Welfare aziendale: i freelance sono esclusi, il divario aumenta
14 Marzo 2018 Diritti
Welfare aziendale e freelance: un binomio impossibile?
Il welfare aziendale sta conoscendo un rapido sviluppo anche in Italia, con indubbi vantaggi per i lavoratori che ne beneficiano. É da un po’ che ne sentiamo parlare, ma raramente ci siamo soffermati a capire come funziona, perché una cosa ci è sempre stata chiara: noi freelance non ne beneficiamo.
I freelance non sono destinatari del welfare aziendale, e ciò è particolarmente grave perché:
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i lavoratori autonomi già sono esclusi da molte aree del welfare pubblico;
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il welfare aziendale è finanziato anche con la fiscalità generale (e quindi da tutti noi),
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l’ampliamento del welfare aziendale tendenzialmente accompagna un restringimento dell’area dei servizi pubblici.
In definitiva è un intervento che invece di colmare i divari tra i lavoratori, contribuisce ad ampliarli, perché somma le diseguaglianze del welfare pubblico con quelle del welfare privato.
Anche se il welfare aziendale non riguarda i freelance, il tema deve interessarci perché comunque contribuiamo a pagarlo.
Stabilito che ci interessa, proviamo a capire un po’ di più di che cosa si tratta e che cosa è possibile fare per rientrare in una partita che sino ad ora ci ha escluso.
Una breve storia del welfare aziendale
Il welfare aziendale ha un’origine antica (Grandi, 2014). In Italia nasce nella prima metà dell’800, quando non esisteva un welfare pubblico, con iniziative di imprenditori illuminati o con società di mutuo soccorso, e si sviluppa, con modalità diverse, per oltre un secolo .
Con le riforme previdenziali degli anni Sessanta e con la costituzione del Servizio sanitario nazionale la sua importanza si riduce, anche perché l’aumento dei contributi obbligatori lascia meno spazio ad iniziative di questo tipo.
Con la grande crisi del 2007-8 e con il ridursi dell’intervento dello stato sociale questo orientamento tende a mutare, per offrire ai dipendenti prestazioni in natura e benefici monetari che ne accrescano il benessere personale, lavorativo e familiare, nell’obiettivo di influire positivamente anche sul benessere organizzativo e sulla produttività dell’impresa. Ed infatti i nuovi interventi agevolativi si inseriscono nelle misure per aumentare la produttività, in collegamento con la contrattazione di secondo livello (contratti aziendali e territoriali), incentivando così anche l’attività sindacale.
Un gioco win win?
Un gioco in cui quindi vincono tutti coloro che sono dentro il circuito: aziende (guadagni di produttività e possibilità di concedere benefici meno costosi degli aumenti della remunerazione), sindacati (che acquistano un nuovo ruolo in quanto le misure concordate con il sindacato hanno un vantaggio fiscale molto più elevato), assicurazioni (nuove aree di crescita per la loro attività) e lavoratori (i benefici che ricevono sono ampliati dalla detassazione).
Ma perdono gli esclusi.
Ultimi 3 anni: ampliamento del welfare aziendale
In questa direzione sono andate anche le modifiche introdotte con le leggi di stabilità (si vedano i rapporti di Secondo Welfare) per gli anni 2016-2018, con cui si è intervenuto per:
- ampliare sensibilmente il ventaglio dei servizi ricompresi nel welfare aziendale, non più solo i tradizionali servizi di assistenza sanitaria, previdenza integrativa, pasti e mobilità, ma tutti i servizi per l’infanzia (scuola materna, servizi integrativi come pre e post-scuola, spese di mensa, attività previste dai piani di offerta formativa degli enti scolastici), ludoteche, centri estivi e invernali e baby-sitting, servizi a sostegno di familiari non autosufficienti (anziani oppure con disabilità), assicurazioni per la propria non autosufficienza, abbonamenti per il trasporto pubblico locale, regionale e interregionale (TUIR, articoli 51 e 100, progressivamente integrati con l’aggiunta di nuovi commi).
- facilitare l’offerta di servizi anche da parte delle piccole imprese attraverso i voucher. Non è necessario che l’azienda si occupi di erogare direttamente i servizi in favore del dipendente o dei suoi familiari: attraverso il voucher potrà “delegare” l’intervento ad un fornitore esterno di servizi (non tutte le imprese hanno le dimensioni per creare un nido aziendale, ma tutte possono dare ai propri dipendenti un voucher spendibile per pagare un nido).
- ampliare il raggio dei beneficiari, con un aumento del tetto massimo di reddito da lavoro dipendente che consente l’accesso alla tassazione agevolata, e gli importi dei premi entro i quali beni e servizi di welfare sono deducibili.
Tutto ciò ha un costo. Negli ultimi tre anni lo stanziamento del Governo su questo fronte è stato cospicuo: si è partiti con una cifra pari a 483 milioni di euro nel 2016, per poi arrivare fino a 520 milioni di euro per il 2017 e il 2018.
Come intervenire per permettere l’accesso dei freelance al welfare aziendale (o meglio welfare occupazionale)?
Con le #domandeindipendenti ACTA ha delineato alcuni primi passaggi:
- estensione per i fondi sanitari integrativi del vantaggio fiscale di cui oggi già godono i dipendenti: passaggio da detraibilità a deducibilità ed equiparazione della soglia massima a € 3.615,20 (da € 1.291);
- per le polizze stipulate con società di mutuo soccorso, il passaggio da detraibilità a deducibilità;
- riconoscimento alle associazioni di categoria dei lavoratori autonomi della possibilità di essere qualificati come soggetti abilitati a proporre soluzioni di welfare associativo, come accade in altre realtà internazionali.
Il terzo punto permetterebbe di proporre ai freelance un’ampia offerta di servizi di cura, di assicurazioni per i rischi di gravi patologie e di non autosufficienza etc.
Ma ciò non basta a garantire l’accesso di tutti i freelance al welfare aziendale (occupazionale). I benefici non si applicherebbero ai freelance che operano con un regime fiscale agevolato (regime dei minimi o regime forfettario) e che sono in genere coloro che ne avrebbero maggiormente nescessità. In questi casi infatti non è possibile portare in detrazione o deduzione nessuna spesa relativa alla persona o alla famiglia.
Da tempo siamo critici nei confronti dei regimi fiscali agevolati, in attesa di un loro superamento, sarebbe importante intervenire per ridurne alcuni effetti distorsivi. La nostra proposta è che anche i lavoratori autonomi con regime agevolato possano dedurre tutte le spese relative al welfare.
Infine, per contrastare la crescita delle diseguaglianze, serve una integrazione pubblica a favore di disoccupati o lavoratori occasionali con redditi al di sotto della soglia imponibile, esclusi sia dal primo pilastro del welfare sia da ogni incentivazione fiscale del welfare aziendale/occupazionale.