Bill, slash worker o doppio-carrierista negli anni ’90
22 Febbraio 2018 Vita da freelance
E’ possibile essere slash worker o doppio-carrierista negli anni ’90. I dati empirici dicono di si.
Un supplemento all’indagine I_WIRE, su un campione di 1 solo soggetto, rivela un doppio-carrierista dipendente-autonomo (anche se il caso raccontato è più da “HIGH-WIRE” quei saltimbanchi che camminano sulla corde sospese nei circhi di serie C).
All’epoca dei fatti rilevati, il soggetto unico del campione aveva una quarantina di anni. Dagli Stati Uniti era approdato ad un lavoro indipendente in Italia, nello specifico come traduttore, in quanto sua suocera italiana diceva che sarebbe morta sull’istante se la figlia si traferiva al paese di lui. Più tardi, quando ormai aveva accumulato una decina di anni di carriera autonoma, il settore delle traduzioni entrò in un periodo di paralisi pressoché totale, causa la circostanza che in seguito a Tangentopoli affari e progetti si erano fermati per il semplice fatto che chi avrebbe dovuto dare l’autorizzazione o mettere la firma era in carcere oppure – ironia della sintassi – stava per esserci tradotto.
Allora il soggetto dell’indagine decise di cercarsi una fonte aggiuntiva di reddito e a quel fine mandò delle richieste di impiego come portiere di notte a circa 100 alberghi di Roma. Dopo non pochi mesi, in un momento che la crisi del settore delle traduzioni si stava già attenuando, il soggetto trovò un secondo lavoro, questo da dipendente, a – ironia del contesto politico-socioeconomico e penale di allora – l’Hotel Raphael di craxiana memoria (visto che “Lui” era gia’ fuggito a Hammamet).
Quindi la notte del fatto che vuole servire come paradigma di cosa ti toccava affrontare già nella seconda metà degli anni ’90 se eri un extra-comunitario doppio-carrierista autonomo/dipendente trovava il soggetto in servizio all’Hotel Raphael verso le 1:30 di mattina, intento a cercare di finire in fretta e furia i suoi compiti di “Night Manager” e “Night Auditor” – anzi, “Night Tuttofare”, visto che per parecchio tempo era l’unico in servizio durante la notte, eppure si trattava di un albergo a quattro stelle con circa 40 stanze. Comunque, se il doppio-carrierista riusciva a fare a tempo di record tutto quello che doveva fare ai fini del suo lavoro come dirigente alberghiero, poteva ricavarsi un’ora e mezza, due ore nelle notti in cui andava tutto alla perfezione, per lavorare su delle traduzioni che erano in scadenza nei giorni a seguire – oppure, anzi il più delle volte, che erano già andate in scadenza nei giorni precedenti – attività che lui svolgeva seduto alla grande scrivania che si trovava dall’altra parte del hall dell’albergo, ad una ventina di metri dal banco del ricevimento, un mobile Luigi-Qualche-Numero-Alto che solo un anno o due prima era stato posizionato nella suite-attico del niente poco di meno del grande latitante Bettino.
In ogni caso, verso le 1:30 di quella mattina che vedeva il soggetto intento a sbrigare le svariate procedure – anzi, quella notte aveva preso un buon ritmo, insomma, stava andando come un treno – con i compiti del suo lavoro stipendiato, così da avere buone speranze di poter attenuare un po’ la mole di traduzioni arretrate che si portava sempre dietro come lavoratore autonomo, degli ospiti hanno suonato alla porta principale dell’albergo, che a quell’ora era chiusa da un cancello.
E già la cosa disturbava non poco il soggetto dell’indagine, perché era stata sua impressione che tutti gli ospiti dell’albergo fossero già rientrati nelle loro camere per la notte, anche se non si poteva mai essere sicuro di questo, visto che, tra il sistema di chiavi elettroniche che registrava male chi stava fuori e chi stava dentro la sua stanza, più il fatto che i clienti nelle stanze che si aprivano ancora con delle chiavi tradizionali spesso le portavano con sé quando uscivano dall’albergo, restava sempre il dubbio che qualche buontempone dovesse ancora rientrare dai parecchi locali che si trovavano nei dintorni dell’albergo.
