Maternità freelance e vizi di forma: un’altra storia triste
8 Febbraio 2019 Maternità, Vita da freelance
Pubblichiamo in forma anonima la testimonianza di una nostra socia che si è vista rifiutare la maternità dall’INPS perché alla data della domanda non aveva ancora maturato il requisito minimo richiesto. Peccato che alle spalle abbia anni di versamenti regolari da dipendente, versamenti che per l’INPS non contano per l’accesso al welfare previsto per i freelance iscritti alla Gestione Separata. Un’ingiustizia di cui non comprendiamo davvero le ragioni: l’INPS infatti continua a operare una distinzione tra parasubordinati e liberi professionisti che pur versando la stessa aliquota vengono trattati in maniera diversa. Se il datore di lavoro non versa o è in ritardo nel versare i contributi di una collaboratrice, l’INPS non nega a quest’ultima il diritto all’indennità di maternità e anticipa quei soldi in attesa che il datore di lavoro sani la posizione della contribuente. Se invece una libera professionista – con un’attività avviata solo di recente e magari un pregresso da dipendente o da collaboratrice – chiede l’indennità prima di aver effettuato i primi versamenti contributivi, l’INPS respinge la domanda. Come abbiamo ribadito più volte, la maternità dovrebbe essere universale e comunque calcolata e assegnata a partire da parametri e criteri più equi.
Sono sempre stata legata all’INPS con contratti regolari, anche atipici. Ho iniziato come co.co.pro tanti anni fa, poi sono stata apprendista, poi assunta, oggi libera professionista. Lo scorso anno ero incinta e per motivi di salute ho fatto le pratiche di richiesta maternità appena scoperto che avrei potuto partorire (con largo anticipo) da un momento all’altro. Dovevo comunque entrare in maternità, quindi ho fatto le mie belle pratiche sul sito. Tutto regolare, penso, sto cominciando a pagare (mancavano tipo due settimane) i contributi INPS anche da professionista, quindi non dovrei avere problemi. E sbagliavo, da lì odissea.
A dicembre (quasi due mesi dopo) ricevo il rifiuto a concedermi la maternità e quindi faccio ricorso, anche perché penso: io i contributi a questo punto li ho pure pagati, sono anni che li pago e non mi sono mai fermata.
E il mio ricorso da quel momento viene mandato ovunque, dalla sede di riferimento, passa a quella regionale e poi Roma e ritorno.
Un anno, un anno di chiamate, mail e solleciti alla referente del sostegno al reddito. Arriviamo a settembre di quest’anno, mio figlio è nato e nemmeno so se avrò la maternità. Niente da fare: respinta ancora perché ho fatto la domanda senza aspettare i termini per avere i contributi pagati. Come se in tutti questi anni i miei contributi versati all’INPS fossero in realtà soldi di qualcun altro. Poco o tanto, sono comunque soldi che io ho versato ma che non vedrò nemmeno questa volta. Ma perché se sono sempre io il contribuente? Regolare e ligio alla legge.
Ah, e il ritardo di un anno è stato dovuto a un “vizio di forma” mi dice l’INPS, perché avevo scritto all’“Egregio Dott. XX”, cioè la stessa persona che aveva firmato il ricorso ma che nel frattempo è stata spostata ad altro dipartimento.
Oggi [ndr: 30 novembre 2018] ho mandato in pagamento il secondo acconto, e vedere la voce INPS mi ha messo tristezza perché io non mi sono sentita per niente tutelata, anzi…