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Equo compenso. Commedia in tre atti (in attesa di un epilogo)

17 Novembre 2017 Diritti

E alla fine con la legge di stabilità sarà approvata una norma sull’equo compenso. Al momento è passata al Senato, ma dovrebbe arrivare presto alla Camera, dove è prevista la fiducia e quindi dovrebbe restare inalterata.
È davvero scritta male, molto pasticciata, ma nel complesso è un importante passo avanti.
È pasticciata perché è il frutto di una gestazione travagliata, di un compromesso tra posizioni diverse.

Primo atto – Legge Sacconi

La storia inizia con la presentazione della proposta di legge Sacconi, già commentata in questo sito, che avrebbe riguardato solo i professionisti ordinisti.
Successivamente la proposta Sacconi, contestata in Commissione Lavoro al Senato un po’ da tutte le associazioni dei non ordinisti (anche da Acta che ha presentato una memoria), è stata estesa, con un’integrazione dello stesso Sacconi, anche ai professionisti di cui legge 4/2013 (sigh!).

Secondo atto – Legge di stabilità – Norma solo per avvocati

Nella legge di stabilità in una precedente versione, con l’art.99 viene inserita una norma sull’equo compenso, che integra la legge 247/2012, e che avrebbe dovuto riguardare:

  1. solo gli avvocati;
  2. solo i rapporti con le imprese bancarie e assicurative e le grandi imprese;
  3. e comunque solo le situazioni in cui in sede di trattativa non si decida diversamente.

Una norma dunque, che anche per gli avvocati avrebbe avuto un ambito di applicazione moooolto ristretto (grandi imprese), e moooolto facilmente superabile, con una serie di clausole nei contratti. Solo i grandi studi strutturati avrebbero avuto il potere contrattuale di opporsi a tali clausole, gli stessi che non hanno bisogno di una legge sull’equo compenso.

Terzo atto – Due nuovi commi

L’articolo di cui sopra compare leggermente modificato e come parte dell’art. 19, al primo comma della legge di stabilità.
Ma è seguito da 2 commi.

Il comma 2 estende l’ambito di applicazione alle prestazioni rese dai professionisti di cui all’articolo 1 della legge 81/2017 (Statuto del lavoro autonomo), ovvero a tutti i professionisti (scompare l’improprio riferimento alla legge 4/2013).
Un articolo di importanza pratica molto limitata, perché comunque valgono le stesse osservazioni di cui sopra a favore degli avvocati (solo rapporti con grandi imprese e solo se non oggetto di trattativa, quindi facilmente aggirabili), ma importante perché viene affermato il principio che l’equo compenso è una misura che deve riguardare tutti, non solo gli ordinisti.

Il comma 3 è a nostro parere il più rilevante. Esso recita:

La pubblica amministrazione, in attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell’equo compenso in relazioni alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo l’entrata in vigore della presente legge.

Con essa si afferma il principio che la Pubblica Amministrazione deve garantire un equo compenso.
Certo al momento è solo un’enunciazione di principio, ma in attesa che si definisca che cosa sia equo, la norma ha un immediato risvolto pratico: impegna la Pubblica Amministrazione a garantire un compenso, rende non legittimo il conferimento di incarichi professionali a titolo gratuito, in contrasto con quanto affermato dal Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza n. 4614 del 3 ottobre 2017, accogliendo le difese del Comune di Catanzaro per “il conferimento di incarichi professionali a titolo gratuito per la formazione dello staff di progettisti esterni per la redazione del Piano Strutturale Comunale (PSC)”, sentenza su cui ci siamo tutti mobilitati per una petizione (hanno firmato oltre 25.000 persone!).

L’epilogo

L’epilogo che ci attendiamo? Innanzitutto dei provvedimenti che diano sostanza a quanto approvato e definiscano procedure e metodi.

Seguirà un lavoro operativamente complesso, che dovrà portare a individuare dei parametri equi per ciascuna professione. Occorrerà essere molto vigili per evitare che si ripetano esperienze come quella sperimentata nel caso dei giornalisti, dove l’equo compenso definito non è propriamente equo.

In parallelo ci attendiamo che le pubbliche amministrazioni siano tenute non solo ad applicare l’equo compenso agli incarichi diretti, ma anche a verificare l’applicazione dell’equo compenso a tutta la catena di subfornitori che partecipano agli appalti pubblici (così come sono tenute a verificare la correttezza dei rapporti coi dipendenti). In questo modo la riforma del codice degli appalti, che non prevede più il massimo ribasso, andrà a beneficio non solo delle imprese appaltatrici, ma anche di tutti i lavoratori inseriti con contratti di collaborazione esterna.

E ci auguriamo infine che questo sia il primo provvedimento di una più generale azione di contrasto al lavoro semi-gratuito e che seguiranno provvedimenti quali il salario legale minimo orario e la limitazione e il controllo degli stage.

Anna Soru
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di Anna Soru tempo di lettura: 3 min
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