Nessuno si aspetti una vera pensione!
27 Febbraio 2014 Lavoro, Previdenza
E’ uscito nei giorni scorsi, molto in sordina, con il messaggio dell’INPS n.2626/2014 il tasso di rivalutazione per il montante pensionistico alla data del 31/12/2012, tasso fissato allo 0,1643%, praticamente una miseria, una nullità, come avevamo già previsto ampiamente! Come tutti gli addetti ai lavori conoscono perfettamente, il montante pensionistico (l’importo sul quale alla fine si calcolerà la pensione) è dato dai contributi versati durante gli anni di attività lavorativa maggiorati della rivalutazione, calcolata annualmente sulla media del PIL degli ultimi 5 anni. Oggi pertanto l’INPS, con l’ufficializzazione del tasso di rivalutazione, provvederà ad aggiornare i montanti rivalutandoli , parliamo, ribadiamolo bene, delle somme accantonate alla data del 31/12/2012 o di quelli versati per l’anno 2012 (se trattasi del primo anno di lavoro in qualsiasi gestione Inps).
Facciamo un semplice e significativo esempio:
nell’anno 2012 un lavoratore dipendente con uno stipendio lordo di circa 22.000 euro ha versato tramite l’azienda contributi pari a 7.260 euro, cioè il 33% del suo stipendio: l’INPS dunque ha incassato durante l’intero anno 2012, mese per mese, il 33%, tramite gli F24 e solo oggi, a distanza di quasi 2 anni (se pensiamo che i primi soldi sono confluiti nelle tasche dell’Inps il 16 Febbraio 2012 !!!), si degna di considerare queste somme e rivalutarle. Il calcolo dell’INPS è facile e spietato: euro 7260 x 0,1643% = 11,92 euro – Montante al 31/12/2013 pari ad euro 7260+11,92 = 7271,93!!!! Tanto facile quanto incredibilmente assurdo! L’INPS, lo Stato, considerano i nostri soldi, quelli validi per la nostra futura pensione, praticamente nulla, non ci sono interessi (non abbiamo la forza di considerarli interessi questi), non c’è nulla!! Siamo lontani anni luce da qualsiasi parametrizzazione con gli interessi di borsa e di mercato ma persino lontanissimi dai modestissimi depositi postali, per non parlare dei Bot, siamo meno dell’inflazione, siamo meno di qualsiasi tasso esca fuori dai calcoli dell’ISTAT, nemmeno gli interessi legali fissati all’1% annuale: siamo al vero e proprio furto, non riesco a trovare altra parola!!!! In sostanza dunque i soldi dati allo Stato, ufficialmente per la creazione del primo Pilastro Previdenziale (obbligatorio) quello destinato a garantire la “giusta pensione” , saranno rivalutati praticamente… zero. Ricordiamolo bene: il PIL non è l’Istat, il PIL infatti non considera minimamente il potere di acquisto, è un parametro che valuta essenzialmente la capacità economica di un Paese, niente altro. I nostri legislatori, sia quelli che hanno ideato il sistema contributivo dal 95 che quelli successivi, si sono ben guardati di rifletterci sopra!
Se ritorniamo per un attimo all’esempio suindicato e supponiamo che il lavoratore sia un giovane al suo primo anno di lavoro si capisce bene quello che sarà il suo magro bottino pensionistico futuro : anni e anni di versamenti imponenti (il 33% è una cifra elevatissima che non lascia margine ad altri accantonamenti!) per non avere alcuna considerazione economica da parte dello Stato! Questo sistema contributivo vale per qualsiasi gestione Inps, dai dipendenti ai commercianti/artigiani agli sfigati della Gestione Separata (le partite iva si pagano l’intero contributo da soli senza alcun intervento di committenti o aziende!), insomma l’iniquità, per una volta, è per tutti!
Pensiamo semplicemente per un attimo a cosa poteva farci con una parte di quei soldi il giovane in questione, quante cose… reali! Intanto sicuramente poteva vivere meglio e non è poco, spendere e/o risparmiare e/o realmente pensare al proprio futuro e se appena soltanto la metà di quei soldi fossero finiti nelle sue tasche, e parliamo di circa 3.630 euro (circa 300 euro al mese!), gli si sarebbero aperte svariate possibilità di investimenti pensionistici (per restare nell’ambito), con rendimenti infinitamente superiori a quelli inesistenti corrisposti oggi dall’INPS, per non pensare della movimentazione economica generale (investimenti, consumi ecc.). Fare investimenti peggiori di quelli dell’INPS è praticamente impossibile, non credete? Se i soldi finissero sotto la classica mattonella (alla Totò) forse frutterebbero di più!