In ogni caso il soggetto, ligio al dovere della sua attività dipendente, fece i pochi passi che lo portarono dal banco di ricevimento verso la “sua” scrivania Luigi-allo-Ennesimo-Numero, dove contava ancora di sedersi più tardi, idealmente tra le 4:00/4:30 e le 6:00 di mattina, in modo da avvantaggiarsi con l’altra sua attività di freelance.
Solo che quando il soggetto arrivò alla scrivania, e poi fece gli ultimi due passi che mancavano per arrivare alla porta di entrata, facendosi intanto della preparazione mentale per salutare gli ospiti rientranti con quanta più rapidità permettesse la sua piena disponibilità professionale, nel senso che si sarebbe sbrigato a dargli la loro chiave – a meno che la stanza loro non fosse munita di chiave elettronica – avrebbe chiesto se ai gentili ospiti servisse un tassì per l’aeroporto, nel caso fossero in partenza l’indomani, facendo capire loro che era sempre meglio prenotare in anticipo, ma senza fare menzione del fatto che tutto lo staff dell’albergo, e ben prima che il soggetto dell’indagine avesse cominciato a lavorarci, riceveva delle “mance” da un illecito “sindacato” di tassisti che, pur di procurarsi più corse all’aeroporto, erano pronti ad alimentare quello che, ai fini dell’indagine nostra, potrebbe qualificarsi come una terza carriera da tangentista.
Comunque, dopo svolto quelle formalità, il soggetto, cercando di non dare a vedere quanta fregola aveva di tornare alle multipli procedure del suo lavoro dipendente, in modo da non perdere quella preziosa ora e mezza, due ore massimo, che poteva dedicare alla seconda attività, avrebbe augurato agli ospiti una buona notte.
E invece cosa vide il soggetto dell’indagine quando arrivò alla porta di entrata dell’albergo e finalmente focalizzò la sua attenzione su chi stava lì fuori, aspettando che lui li facesse entrare?
Una coppia di novelli sposi.
Una condizione che questi due dimostravano in modo incontrovertibile, visto che lei ancora portava il vestito bianco regolamentare, e lui quello nero, neanche fossero stati trasportati direttamente davanti all’entrata dell’albergo dal piano più alto della loro torta di nozze.
E a quel punto, manco a dirlo, la concentrazione del soggetto dell’indagine sui compiti del primo lavoro, quei che doveva ancora svolgere per non venire sommerso la mattina dopo dai lamenti dei clienti del lavoro freelance, tutte persone che attendevano sempre più impazienti le consegne delle loro traduzioni, ma ecco, la concentrazione del soggetto era veramente a rischio, visto che di solito i colleghi di giorno dell’albergo lo avrebbero avvertito del fatto che tale e tale ospiti erano dei novelli sposi, tanto per dargli la possibilità di farsi trovare pronto almeno ad augurare a loro tanta felicità, e al limite offrirsi anche di riaprire il bar per una brindisi, contando sul fatto che, per la fretta di entrare nel vivo dell’ultima fase del giorno delle nozze, avrebbero gentilmente rifiutato.
E invece alla vista dello sposo e della sposa vestiti come le loro mamme li avevano visti poco prima davanti all’altare e/o il celebrante civile, e poi stavano soli soletti, perché una macchina li aveva liasciati là davanti, ma tempo che il soggetto era arrivato per aprirgli il cancello della porta d’entrata, ormai non c’era più nessuno con loro.
Insomma, erano una visione un po’ forte, non da tutte le notti.
E in più lo sposo aveva cominciato a fissare il soggetto dell’indagine.
Anzi, mentre il soggetto apriva il cancelletto per farli entrare, il fresco marito guardava il soggetto sempre più intensamente.
