, senza investire risorse ingenti per far ripartire l’economia e quindi le committenze.
Ci aspettano tempi nuovamente difficili, come nel 2012 con la Fornero: non abbassiamo la guardia.
Grazie,
Milo