Questi dati reali purtroppo devono scuoterci e devono far riflettere. Non sono più ipotesi o calcoli astrusi, non sono più soltanto parole (basta leggere un semplice estratto conto dell’INPS) e ormai confermano sempre più che la proposta di una totale e globale “riforma pensionistica” è assolutamente pertinente e valida, ma soprattutto ogni giorno di più diventa più urgente! C’è un dovere morale prima che politico di affrontare la questione, soprattutto per le future generazioni che non hanno colpe del disastro attuale! Affamare oggi i cittadini, soprattutto i giovani, (le aliquote contributive in Italia sono altissime, pari al 33% del reddito) e affamarle anche domani (pensioni ridotte all’osso sotto la soglia degli assegni sociali!) è palesemente non solo un abuso ma è forse … criminale!
Qualcuno nel mondo politico ha davvero il coraggio di dire chiaramente e pubblicamente ai giovani dipendenti di oggi o ai cocopro o alle partite Iva o ai lavoratori atipici e a quelli occasionali ecc. che il loro futuro sarà così misero? Che il loro compito oggi è solo e soltanto quello di garantire le pensioni d’oro e quelle attuali? Che i loro soldi non valgono in mano all’INPS nemmeno una pizza e una coca-cola a distanza di 2 anni?
30 Commenti
Manuel
ReplySi tratta di un sistema gerontocratico nauseante. Dovrebbe essere ovvio a tutti che i contributi che oggi paghiamo non sono parametrati a garantirci una pensione domani, ma servono a garantire la copertura delle pensioni già erogate. Un sistema folle.
Il risultato sarà la perpetrazione dello status quo: chi oggi ha genitori e nonni beneficiati dalle regalie pensionistiche del passato, domani avrà in eredità un bel gruzzolo con cui consolarsi della misera pensione contributiva. Perché ovviamente oggi i genitori e i nonni “contributivi” riescono a risparmiare. Gli altri dovranno arrangiarsi.
Questa è l’essenza dell’Italia: nessun merito, impegno o sacrificio personale che possa riscattare la propria condizione sociale. La ricchezza deve essere ereditata, e se ne può beneficiare solo per gentile concessione dei patriarchi. Una nazione morta.
Manuel
ReplyErrata corrige: ovviamente intendevo “oggi i genitori e i nonni RETRIBUTIVI riescono a risparmiare”.
Anonimo codardo
ReplyMa è legale ? A qualsiasi somma trattenuta a qualsiasi titolo dovrebbe spettare almeno l’interesse legale. Non si può attaccare su questo punto ?
Mauro
ReplyNon vedo dove sia il problema… basta non pagare i contributi e ci si mette i soldi da parte e fanculo l’inps!
paolo
ReplyGentile Alessandro, anche lei è vittima della disinformazione che i politici, i giornalisti, i sindacati, i rappresentanti di tutte le categorie, dalla confindustria ai netturbini, dagli astronauti ai sarti coltivano.
Solo questo è sufficiente per chiedere, come faccio da tempo, la chiusura dell’INPGI.
Fortunatamente oggi c’è Wikipedia.
https://it.wikipedia.org/wiki/Metodo_di_calcolo_contributivo_a_capitalizzazione_simulata
https://it.wikipedia.org/wiki/Pensione
https://it.wikipedia.org/wiki/Sistema_pensionistico_senza_copertura_patrimoniale
https://it.wikipedia.org/wiki/Default_dei_sistemi_pensionistici_obbligatori
paolo
ReplyIn realtà i sistemi pensionistici senza copertura patrimoniale o a ripartizione, sono quelli che possono benissimo garantire le pensioni future, a patto che siano amministrati con un minimo di sale in zucca.
Cosa che non appartiene ai nostri politici.
La pensione non viene garantita dagli interessi (si dice infatti capitalizzazione simulata), ma dalla crescita del paese.
Se il paese decresce del 5% come è accaduto nel 2008, o si riducono le pensioni di quell’importo oppure bisogna tagliare gli altri servizi.
Poiché siamo in perenne campagna elettorale, nessuno osa sfidare la lobby dei pensionati anche se prendono molto di più di quanto hanno versato e per fare ciò si preferisce non pagare le imprese che hanno fatto i lavori per lo Stato.
Generando ulteriore decrescita e maggiore squilibrio della spesa pensionistica rispetto al PIL.
Oppure si colpisce duramente una categoria ristretta (vedi esodati) che al voto possono essere ininfluenti, scaricando su di loro i costi di tutte le promesse pensionistiche.
