It’s raining cash?
Un commento di Redacta ai recenti provvedimenti in favore del settore editoriale, e due proposte per fare meglio
Da oltre un anno Redacta raccoglie dati sulle condizioni di chi lavora in editoria e formula proposte che possano migliorare la situazione. Pur credendo che il settore debba cambiare a partire dai freelance che ci lavorano (magari utilizzando gli strumenti che abbiamo messo a punto), negli ultimi mesi abbiamo comunque seguito il dibattito sulle misure emergenziali per sostenere il settore e partecipato a riunioni insieme ad altre associazioni di categoria per formulare soluzioni condivise.
Nei giorni scorsi è arrivata quella che sembra essere una buona notizia: il Governo ha destinato 10 milioni di euro al sostegno degli editori piccoli ma non troppo (microimprese che abbiano pubblicato almeno 10 novità editoriali nel 2019). Si tratta dell’ultimo di una serie di provvedimenti che Riccardo Franco Levi, presidente dell’Associazione Italiana Editori (AIE), ha definito:
Un quadro di interventi a sostegno del mondo del libro e della lettura che non ha eguali in Europa, con i 30 milioni per gli acquisti di libri da parte delle biblioteche, i 15 milioni per la Carta Cultura, il rifinanziamento della 18App passata da 160 a 190 milioni, i 10 milioni per il tax credit a favore delle librerie e il decisivo supporto a #ioleggoperché, la prima e più importante manifestazione di promozione della lettura che ha già permesso di donare oltre un milione di libri alle biblioteche scolastiche nel nostro Paese.
Il Governo ha dunque risposto agli appelli delle associazioni, datoriali e non, che in questi mesi avevano richiesto aiuti a pioggia per tutto il settore, con particolare attenzione al sostegno alla lettura.
Non ci sentiamo di escludere che tali provvedimenti possano avere una qualche ricaduta positiva anche per chi nell’editoria ci lavora. Molti danno per assodata l’equivalenza: + lettori = + libri venduti = + vantaggi per chiunque operi nel mercato editoriale. Ma, andando a ricostruire il contesto, è lecito pensare che non sia proprio così.
#ioleggoperchérestoacasa
Per cominciare, occorre constatare che provvedimenti come la 18App e programmi come #ioleggoperché non sono certo una novità, anzi: negli anni sono stati investiti milioni di fondi pubblici in iniziative simili senza che questo abbia migliorato di una virgola la condizione della maggior parte di chi lavora nel settore. Come abbiamo rilevato più volte, si tratta in gran parte di freelance (l’88% dei rispondenti al nostro sondaggio, un dato che trova conferme anche nell’indagine 2012 di ReRePre): negli ultimi anni, in cui erano già in vigore tali misure di sostegno alla lettura, i compensi dei lavoratori e delle lavoratrici sono rimasti uguali o si sono addirittura abbassati.
I dati sulle abitudini di lettura vengono in ogni caso usati come indicatore per misurare la crisi del settore, e meritano quindi un’attenzione particolare. Secondo l’Istat, il lockdown ha avuto un’efficacia inaudita nel modificare le abitudini di lettura degli italiani: i lettori sono raddoppiati. Questa tendenza trova conferma anche nel rapporto European publishing at the time of COVID-19 della FEP (Federazione degli editori europei) secondo cui, a livello globale, durante la crisi sanitaria il 33% delle persone ha letto più libri/ascoltato più audiolibri. Prendiamo atto, d’altra parte, che secondo le rilevazioni dell’AIE in Italia si sono letti meno libri dello scorso anno.
Cose che succedono quando arrivano fondi a pioggia
Si potrebbe comunque argomentare che i sondaggi sui consumi culturali sono un indicatore imperfetto dell’andamento di un settore. Se, per esempio, le associazioni degli editori fornissero dati aggregati sui risultati economici dei propri associati, avremmo qualche certezza in più riguardo alla dimensione della crisi per un settore che produce beni che sono stati liberamente acquistabili (prima solo online e dal 14 aprile anche in alcune librerie) e consumabili per tutta la durata del lockdown, con uno sconto massimo ridotto al 5%.
Redacta negli ultimi mesi ha raccolto diverse testimonianze di richieste di sconti alle tariffe “causa Covid” e di comportamenti opportunistici sulla cassa integrazione concessa dal Governo. Una conferma indiretta arriva da alcuni dati Inps, secondo cui il 27% delle ore di cassa integrazione “causa Covid” è stato richiesto da aziende che non hanno avuto cali di fatturato. Le imprese, non solo editoriali, hanno potuto inoltre legittimamente contare su altri aiuti da parte dello Stato: valgano come esempi il contributo a fondo perduto per le Pmi e la cospicua cancellazione dell’Irap.
Crediamo che per fare in modo che il sostegno arrivi ai soggetti più deboli della filiera occorra ripensare alcune delle logiche sottostanti a questi provvedimenti: fino a oggi, il meccanismo di sgocciolamento dagli editori a chi per loro lavora (negli anni Ottanta veniva chiamato trickle down economics) ha dimostrato l’efficacia grossomodo di una danza della pioggia. I risultati del nostro sondaggio sono lì a dimostrarlo.
Le proposte di Redacta
Per evitare di morire sperando, crediamo che i fondi andrebbero distribuiti seguendo questi due principi:
- sostenere i soggetti strutturalmente esclusi dal welfare, rimasti fuori da tutti i provvedimenti emergenziali (come gli stagisti, in alcune regioni). Questo provvedimento va inteso come strettamente emergenziale mentre, nel medio periodo, è necessaria una riforma del sistema di welfare che garantisca coperture assistenziali di base per tutti (una proposta che Acta sta perfezionando);
- porre come condizione necessaria per accedere a qualsiasi agevolazione o commessa pubblica il rispetto delle condizioni di lavoro e dei compensi dignitosi per i freelance (per i dipendenti alcuni di questi parametri esistono già).
Ancora più nel concreto: i fondi dovrebbero essere distribuiti esclusivamente agli editori che per tutte le fasi della lavorazione del libro, dalla traduzione alla rilettura delle bozze, hanno applicato i corretti contratti nazionali ai propri dipendenti e/o hanno corrisposto un compenso dignitoso ai lavoratori autonomi coinvolti.
In questo modo si promuoverebbe la legalità nei contratti di collaborazione e si metterebbe un primo argine alla svalutazione del lavoro intellettuale.
In altre parole, crediamo che l’erogazione di fondi pubblici sia una buona opportunità per trasformare il settore editoriale in un mercato un po’ più equo e un po’ più in salute. Ma è un obiettivo che pare fuori portata se si continua a distribuire sussidi a pioggia e a rifinanziare l’esistente.