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Una freelance nella giungla dell’editoria

20 Luglio 2021 Diritti, Lavoro, Vita da freelance

Pubblichiamo la testimonianza di una socia di Redacta che ha aperto “Carta/Lotta”, l’audio integrale dell’evento si può ascoltare sul sito di Cox18Stream.

Lavoro da un paio d’anni per una casa editrice come collaboratrice esterna, e mi ci sono trovata dopo un percorso forse un po’ atipico, perché non ho alle spalle una formazione specifica o un master in editoria, ma solo una triennale in comunicazione e una candidatura spontanea come social media manager, per questa casa editrice appunto, che per puro caso stava cercando proprio quella figura professionale.

Il lavoro, alla fine, è andato a un’altra persona ma a me hanno proposto di entrare nel gruppo dei correttori di bozze, ché di loro c’è sempre bisogno. E io ho accettato, perché era un ambito che mi interessava molto di più dei social media ma non ci speravo proprio.

Mi hanno fatto svolgere una prova e, al primo “colloquio”, diciamo, in redazione, mi hanno fatto una proposta di compenso. Era bassissima, non teneva conto né della lunghezza di una bozza né delle ore che avrei potuto impiegare a correggerla, e me ne sono resa conto subito, ma ho pensato che era un’opportunità troppo bella, e ho accettato di nuovo. Non ho un contratto ma, ogni mese, mando una sorta di notula che chiamiamo amichevolmente “fattura”, sotto quello che si chiama “regime di diritto d’autore”.

Praticamente funziona che io apro la mail la mattina e vedo se c’è qualche bozza: prima del Covid, almeno, andavo in redazione a prendere i cartacei da correggere poi a casa, scambiavo due chiacchiere con gli editor. Adesso non si può fare neanche quello quindi i contatti umani, da minimi, sono arrivati a zero.

Non ho mai rifiutato una bozza, un po’ perché i compensi sono già miseri e se mi metto pure a lasciare indietro lavori non mi viene in tasca proprio niente, un po’ perché c’è sempre il timore che, se inizio a dire di no, piano piano altri correttori possano prendere il mio posto, che è veramente tremendo da pensare, ma è così.

Il resto, è tutto incognita: non so mai quando ci saranno momenti di carichi importanti di lavoro o di vuoti, non so chi sono gli altri correttori di bozze e collaboratori esterni, non so se potrò mai sperare in un contratto stabile.

La sensazione, a fine giornata, è di aver speso tanto tempo, tante energie in una sorta di performance auto-imposta, per portare a casa briciole. Ma è un lavoro che, nonostante tutto, continua a piacermi, e mi piacciono le persone in redazione, quindi vacillo fra la passione verso il mestiere e l’evidenza del fatto che, così, è insostenibile.

Vi racconto tutte queste cose personali non perché siano notevoli per qualche motivo, anzi, è esattamente per la ragione opposta: ciò che sto dicendo potrebbe raccontarvelo chiunque lavori nell’editoria da freelance, con ben poche variazioni sul tema.

Tu, all’inizio, non lo sai mica: ti fai il tuo master, o uno dei tanti corsi di formazione che oggi sbucano ovunque, con esiti più o meno fortunati, e ti aspetti che la prima cosa che farai sarà un colloquio per un posto nella redazione di una casa editrice. Dentro, non fuori. Nessuno ti dice che non è così. Ma l’hai studiato durante il corso, ti aspetti di far parte di un cervello collettivo, come allora si diceva dell’Einaudi, una specie di laboratorio dove tutti insieme vi impegnate per salvare con la cultura ciò che resta di questo paese.

E invece di ritrovi a correggere la tua prima bozza, nella tua stanza, tirando fino a sera, con il sospetto che tutto quel tempo non ti verrà adeguatamente ricompensato, ma con la convinzione che un po’ di gavetta sia necessaria per imparare un mestiere. In sostanza, sei solo e, per lo più, ignaro.