La colpa non è dell’INPS che non sa gestire il patrimonio che non esiste (è un sistema senza copertura patrimoniale) ma nella classe dirigente (sindacati, confindustria, giornalisti, manager) che non dice come stanno le cose e permettono il dissesto di una nazione.
Per questo non accetto più, da chi ci comanda, la rottura di coglioni quotidiana sul fatto che c’è la crisi.
Come può non esserci se i vitalizi dei consiglieri regionali restituiscono 48 volte il versato?
Come può non esserci si le pensioni degli ingegneri restituiscono 8 volte il versato?
E le baby pensioni che restituiscono il triplo?
E i giornalisti? Con il loro ente previdenziale che non rispetta i requisiti di legge e dovrebbe essere commissariato?
Avete mai sentito parlare un giornalista dei problemi del loro ente?
Non parliamo dei vitalizi dei parlamentari.
Allora per favore, cari rappresentanti politici, sindacali, confindustriali, economisti, professori universitari ecc. ecc.
DA OGGI, NON ROMPETEMI PIU’… CON LA CRISI.
https://it.wikipedia.org/wiki/Baby_pensioni
Massimo
ReplyDopo aver mandato in pensione i bamboccioni di ieri a 40 anni di età adesso cosa volete ?
Tenetevi l’ Italia unita che vi piace tanto e pagate le pensioni di tutte le Stirpi di terroni che ancora oggi vivono betatajmnte grazie alla vostra insipienza politica.
Pagate e non rompete le scatole.
E viva l’ Italia !
4 black
ReplySmettetela di dire che quelli del retributivo incassano più di quanto hanno versato. Per l’anzianità bisognava pagare per 40 (quaranta!) anni, ora 43. Con i conteggi fatti sopra col fischio che ricevono indietro i soldi versati (li ritirano in media per 15 anni – dopo aver pagato per 43!!! – quanto verserete voi che parlate tanto e iniziate a lavorare se va bene a 28/35 anni?).
Ci sono due aspetti che mandano in default l’Inps:
1) in Italia ci sono 2,6 mln (duevirgolaseimilioni!!!) di pensionati con la minima (ca.500 eur) e queste sono pensioni sociali che non hanno pagato contributi (o in parte infinitesimale) ma che gravano però sul calderone del montante di chi ha versato!
2) Ci sono ca. 3 mln (tre milioni!!!) di lavoratori statali per i quali lo stato non versa un cent di contributi ed adesso con la “porcata” della fusione dell’Inpdap in Inps hanno affossato il montante dell’ INPS falsificando i conti sempre di chi ha lavorato e versato per quaranta!!! (non mi stancherò mai di dirlo, 40 anni!!!) sostenendo che il sistema ora non regge. E te credo…quasi sei milioni di assegni erogati che vanno conteggiati sulle sole entrate dei contributi dei dip.ti privati. E’ questo che fa rendere insostenibile i conti dell’Inps e falsamente incolpano chi ritira pensioni di 1.200/1.400 euro netti mese cifre più che legittime dopo aver sgobbato per 40/43 anni…mentre continuano a percepire privilegi scandalosi che si guardano bene di toccare.
Smettetela pertanto di abboccare al falso teorema dello scontro generazionale azionato di proposito per demolire i requisiti di chi ha versato; lottate invece per riconoscere questi diritti anche alle nuove generazioni!
Dio no xe furlan, chi no paga oggi pagherà doman…
Andrea
ReplyFra qualche anno l’INPS fallirà!!!
susanna botta
ReplyCari Massimo, black ecc (a parte che sarebbe molto più corretto e coraggioso postare i propri commenti con il nome e cognome, senza pseudonimi) vorrei solo ricordare che anche i contribuenti di oggi, che versano la stessa percentuale di quelli di ieri, si godranno la sudata pensione soltanto per 15 anni, anzi molto probebailmente per molti meno anni perchè la pensione di anzianità è stata abolita e si va in pensione molto più tardi, quando i soldi probabilmente serviranno soltanto a pagare la casa di riposo o la badante, con la piccola differenza che la stessa quantità di contributi versati col sistema retributivo danno diritto a una pensione di gran lunga maggiore degli stessi contributi versati con il sistema contributivo. Il punto è che il sistema così com’era prima oggi non funziona più, e quello che è stato introdotto nel 1995 è iniquo, e tra l’altro non è neanche dato di sapere quali saranno i coefficienti di trasformazione e di rivalutazione che saranno applicati al montante. L’espressione “lotta tra generazioni” è ovviamente mediatica e solo d’effetto, ma la verità è che non si pensa nel lungo periodo, ma ci si limita a mettere una toppa, alla faccia dei giovani e meno giovani, magari anche “terroni” (e grazie per la finezza) che lavorano e versano, e non sono ancora andati in pensione.
