Creare per le piattaforme: è un lavoro?
Piattaforme come Patreon e OnlyFans permettono di guadagnare vendendo l’accesso a contenuti originali. Ma i compensi percepiti costituiscono reddito da lavoro, mancia o beneficenza?
Il 21 febbraio 2021 lo youtuber St3pny, 4,3 milioni di follower di YouTube, è stato condannato per aver evaso 76.000€ di Iva. Negli stessi giorni, più di mezzo milione di creatori e creatrici in tutto il mondo caricava e vendeva i propri contenuti – dai video alle foto, dai fumetti agli articoli – su piattaforme come Patreon e OnlyFans, o accettava donazioni e piccoli pagamenti tramite siti come Ko-fi. Diverse migliaia di loro vivono e creano contenuti in Italia.
Il punto di contatto fra l’attività di St3pny, che guadagna centinaia di migliaia di euro l’anno, e una ragazza che carica illustrazioni o foto su Patreon per cento o duecento euro al mese, è l’incertezza nell’inquadramento fiscale e previdenziale di questo reddito.
A rivoluzione digitale ormai avviata, con due generazioni diventate adulte fra computer, smartphone e internet, ancora non è chiaro come vadano dichiarati e tassati molti dei guadagni ottenuti grazie al web.
La risoluzione del caso di St3pny è stata lineare, per quanto controversa: lo youtuber aveva dichiarato come proventi da cessione del diritto d’autore (esenti quindi da Iva e contributi e con un’imposizione Irpef ridotta) oltre trecentomila euro ottenuti dalle aziende per la creazione di contenuti sponsorizzati. Secondo il tribunale di Firenze, si trattava invece di un’attività continuativa professionale, su cui l’Iva deve essere pagata. Più difficili da giudicare sembrano i casi dei tantissimi creatori e creatrici che tramite le piattaforme guadagnano poche migliaia di euro l’anno, spesso tramite pagamenti o donazioni dirette da parte di fan/lettori/clienti.
Per alcuni di loro, quelle poche centinaia di euro costituiscono l’intero guadagno mensile. A volte ci sono altre piccole entrate: giornalisti freelance che scrivono qualche pezzo per alcune testate o conducono trasmissioni radiofoniche, che scrivono libri (e a volte li vendono), oppure persone che nella vita pre-pandemica insegnavano danza, pilates o mindfulness in circoli e piccole palestre, quando non recitavano in spettacoli teatrali. Nelle indagini sociologiche li chiamiamo “slash workers”, persone che hanno più lavori. Spesso hanno alte qualifiche, ma poco retribuite dal mercato, e per vivere hanno bisogno di cumulare lavori diversi: alcuni più interessanti e legati al proprio percorso vocazionale e altri, spesso molto esecutivi, che servono per sostentarsi. Tutti lavori generalmente brevi, con inquadramenti contrattuali poco tutelanti e che, a causa della pandemia, si sono interrotti senza diritto ad ammortizzatori sociali o economici continuativi.
Nel tempo libero del lockdown e della chiusura di teatri e palestre, molti di loro si sono inizialmente dedicati a scrivere, raccontare e insegnare le cose che sanno e sanno fare, dapprima con la generosità della primavera 2020 e del #iorestoacasa e poi con l’urgenza del #dovetrovoisoldiperfarelaspesa, segnando il successo proprio nel 2020 di piattaforme come OnlyFans.
Molte di queste piattaforme e canali, che hanno modalità di funzionamento e di calcolo della remunerazione dei creatori di contenuti differenti, sono extraeuropee. Le FAQ per i creatori e creatrici spiegano chiaramente che la normativa fiscale e del lavoro è differente nei diversi paesi, e per questo suggeriscono di rivolgersi al proprio consulente contabile per capire come gestire il denaro percepito, che arriva direttamente in banca o su un conto online. Peccato che spesso il commercialista ne sappia altrettanto poco.
D’altra parte, spesso i creatori e le creatrici vendono i contenuti a pochi euro: cifre che – fatti salvi i casi di eccezionale successo – non permetterebbero neanche di coprire i costi di una partita Iva nel regime forfettario. Come vanno considerati redditi del genere? Si tratta del frutto di attività professionali o di una sorta di mancia, esente quindi dalle tasse? E se si tratta di remunerazione per un’attività professionale o artistica, il lavoro non dovrebbe essere retribuito con un compenso quanto meno dignitoso e sufficiente per mantenersi sopra la soglia di povertà?
Spesso le problematiche meramente contabili e fiscali ci aiutano a fare luce anche su questioni più ampie e di sistema. La pandemia ci ha insegnato che essere lavoratori invisibili non aiuta nei momenti di difficoltà: pensiamo a cosa è successo a chi veniva pagato con collaborazione occasionale, evitando l’iscrizione Inps e i contributi. Questo ha significato rimanere esclusi da tutele fondamentali come malattia, maternità e pensione e, per i beneficiari della DISS-COLL, da un sostegno strutturale al reddito.
Certo una creatrice o un creatore, da solo, ha ben poco potere d’intervento sui prezzi generali del mercato – ma in alcuni casi, soprattutto quando si tratta di contenuti nuovi, il mercato lo fa lui o lei (e non sempre ne è consapevole). Quando si stabilisce un prezzo, si esplicita una corrispondenza tra la “donazione” o il prezzo di un abbonamento e il servizio erogato; per definire tale corrispondenza è però indispensabile sapere se ciò che compare sul conto corrente è un netto o un lordo, ed è importante saperlo in fretta, prima che il mercato si stabilizzi su compensi irrisori, poi difficili da ridimensionare.
Più che l’attività ispettiva, che mira a scoprire illeciti, più o meno eclatanti come nel caso di St3pny, servirebbe un’attività regolatoria, che aiutasse i creatori a stabilire di conseguenza i propri prezzi. Le sentenze fino ad ora hanno colpito infatti solo chi è grande abbastanza da farsi notare, ma non abbastanza grande o scaltro da sfruttare le scappatoie legali per spostare la propria residenza fiscale in paesi più permissivi. Bisogna infine ricordare che chi guadagna davvero dai contenuti di milioni di creativi sono le piattaforme: Patreon e OnlyFans, ma anche Facebook, Instagram o YouTube – e nessuno di loro paga per intero le tasse in Italia.
Stiamo raccogliendo esperienze. Hai mai lavorato tramite Patreon, OnlyFans o altre piattaforme online? Scrivicelo in un commento o via mail!
Cristina Zanni e Maria-Angela Silleni
1 Commenti
Arianna Pellegrini
Replygrazie per aver trattato questo argomento. Sì, ho lavorato per le piattaforme e mi hanno lasciato l’amaro in bocca proprio per l’incertezza sul come vadano rendicontati correttamente i guadagni percepiti. E’ paradossale, e pure logorante, vivere con il terrore di un accertamento fiscale pur non avendo mai voluto fare del nero.