3 domande dei freelance all'Europa
7 Maggio 2014 Dal mondo, Eventi, Lavoro, News
In vista delle prossime elezioni europee, rivolgiamo a tutti i candidati tre domande:
1. Il Parlamento Europeo prevede che i fondi per la formazione siano utilizzati anche a favore di tutti i professionisti, ma in Italia sono spesso stati posti dei vincoli artificiali al loro ingresso. Chiediamo che l’Europa faccia rispettare le sue norme, che garantisca l’accesso alla formazione cofinanziata dall’UE di tutti i lavoratori autonomi, siano o no iscritti al Registro Imprese o ad albi e sub-albi professionali.
2. La risoluzione del parlamento europeo del 14 gennaio 2014 invita i paesi membri a garantire la sicurezza sociale anche ai lavoratori autonomi e la completa attuazione di principi di flexsecurity. In Italia non esiste e non è in programma alcuna tutela dalla disoccupazione per i lavoratori autonomi, l’Europa può fare pressioni in questa direzione?
3. Nella maggioranza dei paesi comunitari esiste un salario minimo orario, è stato appena approvato in Germania e anche in Italia il nuovo Governo ne ha annunciato l’introduzione. Per i lavoratori autonomi invece vige il divieto di minimi tariffari in nome della tutela della concorrenza. Eppure nelle attività professionali rivolte alle imprese e alle PA il potere contrattuale dei lavoratori è largamente inferiore a quello dei committenti, analogamente a quanto accade per i dipendenti. Non sarebbe il caso di aprire una riflessione su questo punto, anche in considerazione della caduta vertiginosa dei compensi dei professionisti autonomi negli ultimi 10 anni?
2 Commenti
Andrea Peinetti
ReplyRisponde Paolo Marson – Candidato alle Elezioni europee di Scelta Europea con Guy Verhofstadt:
1. Il Parlamento Europeo prevede che i fondi per la formazione siano utilizzati anche a favore di tutti i professionisti, ma in Italia sono spesso stati posti dei vincoli artificiali al loro ingresso. Chiediamo che l’Europa faccia rispettare le sue norme, che garantisca l’accesso alla formazione cofinanziata dall’UE di tutti i lavoratori autonomi, siano o no iscritti al Registro Imprese o ad albi e sub-albi professionali.
La domanda coglie un tema di assoluta realtà. Io stesso ho presentato – sia come singolo, sia come associazione professionale, che come società di professionisti – diverse domande per l’accesso a questi fondi. Le domande sono state sempre respinte con argomentazioni capziose (manca iscrizione alla CCIAA, incoerenza delle classificazioni di questa con i codici Eu di classificazione delle attività ammesse a beneficio, ecc.).
La ragione è che la gestione di questi fondi è delegata – direttamente o indirettamente tramite le regioni e le loro strutture – ad enti e soggetti che sono contermini con le lobby delle associazioni imprenditoriali. L’erogazione è gestita secondo criteri di familismo amorale o dell’assistenzialismo di relazione, che producono risultati di distribuzione a pioggia all’interno di settori ben determinati cui sono esterne le categorie professionali. In questi processi, le organizzazioni delle categorie dei professionisti sono assenti e mai coinvolte e, quindi, il risultato è evidentemente prevedibile
2. La risoluzione del parlamento europeo del 14 gennaio 2014 invita i paesi membri a garantire la sicurezza sociale anche ai lavoratori autonomi e la completa attuazione di principi di flexsecurity. In Italia non esiste e non è in programma alcuna tutela dalla disoccupazione per i lavoratori autonomi, l’Europa può fare pressioni in questa direzione?
Il problema è sicuramente suscettibile d’essere all’azione d’indirizzo della UE, che, non peraltro, è già pesantemente intervenuta sui settori professionali in omaggio ai principi di libera circolazione e concorrenza.
L’origine del problema risiede nella condizione di disordine e nella formazione alluvionale e casuale della disciplina esistente Italia, che non conosce una regolamentazione uniforme delle attività professionali e lascia coesistere regimi di settore (professioni protette o a ordinamento autonomo) ad aree ampiamente non regolate o regolate solo per effetto dell’introduzione di normative di disciplina delle attività d’origine comunitaria.
Questa situazione ha originato il frazionato sistema previdenziale delle professioni protette (non sempre efficiente e scevro da patologie clientelari) e quello delle gestioni separate INPS del settore para-subordinato o professionale (di dubbia utilità reale).
Nella prospettiva della progressiva emersione di nuove professioni e della perdita di tipicità di molte di quelle tradizionali, occorre rivedere complessivamente e – pur tenendo conto dei diritti acquisiti e delle specificità – farlo confluire in un sistema organico ed unitario.
3. Nella maggioranza dei paesi comunitari esiste un salario minimo orario, è stato appena approvato in Germania e anche in Italia il nuovo Governo ne ha annunciato l’introduzione. Per i lavoratori autonomi invece vige il divieto di minimi tariffari in nome della tutela della concorrenza. Eppure nelle attività professionali rivolte alle imprese e alle PA il potere contrattuale dei lavoratori è largamente inferiore a quello dei committenti, analogamente a quanto accade per i dipendenti. Non sarebbe il caso di aprire una riflessione su questo punto, anche in considerazione della caduta vertiginosa dei compensi dei professionisti autonomi negli ultimi 10 anni?
E’ certamente così, anche perché le ragioni che hanno portato all’abolizione dei vari regimi tariffari ha poco a che vedere – almeno in Italia – con esigenze di liberalizzazione concorrenziale. Questa è stata, infatti, finalizzata a beneficiare alcune categorie di utilizzatori abituali dei servizi professionali (banche, assicurazioni, grandi imprese di progettazione e costruzione, sindacati, associazioni di categoria, ecc.), che in realtà sono portatori di posizioni dominanti rispetto a quelle dei professionisti autonomi o che intendono entrare nei relativi mercati potendo utilizzare le prestazioni dei lavatori autonomi senza vincoli tariffari.
E’ evidente che il tema è complesso, essendo necessario garantire anche nei settori professionali la concorrenza, ma dovendo questa esigenza essere contemperata con l’esigenza di misurare le prestazioni sopratutto sul piano della loro qualità intrinseca e, con essa, anche con l’affidamento del consumatore (che non dispone di strumenti di valutazione della prestazione tecnica).
Il tema riporta, però, in larga parte a quello che è stato oggetto della precedente domanda e cioè al problema di arrivare una una regolamentazione delle attività professionali che sia più aderente alle novità del settore e meno condizionata – quanto meno in Italia – dai modelli preesistenti e del loro retaggio storico.
Alessandro
ReplyIo avrei fatto tre domande: 1) perché a parità (o superiorità?) di contributi non abbiamo le stesse tutele (o più direttamente, quando chiudiamo l’INPS o ne eliminiamo l’obbligatorietà?) 2) buona come l’avete fatta voi 3) In ogni caso nella domanda come avete fatto voi chi lavora come me con l’estero può attaccarsi. Quindi invece di andare verso tariffari etc. che a me sinceramente, da lavoratore autonomo indipendente freelance, sembrano un’idea abominevole, sarebbe più che altro il caso di andare a cercare altre forme come integrazione dei salari o creazione di crediti d’imposta.