Susanna Botta
paolo
ReplyA proposito di chi parla di default dell’INPS o di errata gestione del patrimonio, volevo ribadire che il sistema pensionistico è senza copertura patrimoniale, quindi non possono essere capitalizzati interessi su un patrimonio che non esiste.
La rivalutazione è fatta su un indice legato al PIL ossia il reddito prodotto dalla nazione.
Paradossalmente, se i dipendenti dimezzano i loro redditi e conseguentemente i loro contributi versati, il sistema si baserà per sostenersi sulla fiscalità generale oppure si debbono dimezzare le pensioni future a prescindere da quanto versato.
Silvestro De Falco
ReplyCaro Paolo,
ho notato i suoi interventi in materia pensionistica da un po’ di tempo a questa parte e, a dire il vero, sono sempre stato un po’ riluttante a ingaggiare una conversazione con una persona che non si firma con nome e cognome.
Poi ho pensato che si vede che si è impegnato a capire come funziona la previdenza e già questo depone a suo favore.
Personalmente condivido molte delle cose che dice ma non sono d’accordo su altre.
Le chiederei, se è d’accordo, di illustrarci quello che sa e che pensa in maniera abbastanza succinta e io cercherò di rispondere ai punti che solleverà.
Chi le scrive è un socio di Acta che ha un suo progetto di riforma previdenziale che Acta stessa ha rifiutato per l’influenza troppo diffusa di gente al suo interno che vive ancora nel mondo che non c’è più.
Mi farà piacere se riuscirà a farmi cambiare idea, così magari la smetto di perdere tempo e mi dedico un po’ di più al mio lavoro per cercare di bilanciare quel 27,72% che pago all’INPS e che da solo sarebbe più che sufficiente a farmi avere una pensione decente.
4 black
Reply…ecco bravo, tu paghi il 27,72%. Pensa che io pago il 33,3%; cosa dovrei dire?
Silvestro De Falco
Reply@ 4 black
esattamente quello che dico io, che siamo due vittime, tenendo ben presente che probabilmente 2/3 del tuo 33,3% te li paga il committente/datore di lavoro mentre il 27,72% viene fuori interamente dalle mie tasche. E dopo aver sottratto il 27,72% pago più o meno il 35% di tasse su quello che rimane. Vogliamo fare una gara a chi viene trattato peggio o vogliamo vedere di trovare un’alternativa?
paolo
Reply@ Silvestro De Falco, il fatto di parlare in anonimato deriva da una semplice costatazione: gli esperti, i giornalisti, i politici, dicono una montagna di bugie.
Se gli esperti dicono bugie, come può un semplice cittadino metterci la faccia?
L’intervista di Damiano sulle partite IVA ne è un esempio.
Il problema è che parlano tutti pensando o ai voti o alla propria pensione.
Poiché non ho intenzioni di andare a prendere voti e la pensione non è all’ordine del giorno, ho deciso di studiare l’argomento, almeno per avere la soddisfazione di smascherare questi cialtroni in circolazione.
Quali sarebbero i punti che non ti convincono?
Ti premetto che li sto affrontando su wikipedia dove c’è l’obbligo di fornire le fonti.
Per evitare di essere ripetitivo sto riportando tutto li.
Saluti.
Silvestro De Falco
Reply@Paolo,
hai manifestato le tue idee in tanti post e risulta difficile per me fare un riassunto. Ricordo semplicemente che alcune delle cose che scrivevi partivano da presupposti non condivisibili.
Per questo ti avevo chiesto di farcelo tu, il riassunto.
Comunque, una volta che hai finito su Wikipedia ci dai il link, così lo andiamo a leggere li.
Il mio era un semplice tentativo di aprire un discorso costruttivo, basato su un dialogo fra persone che si impegnano a capire e che sono propense – almeno per quanto mi riguarda – a formulare proposte.
paolo
Reply@ Silvestro De Falco
Quello che volevo far capire è che il sistema pensionistico che abbiamo, è senza copertura patrimoniale, significa che parlare di interessi e capitalizzazione ha poco senso in quanto non esiste un capitale da mettere a frutto poiché i contributi previdenziali vengono spesi nell’anno in cui vengono riscossi.
Tutti i sistemi a ripartizione funzionano così in tutto il mondo e nessuno si lamenta.