Negli ultimi anni abbiamo assistito a una massiccia esternalizzazione del lavoro redazionale, e specularmente le redazioni sono diventate sempre più piccole. Ovviamente questo conviene moltissimo, alle case editrici, che hanno meno costi fissi. Il risultato è che, molto spesso, e questo sì è un po’ diverso dal mio caso, il lavoro redazionale viene integralmente affidato a un solo freelance, che dovrà occuparsi dell’intera lavorazione del testo, dall’impaginazione alla correzione, e consegnarlo nella sua forma definitiva. Devi saper fare parecchie cose, per gestire un libro dall’inizio alla fine.

La prima scoperta, quindi, quando ti butti nell’editoria, è che quasi sicuramente sarai molto isolato. Non potrai confrontarti con la redazione, non potrai capire chi sta nelle tue stesse condizioni né capire se ci siano margini di miglioramento. Di certo non ti verrà in mente di fare il martire della situazione, nonostante l’insoddisfazione.

Certo, siamo tanti a voler entrare nel mercato del lavoro redazionale ma, stando alle statistiche ufficiali, anche la produzione editoriale è altissima. Certo, va considerato che solo il 17% del prezzo di copertina di un libro va a coprire i costi di produzione, cioè quei lavori che vanno dalla valutazione del manoscritto all’impaginazione, passando per l’eventuale traduzione, l’editing e la correzione bozze. La percentuale scende al 10% nel caso delle piccole case editrici.

Le retribuzioni medie, però, sono davvero molto al di sotto di uno standard accettabile, e non è che puoi stare troppo a negoziare. Molti sono costretti a trovarsi secondi lavori, più o meno discontinui nel tempo, per poter pareggiare i conti a fine mese, o a considerare quello editoriale come secondo lavoro, per arrotondare.

Questo fa sì che un freelance nel campo dell’editoria, lavorando in completa autonomia, finisca per monetizzare tutto il tempo a disposizione, poiché sa che più lavora e più possibilità ha di non preoccuparsi se le bollette saranno quel mese più alte.

Ma sa anche che, in assenza di un contratto o di un accordo scritto ufficiale, se rifiuterà un lavoro potrà perdere la “fiducia” del committente nella sua disponibilità. In un contesto simile, così altamente concorrenziale, un potenziale collega ci appare come una specie di nemico, un rivale, che può sottrarci il lavoro che abbiamo rifiutato e con il lavoro la possibilità di farlo noi al suo posto. Che è un po’ la bruttura di cui parlavo prima, no? Fondamentalmente domina la regola del dumping: vince chi gioca più al ribasso e accetta condizioni sempre peggiori, magari nella più totale inconsapevolezza di quali dovrebbero essere delle condizioni dignitose.

Redacta, nel 2019, ha svolto un’indagine per cercare di fare un po’ di chiarezza in un campo professionale molto poco “studiato”, e ha ricavato alcune informazioni interessanti che ci aiutano anche a tirare un po’ le somme:

  • L’88% dei rispondenti ha dichiarato di essere un lavoratore freelance.
  • Si fanno sempre meno contratti e si chiede sempre di più al lavoratore, non solo in termini di mole di lavoro ma anche di flessibilità. Tra l’altro questi contratti, quando ci sono, vengono usati in modo opportunistico, cercando tutte le soluzioni possibili per risparmiare.
  • Oltre la metà dei rispondenti che lavora per il settore tra le 25 e le 55 ore alla settimana (il 70% del totale) dichiara di avere un reddito annuo lordo inferiore a 15.000 euro.

Tutto questo è possibile perché, di base, in editoria è tutto un po’ fumoso, un po’ detto e non detto.

Non c’è una regolamentazione delle tariffe, ad esempio, o qualche tabella con dei minimi di riferimento (da qualche tempo però ci sono i compensi dignitosi calcolati da Redacta). Non c’è chiarezza sui contratti e ognuno si rapporta al singolo lavoratore come ritiene opportuno.

Non c’è, soprattutto, coesione fra noi che nell’editoria ci lavoriamo.

E allora sta a noi trovarle, costruirle, le occasioni di confronto e discussione, perché i legami e le relazioni che possiamo creare sono il primo passo per restituire piena dignità ai nostri mestieri.

 

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Redacta

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