In ogni caso lui, già abbastanza abituato ad avere a che fare con tipi un po’ particolari, fece entrare la coppia, gli augurò tanta felicità, forse gli intimò pure che non conveniva ascoltare chi al banchetto di nozze avrebbero gridato loro, “Figli maschi!“, visto che le figlie femmine danno sempre più soddisfazione, e che si fidassero di lui che ne aveva tre. Solo che lo sposo, come tutta risposta alle felicitazioni assortite del soggetto dell’indagine, continuava a fissarlo serio serio. E poi disse al soggetto: “Ma io la conosco da qualche parte“.
Al che il soggetto vedeva la sua preziosissima ora e mezzo, due ore massimo, di tempo da “trarre in salvo” andare proprio in fumo. Anzi, il soggetto dell’indagine stava sul punto, pur di superare al più presto quell’impasse, di giurare di non aver mai conosciuto né visto né lo sposo né la sposa. Stava pensando pure di confessare, tanto per accelerare la risoluzione di quell’ovvio caso di scambio d’identità, che francamente la sposa non era neanche il suo tipo.
Solo che dalla faccia dello sposo che continuava a ripetere, “Da qualche parte la conosco…..“, si capiva che quest’ultimo era pronto a farsene una malattia del presunto legame con il soggetto dell’indagine, tipo quando non ti viene in mente il nome di una canzone e passi tutta la notte in bianco a cercare di ricordartelo.
Ad un certo punto sembrava al soggetto che gli sarebbe toccato addirittura di rammentare al ragazzo i tradizionali doveri di chi arriva sposo a quell’ora della prima notte di nozze, quando di colpo lo sposo esclamò: “Ma lei lavora anche come traduttore?“
E sì, rispose il doppio-carrierista, anche se stentava di capire cosa potesse c’entrare con l’attuale situazione. Ma pareva che lo sposo, con quella sua dichiarazione, si fosse tolto un peso non da poco, e allora il soggetto dell’indagine decise di assecondarlo.
Vede, sono un associato, continuava lo sposo, dello studio legale tale, tale e tale a via XX Settembre, e tempo fa abbiamo lavorato insieme sulla traduzione in inglese di un progetto per gli aeroporti di Milano.
E meno male, pensava il soggetto dell’indagine tra sé e sé, e con non poco sollievo, visto che si ricordava di aver svolto il lavoro in questione con particolare cura ed attenzione.
Comunque a quel punto non c’era altro da fare che scambiare con gli sposi qualche divertito commento su come è piccolo il mondo, o piuttosto l’Urbe di Roma, magari facendosi scappare anche delle considerazioni dolceamare su cosa toccava fare per superare le crisi del settore sopravvenuta a Tangentopoli. E infine, dopo aver rinnovato i suoi auguri di ogni futura felicità – forse insieme al suo avvertimento che i figli maschi, anche i più bravi, sono solo guai – il soggetto dell’indagine ha mandato gli sposi su in camera.
Solo che ormai il suo ritmo, la sua concentrazione, erano irrimediabilmente spezzati. E allora con la manciata di minuti che riuscì comunque a salvare dalle sue incombenze di massimo dirigente dell’albergo – grado che gli competeva in quanto a quell’ora era l’unico componete del personale presente – il soggetto si è accontentato di preparare un cappuccino al bar dell’albergo, più un toast giù nella cucina, per poi mettersi comodo comodo alla ex scrivania Luigi-di-Numero-Ignoto di Bettino il Grande Fuggitivo, tanto per cercare di inventarsi qualche scusa particolarmente brillante per le scadenze dei lavori di traduzione che orami il doppio-carrierista era destinato, appena arrivasse il giorno nuovo, a non onorare più.
Tanto per dimostrare che, se gli IP di oggi si lamentano, e giustamente, di varie problematiche, incluso lo stress dal lavoro, e soprattutto dal doppio-lavoro, non è niente in confronto a chi cercava di sbarcare il lunario – e al lume della stessa luna – nel frangente crepuscolare degli sfavillanti anni ’90.
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