In questi sistemi la pensione (che è un servizio pubblico e non la restituzione di chissà cosa) viene calcolata con un qualsiasi metodo PAYG che può essere il metodo di calcolo contributivo o il metodo di calcolo contributivo. Entrambi possono essere generosi o penalizzanti, dipende dai coefficienti che usano. In Italia, il primo ha usato coefficienti di rendimento alti e medie retributive alte rispetto ai contributi versati ed hanno deciso di passare al metodo contributivo che con l’aumento dei contributi e l’innalzamento dell’età di pensionamento, diventa un poco penalizzante rispetto al primo.
Tutto ciò va visto in un’ottica ampia ossia guardando al livello complessivo di tassazione, al cuneo fiscale, e al livello di pressione fiscale legale cui sono sottoposti i singoli cittadini.
Ragioniamo con un paese che ha un minimo di crescita economica ed una certa stabilità demografica.
Con queste premesse, il sistema pensionistico a ripartizione è quello usato tranquillamente in tutto il mondo ove la generazione attiva, con l’imposizione fiscale, mantiene sia i servizi pubblici che la spesa pensionistica.
Il problema in Italia è su due fronti.
L’uso politico delle promesse pensionistiche, ha portato la spesa pensionistica al 16,8% del PIL contro un 12% della Germania che ha lo stesso numero di pensionati, quindi vi è un problema di qualità della spesa pubblica ossia mentre in Germania fanno delle politiche di salvaguardia di situazioni di bisogno quali disoccupazione, abitazione, infanzia, noi spendiamo per dare pensioni più elevate ai 2 milioni di pensionati più ricchi. Ho sentito che in Germania le pensioni non superano i 3000 euro, ma non ho trovato documenti.
Quindi un problema è nella qualità della spesa pubblica.
Il secondo problema è nel finanziamento della spesa pubblica ossia nella pressione fiscale.
La pressione fiscale italiana è al livello della Svezia, ma questa è la pressione fiscale apparente che tiene conto del reddito nascosto al fisco.
Significa che la pressione fiscale legale di chi non occulta nulla al fisco, è la più elevata al mondo.
Quindi noi abbiamo il fisco svedese caricato su una platea ristretta per dare servizi pensionistici migliori di quelli tedeschi ad una platea ristretta.
In sintesi abbiamo il peso delle caste che è diventato insostenibile due volte in quanto chi vuole essere in regola ha un 65% di pressione fiscale legale.
Bisogna agire su due fronti. Individuare le caste e riportarle a miti consigli.
Diminuire la pressione fiscale legale ed aumentare il reddito tassabile legalmente.
Io concordo che le partite IVA debbano arrivare ad un livello contributivo pari a quello dei dipendenti, ma avere le stesse tutele e soprattutto ridurre il cuneo fiscale che grava sul lavoro.
Damiano sponsorizza l’aliquota per le partite IVA al 24%, poi quando gli si chiede perché le stesse non hanno le tutele dei dipendenti, dice che è perché i servizi vanno pagati.
Peccato che l’INPS paga i servizi ai dipendenti con 100 miliardi della fiscalità generale ossia tutta l’IVA.
Quindi sono per un unico sistema, con regole omogenee e servizi omogenei.
E’ quello che già stanno facendo, anche se nessuno ne parla.
Il secondo passaggio è (e tra qualche anno i fatti ci obbligheranno a prenderne atto) che la spesa pensionistica va ridotta almeno di 3 punti di PIL.
Magari senza diminuire la spesa pubblica, ma facendo ripartire gli investimenti o tutelando le fasce deboli.
Fantapolitica?
Silvestro De Falco
Reply@ Paolo
Spero di poter chiarire alcuni punti, in modo che la tua ricerca possa prendere in considerazione altre prospettive.
Prima di rispondere ad alcuni tuoi rilievi vorrei fare alcune premesse.
Un sistema pensionistico dovrebbe avere come obiettivo principale quello di evitare, per quanto possibile, il rischio di povertà della popolazione anziana.
Il sistema pubblico italiano ha sempre cercato di soddisfare questa esigenza garantendo a tutti, o quasi, una pensione che – prescindendo dall’assegno sociale e da altre forme di assistenza, che ricadono più propriamente nella categoria welfare – era erogata in base al metodo “a prestazioni definite”, detto anche retributivo.
La caratteristica di questo piano di pensione è che lo sponsor, in questo caso lo Stato, garantisce una prestazione legata a un determinato parametro, p.es. 80% dell’ultimo stipendio. In questo senso, il rischio ricade tutto sullo sponsor, vale a dire sullo Stato, il quale è tenuto a adempiere a questo obbligo vita natural durante.
