2015, l’anno dei freelance?
4 Gennaio 2015 Vita da freelance
The Economist di questa settimana, 3 gennaio 2015, dedica la copertina e l’editoriale ai freelance. Sono, dice, la nuova forza lavoro della on-demand economy, cioè di un sistema nel quale le persone vengono impiegate solo per il tempo in cui sono strettamente necessarie. E pagate quindi per la loro prestazione e basta. In America sono ormai molte le società on-demand, imprese che offrono un particolare tipo di professionalità facendo ricorso ad un esercito di freelance. “Some 53m Americans workers already work as freelancers“. L’esempio cui fa riferimento l’editoriale è quello di Uber. Questo sistema produttivo è destinato ad estendersi rapidamente, perché due sono i driver di questa crescita: la tecnologia e le abitudini sociali. La società si divide in quelli che hanno soldi ma non hanno tempo e quelli che hanno tempo ma non hanno soldi. C’è chi ha una visione ottimistica di questa realtà ma l’Economist suggerisce una visione più prudente, anzi esplicitamente mette in luce i rischi insiti in questo sistema: “Risks borne by companies are being pushed back on to individuals—and that has consequences for everybody“. E ancora: “the on-demand economy clearly imposes more risk on individuals. People will have to master multiple skills if they are to survive in such a world—and keep those skills up to date“. La conclusione sembra scritta apposta per Renzi: i governi debbono misurare l’occupazione e i redditi in maniera diversa, debbono mettere mano a una riforma dei sistemi previdenziali, i contract workers non avranno mai una pensione, non hanno avuto la possibilità di costruirsela. E per finire: “many European tax systems treat freelances as second-class citizens, while American states have different rules for “contract workers” …. “Molti sistemi fiscali in Europa trattano i freelancers come cittadini di seconda classe”. Non sarà che gli editorialisti dell’Economist stanno tutto il giorno attaccati a www.actainrete.it?
2 Commenti
Silvestro De Falco
ReplyComplimenti, Sergio.
Silvestro
Andrea
ReplyChe dire, in Italia si arriva sempre quando il malato è già morto.