Le avventure di Astolfa, biofreelance – 6a puntata
15 Aprile 2016 Vita da freelance
Dalla penna di bulander alle pagine di Actainrete.it.
Un inedito racconto a puntate, ogni venerdì, per sorridere e prepararsi al meritato weekend.
Cover di Marilena Nardi.
Sesta puntata
[Se te la sei persa o vuoi rileggerla, qui trovi la quinta puntata.]
A Milano le sfilate canine richiamavano migliaia di operator da tutto il mondo. I levrieri erano ovviamente i più richiesti sulle passerelle, l’epoca dei cani tozzi e brutali, i pit bull, i rottweiler, era tramontata, spopolavano i cani longilinei, dalle gambe sottili e dal portamento ondulante.
Era vero, Astolfa aveva un fiuto per gli affari infallibile.
“Sai che ti dico, Eros? A me della tua Mocciosi Consulting non me ne può importare di meno. Tu ed io apriamo un’azienda di dog fashion. Ci vogliono capitali consistenti, da solo non credo che tu possa farcela, io un po’ di quattrini li ho, in due mettiamo insieme il capitale che ci vuole e…si parte!”
A Mangiavetri non sembrava vero. Si alzò in piedi e corse incontro ad Astolfa per abbracciarla.
“Realizzerò il mio sogno! Diventerò…”
“Tu non realizzi niente e non diventi un bel niente, noi adesso, dopo aver fatto l’atto di costituzione dal notaio, andiamo in banca, versiamo il capitale e ci facciamo prestare dieci volte tanto. Con tutti questi soldi reclutiamo un dog fashion designer già noto e lo facciamo lavorare per noi in esclusiva. Nel giro di un paio di mesi siamo già sul mercato… Se dovessi aspettare che tu diventi famoso come stilista, starei fresca… Prendere o lasciare.”
Da quel momento Eros Mangiavetri sentì che si trovava in mani sicure e si adagiò fiducioso nell’intraprendenza della sua nuova partner, come un bambino si abbandona sulla spalla della mamma. Ma gli parve di aver diritto ancora a fare qualche domanda.
“Dove la trovi la banca che ti presta tutti quei soldi?”
“La Banca dell’Appennino. Quello che era il Presidente dell’AIA (Agenzia Insediamenti Appenninici) è stato messo a capo della Banca, mi conosce benissimo.”
“E il designer famoso?”
“François ‘Pet’ Hollandér, il canadese”
“Ma non era stato coinvolto in uno scandalo di pedofilia?”
“Appunto, è finito nella merda e noi lo ripeschiamo con quattro soldi. Ci bacerà le mani”
“Le tue, io non lo voglio neanche vedere, quello schifoso!”
“Eros! Mi debbo cercare un altro socio?”
“Nooooooo, ti prego!”
“Pet” Hollandér stava appoggiato di schiena su tre cuscini, il braccio destro incollato a una flebo. Era al suo terzo tentativo di suicidio.
“Si può capirlo”, pensava Astolfa, ritta in piedi accanto al letto con quel buffo mazzo di fiori in mano.
Gli era capitato quando si trovava all’apice della notorietà e del successo, uno dei dog fashion designer più creativi e originali. Il boy che l’accompagnava in ascensore alla sua stanza, al 42mo piano del Dubai Plaza, avrà avuto 11 anni. Dirà sotto giuramento di esser stato brutalmente violentato da quel sarto famoso. Una selvaggia campagna di stampa, un vero e proprio linciaggio, e Hollandér era precipitato dalle stelle alle stalle. Inutilmente il suo avvocato aveva cercato di dimostrare che il cyberascensore di servizio al Dubai Plaza percorreva la distanza tra la lobby e il 42mo piano in 7 secondi e 3 decimi.
“Uno non ha nemmeno il tempo di slacciarsi i pantaloni!” aveva gridato, al colmo dell’arringa. Il Presidente lo aveva espulso dall’aula per turpiloquio.
L’offerta di Astolfa non era da buttar via. Lui, “Pet”, sotto falso nome, sarebbe in qualche modo uscito dal Canada e sarebbe entrato in Italia via Svizzera. Sugli Appennini, in una delle zone più impervie, avrebbe trovato rifugio in un borgo containerizzato, tutto a sua disposizione. Astolfa, grazie alle sue conoscenze nell’Agenzia Insediamenti, vi aveva fatto installare un atelier di creazione di moda con le tecnologie più sofisticate, quattro ingegneri indiani esperti di software, una modista di Poggibonsi, un cuoco di Matera, sette canili per sette diverse razze canine per le prove dal vivo e un congruo numero di istruttori. Astolfa, grazie alle sue conoscenze, aveva ottenuto che tutto fosse preparato con la massima discrezione. Nessuno doveva sapere, nessuno doveva ficcare il naso nel borgo containerizzato. Un mezzo battaglione di guardie-giurate-misto-forestali vigilava discretamente, sparso nella boscaglia
circostante. Persino gli orsi erano stati informati di tenersi alla larga.
“Lei, in quel posto tranquillo e isolato riprende a creare, nel giro di due-tre anni il nostro brand è di nuovo ai vertici mondiali della moda canina. Alla fine delle nostre sfilate, quando tutti aspettano sulla passerella il grande sarto, faremo uscire una figura incappucciata o qualcosa di simile, purché inquietante. La suspense salirà alle stelle e quando finalmente, al colmo del successo e dei guadagni, toglieremo il cappuccio e lei riapparirà in pubblico, lei, sì proprio lei François “Pet” Hollandér in carne e ossa, s’immagina che botto? Intanto io le avrò depositato regolarmente la sua quota di proventi in un banca del Lussemburgo. 25% sugli utili, d‘accordo?”
Se una provvidenziale infermiera non lo avesse fermato in tempo, Hollandér si sarebbe catapultato ad abbracciare Astolfa, rovesciando il sostegno della flebo e buttando all’aria comodino, ventilatore e radiolina FM.
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