È un dato di fatto che i contributi coprono solo in parte l’assegno pensionistico che il lavoratore che va in pensione con questo sistema riceve mentre il resto deve venire da un’altra fonte e comunque rappresenta un trasferimento che, nell’ambito dello stato sociale, dovrebbe avvenire da chi ha di più a chi ha di meno.
Per finanziare questo sistema in Italia, e in gran parte dei paesi, si usano i contributi dei lavoratori attivi con un metodo detto a ripartizione. L’altro metodo di finanziamento è quello ad accumulazione, dove i contributi vengono accantonati e investiti.
Quindi è fondamentale distinguere questi due momenti di un piano di pensione: il metodo di calcolo delle pensioni (che sono o a prestazioni definite, c.d. retributivo, o a contributi definiti, c.d. contributivo) e il metodo di finanziamento delle pensioni.
Alla base della riforma previdenziale in Italia, ma anche altrove, c’è il c.d. population aging, vale a dire la denatalità, che fa diminuire il numero dei lavoratori attivi che dovranno pagare i contributi con cui finanziare il sistema pensionistico a ripartizione.
Quindi, a mio modesto avviso, fare una riforma previdenziale cambiando il metodo di calcolo delle prestazioni – dal retributivo al contributivo – senza affrontare il vero problema, quello del finanziamento, significa aver preso lucciole per lanterne.
Infatti, laddove è cosa nobile tener presente i vincoli che le ristrettezze a un certo punto impongono allo Stato, occorre tenere sempre presente che il sistema pensionistico ha un senso solo se protegge i cittadini dalla povertà; viceversa è un’aberrazione ridurre i cittadini in povertà per tutelare il sistema pensionistico.
Inoltre, il problema è esacerbato anche dalla crisi economica, perché la disoccupazione fa diminuire la base contributiva – i. e. i salari – su cui applicare le aliquote previdenziali per finanziare il sistema.
L’unico modo per trovare l’equilibrio è quello o di aumentare il carico contributivo su un numero decrescente di lavoratori occupati o diminuire le pensioni in maniera sempre più pronunciata, o una combinazione delle due azioni. In alternativa si possono pagare rivalutazioni basse in modo che, non adeguandolo all’inflazione, il montante restituito sarà più basso in termini reali. In altre parole ti do 15 euro quando con questa cifra posso comprare pizza e birra e mi ridai 20 euro quando una pizza e una birra ne costano 30.
Detto questo, il passaggio al contributivo ha di fatto segnato la fine dello stato sociale nel campo pensionistico.
Infatti, con il contributivo lo Stato ha consegnato ai cittadini la responsabilità per il loro futuro: quanto versi tanto prendi.
È chiaro che, a questo punto, i contributi che i cittadini versano si configurano come vero e proprio risparmio previdenziale e, in quanto tale, sarebbe opportuno impiegarlo nella maniera più remunerativa possibile, proprio per cercare di assicurarsi una vecchiaia decente o quanto meno commisurata alle proprie capacità di guadagno e di risparmio.
Farei a questo punto alcune considerazioni su quanto da te affermato:
1) Quello che volevo far capire è che il sistema pensionistico che abbiamo, è senza copertura patrimoniale, significa che parlare di interessi e capitalizzazione ha poco senso…
Immagino che tu voglia dire che i soldi non sono accumulati in un conto.
Quando impieghi il tuo risparmio in un deposito bancario neanche la banca li lascia lì, ma li usa per finanziare famiglie e imprese. In quel senso quindi nessuno li tiene sotto la mattonella. Il risparmio va remunerato, specialmente se mi serve per garantirmi una vecchiaia tranquilla.
2) Tutti i sistemi a ripartizione funzionano così in tutto il mondo e nessuno si lamenta…
Funzionano così fino a quando la popolazione non invecchia e rimangono relativamente pochi lavoratori a finanziare il sistema, fino a quando è a prestazioni definite (“retributivo”) e fino a quando si paga il 12-13% (USA o Svizzera) e si ha lo spazio per impegnare i propri risparmi previdenziali in maniera più proficua.
Qui ci lamentiamo perché le nostre sono fra le più alte aliquote previdenziali dei paesi OCSE (per i dipendenti siamo al secondo posto; sarei pronto a scommettere che la cosa vale anche per gli indipendenti) e ci dicono pure che le pensioni non saranno sufficienti (v. Corriere Economia 3/3/2014). Di grazia, quando mi hai tolto il 27,72% solo per il primo pilastro, quello pubblico, dove pensi che io possa prendere soldi da impiegare in maniera più proficua? E perché mai dovrei ricevere una pensione insufficiente quando altrove il 27% sarebbe più che sufficiente a crearsi una buona pensione?
Certo, mi dirai, lo Stato è in crisi. Lo so, ma si risolve la crisi dello Stato impoverendo le prossime generazioni? Non si crea così un circolo vizioso?
3) Il secondo passaggio è (e tra qualche anno i fatti ci obbligheranno a prenderne atto) che la spesa pensionistica va ridotta almeno di 3 punti di PIL…
È sbagliato parlare di spesa pensionistica mentre sarebbe più giusto parlare di esborso pensionistico.
Tecnicamente la spesa è la differenza fra costi e ricavi. Quindi nel caso delle pensioni erogate con il metodo retributivo, la vera spesa pensionistica è data dalla differenza fra i contributi ricevuti e le pensioni pagate.
Con il metodo contributivo, non si può neanche parlare di spesa perché lo Stato ti restituisce quello che tu hai versato; al massimo si può considerare spesa la rivalutazione.
Pensa ad una banca che ti restituisce il denaro che tu hai depositato. Il prelievo non è registrato come una spesa ma come il rimborso di un debito mentre il deposito non è registrato come un ricavo ma come un debito. È esattamente la stessa cosa.
Quindi, come vedi, quando si parla di spesa in un modo o nell’altro sei sempre portato a pensare che c’è qualcosa di superfluo da eliminare e non la riduzione di fatto di un prestito che ti dovrebbe essere restituito per intero, con gli interessi.
paolo
Reply@ Silvestro De Falco, i punti da chiarire sono sempre gli stessi:
la pensione è un servizio pubblico come la scuola, la sanità, la RAI, l’ANAS, e quando viene erogata è spesa pubblica.
La scuola che viene erogata oggi ai nostri giovani, non è la restituzione di nulla, ma semplicemente quello che lo Stato decide di investire in quel servizio per garantire dei risultati.
Le pensioni che avremo, dipenderanno dalla solidità finanziaria dello Stato, nel momento in cui saranno erogate.
I sistemi a ripartizione vengono gestiti con default successivi ossia continui aggiustamenti delle regole come lo è stata la riforma Fornero o la finanziaria 2014.
Parlare di restituzione per uno Stato che ha il 132% di debito esplicito e il 400% di debito implicito è pura fantasia.
La contribuzione sono imposte che sopportiamo ora e la sostenibilità fiscale va vista ora, non tra 20 anni.
Ecco quindi che parlare di interessi è assolutamente fantacapitalismo.
Pensare poi che lo Stato restituisce quello che si è dato è pura fantasia.
Se neanche le banche restituiscono più quello che si è dato e sono costrette a continui salvataggi, dire la stessa cosa per chi è fallito, è pura illusione.
Il fatto è che il PIL è ritornato ai livelli del 2000, ma la spesa pensionistica no e ci impongono di pagarla con aumenti delle aliquote.
Ma se il mio reddito è al livello del 2000 e quello del pensionato è aumentato di 10 punti, c’é qualcosa che non fila.
Infatti la spesa pensionistica rispetto al pil è aumentata come incidenza.
Bisogna trovare un meccanismo che mantenga un equilibrio sostenibile.
Per fare questo è rimasto solo da tagliare quelli che chiamano i diritti acquisiti che non esistono.
https://it.wikipedia.org/wiki/Pensione#La_pensione_come_retribuzione_differita
vedi anche la definizione di contributi previdenziali, cuneo fiscale, pensione ecc. ecc.
http://thewalkingdebt.wordpress.com/2014/02/24/il-tabu-previdenziale-nascosto-nel-cuneo-fiscale/
Silvestro De Falco
ReplyAh, un’ultima cosa, il contributo previdenziale non è un’imposta.
L’imposta è un tipo di tributo, un prelievo coattivo di ricchezza dal cittadino non connesso ad una specifica prestazione da parte dello Stato o degli altri enti pubblici per servizi resi al cittadino, contrariamente ai contributi previdenziali, che peraltro sono registrati contabilmente come debito pubblico, anche se non rappresentato da titoli, al momento della riscossione .
Inoltre, le imposte o i tributi non possono essere applicati ad una particolare categoria di cittadini esentando altri. Infatti ci sono 2 milioni di lavoratori che hanno casse previdenziali autonome che non sono tenuti a versare all’INPS.
Pe quanto riguarda il resto, io spero che ci sia qualcuno che abbia capito quello che voglio dire.
Buon lavoro.
paolo
Reply@ Silvestro De Falco
Può citare le fonti di quello che dice, visto che è totalmente inventato?
Le casse di previdenza dei liberi professionisti sono pubbliche amministrazioni ancorché con personalità giuridica privata, come lo è l’ANAS.
I professionisti pagano il contributo soggettivo che è una imposta diretta e il contributo integrativo è una imposta indiretta a carico del committente e che i professionisti riversano alle casse in qualità di sostituto d’imposta facendo quello che i datori di lavoro fanno ai lavoratori.
Se per pagare le pensioni l’INPS attinge alla fiscalità generale, quale è il servizio dato con i contributi di ciascuno?
I contributi sono figurativi.
Significa che quando paga, fanno una fotografia e quando dovrà prendere la pensione si presenterà con tale fotografia, ma se non ci sarà nessuno a saldare il conto, le fotografie non se le potrà mangiare.
Si potrà inventare tutti i metodi del mondo per moltiplicare tali fotografie e magari chiamarli capitalizzazione delle fotografie, ma dovrà sempre esserci un lavoratore che dovrà pagare le tasse in modo sufficiente a coprire tale fotografia.
paolo
Reply@ Silvestro De Falco
Mi fa leggere dove viene registrato il debito pubblico legato ai contributi?
Per quale motivo l’Italia deve essere piena di persone che aprono bocca senza sapere perché?
Silvestro De Falco
ReplyUn po’ di buon senso, Paolo, per favore.
Se io ho un montante contributivo pari a 100.000 euro, sono o non sono creditore nei confronti dell’INPS, quindi dello Stato?
E se io sono il creditore, chi è il debitore se non l’INPS e, in ultima analisi, lo Stato?
Questa è la fotografia della situazione.
paolo
Reply@ Silvestro De Falco
Ha provato a leggere la riforma Fornero?
Se lo Stato non ha i soldi perché crolla il PIL come è successo nel 2008 e conseguentemente i contributi, a chi aveva 100.000 euro di montante che cosa ha fatto?
1) Donne allungamento nottetempo di 5 anni dell’età per il pensionamento;
2) Esodati, allungamento età e blocco pensione;
3) Metodo di calcolo PAYG cambiato da retributivo a contributivo;
4) Blocco della perequazione;
5) Aumento delle aliquote.
Quindi che cosa significa?
Che se si danno dei soldi a chi non li può restituire, non saranno restituiti.
Poiché la pensione è un servizio pubblico erogato politicamente, per non diminuire del 5% la pensione a tutti e mantenere le stesse regole, si è colpito duramente una fascia di 1 milione ca. di persone, lasciando gli altri elettori intonsi.
I sistemi pensionistici pubblici, a ripartizione e senza copertura patrimoniale, sono gestiti con successivi default ossia riforme previdenziali che solo la potestà legislativa in carico allo Stato permette.
Fin quando ci sarà uno Stato, ci saranno dei servizi pubblici.
Il problema non è se ci sarà o meno la pensione, ma il livello della stessa.
Inarcassa ha trasformato delle pensioni minime da 10.500€ anno, in pensioni da 29 euro al mese o 130 euro al mese per chi ha pagato 25 anni i minimi.
paolo
Reply@ Silvestro De Falco
si è reso conto che l’Italia nel 2011 ha fatto un default scaricandolo sulle imprese posticipando 100 mld di euro di pagamenti per lavori fatti?
Se avessero tolto 100 miliardi di euro dalle pensioni, cosa sarebbe successo?
paolo
Reply@ Silvestro De Falco
vuole che le descrivo la faccia del bancario quando sono andato a chiedergli di scontare una fattura al Comune nonostante tutte le norme che hanno fatto sulla certificazione dei crediti della P.A.?
paolo
Reply@ Silvestro De Falco
al p.to 3) di un suo intervento, trovava disdicevole la definizione di “spesa pensionistica”.
Il Nucleo di Valutazione della Spesa Previdenziale è stato istituito con la Riforma Dini.
https://it.wikipedia.org/wiki/Nucleo_di_valutazione_della_spesa_previdenziale
paolo
Reply@ Silvestro De Falco
Faceva inoltre notare che 2 milioni di professionisti non pagavano le imposte all’INPS e pertanto i contributi previdenziali non possono secondo lei essere considerati imposte.
https://it.wikipedia.org/wiki/Contributo_soggettivo
https://it.wikipedia.org/wiki/Contributo_integrativo
https://it.wikipedia.org/wiki/Contributi_previdenziali
davevinc
ReplyLa prova evidente dell’uso distorto dello strumento pensionistico è la palese impoverimento attuale del contribuente lavoratore (sia autonomo che non) ; ergo, muori di fame oggi per non morire di fame domani…
Silvestro De Falco
ReplyA dire il vero è muori di fame oggi e muori di fame pure domani.