La coalizione che non c’era: Redacta
22 Maggio 2024 Compensi, Diritti, Lavoro
Pubblichiamo qui la traccia del discorso che abbiamo tenuto il 6 aprile 2024 al Festival della letteratura working class alla ex GKN. Qua c’è la registrazione integrale del nostro panel – Tavola rotonda su editoria, classe operaia e lotta di classe – con Simona Baldanzi, Massimo Carlotto, Francesca Coin e Luca Dall’Agnol e sul profilo di Radio Sherwood trovate anche tutti gli altri incontri.
Non è la prima volta che siamo qui; c’eravamo anche nell’ottobre del 2021 quando abbiamo accolto l’invito del Collettivo di Fabbrica a lavoratori e lavoratrici dell’informazione per un’assemblea trasversale, per rompere quella perniciosa divisione tra mestieri diversi e realizzare, al suo posto, un fronte allargato di solidarietà trans-settoriale, cominciando con una domanda semplice ma radicale: e voi come state?
Noi eravamo venute a parlare della prima azione collettiva di un gruppo di freelance, avvenuta nel marzo 2021 contro la casa editrice il Saggiatore, editore milanese progressista e di sinistra che per anni si era avvalso di una vera e propria redazione esterna, costituita dunque da freelance, per la lavorazione di quasi l’80 per cento dei suoi titoli. A marzo 2021, con una mail aveva informato collaboratori e collaboratrici che per ragioni di “riorganizzazione aziendale” non avrebbero più ricevuto lavoro. È a questo punto che nasceva l’azione collettiva: abbiamo osato chiedere pubblicamente e insieme dove fossero finite le commissioni che per anni avevano costituito una grande parte del nostro reddito.
La risonanza di questa azione nel mondo editoriale è stata grande, e il messaggio che è passato è importante: ci credete isolati, disuniti, in competizione. Be’, non lo siamo.
Quella domanda – “E voi come state?” – che ha rivolto a tutte noi il Collettivo di Fabbrica nell’ottobre 2021 è la stessa che abbiamo iniziato a farci a vicenda 5 anni fa, quando Redacta è nata dall’iniziativa di alcuni soci e socie Acta come inchiesta sulle condizioni di lavoro nel settore dell’editoria libraria.
Ci vedevamo e ci chiedevamo: “Come va?”, “Come stai?”. E la verità è che stavamo tutti e tutte un po’ così e così, nonostante ci venisse continuamente detto: “Ma perché ti lamenti? Fai un lavoro bellissimo…”.
Non abbiamo dovuto riflettere troppo a lungo su quello che stavamo facendo perché era molto chiaro: ci stavamo unendo per trovare soluzioni condivise a problemi comuni come il senso di isolamento, la frammentazione, i bassi compensi a fronte di un’alta intensità lavorativa e qualifiche elevate. Stavamo dando vita a un’esperienza sindacale.
E per trasformare questo “E voi come state? E noi come stiamo?” in qualcosa di concreto da cui partire per le rivendicazione, nel 2019 abbiamo fatto un primo sondaggio. Perché, per cambiare le condizioni di lavoro nel settore, prima di tutto quel settore è necessario ricostruirlo: l’auto-inchiesta è il primo passo per riconoscersi, dirsi uguali e mobilitarsi collettivamente. Accanto a questo, non abbiamo mai smesso di analizzare il modello economico del settore e lo sfruttamento a esso sotteso: siamo nate come e continuiamo a essere un’inchiesta permanente, e non potrebbe essere diversamente.
Si dice sempre che il lavoro culturale è povero ma spesso mancano i numeri – noi i numeri invece ce li abbiamo. Nel 2023 siamo tornate a chiederci come stessimo in maniera ancora più completa, ed è per questo che siamo qui oggi: per portarvi gli ultimi dati.
Al nostro sondaggio hanno risposto 825 persone. Non possiamo affrontare qui tutti i dati, quindi ne citeremo alcuni tra quelli più salienti.
L’editoria è un settore in cui il reddito mediano netto annuo è di 17.660 euro.
L’editoria è un settore in cui le ore di lavoro sono tante per tutti gli inquadramenti, si lavora molto spesso più di otto ore al giorno, di notte, nei weekend.
L’editoria è un settore in cui, a una sostanziale parità di ore lavorate, le donne guadagnano in media il 18% meno degli uomini.
L’editoria è un settore in cui solo la metà di chi ci lavora principalmente o unicamente ha risposto di avere un reddito sufficiente a mantenersi.
L’editoria è un settore in cui, il 60% di chi lavora in modo autonomo (e si trova quindi ad avere clienti e a dover contrattare il prezzo del proprio lavoro) vive una forte dipendenza economica da un solo cliente: può dirsi vera autonomia questa?
Questi risultati restituiscono l’immagine di un settore che si tiene in piedi spingendo con tutto il peso sulla compressione continua del costo del lavoro, sfruttando l’isolamento di collaboratori e collaboratrici freelance, sovraccaricando di mansioni chi ha un contratto da dipendente, abusando della turnazione forsennata di stagisti e stagiste, evitando di pagare le royalties alle figure autoriali.
Questo è un settore che si tiene in piedi appoggiandosi al nostro sfruttamento.
Ma la fotografia del settore – per quanto impietosa – non ci è mai bastata: perché se non fossimo capaci di vedere l’orizzonte oltre il dito che lo indica, non potremmo definirci il sindacato di chi lavora con i libri.
E come facciamo, quindi, sindacato? Parlando di compensi: sempre, in ogni posto, in ogni occasione possibile. Se l’inchiesta è permanente, la lotta per i soldi è senza quartiere. In un settore in cui l’esternalizzazione non tornerà indietro e il lavoro autonomo è preponderante, la nostra vocazione sindacale non può che basarsi soprattutto su questo.
Gli strumenti a cui abbiamo lavorato negli ultimi due anni – la Guida ai compensi dignitosi e il Redalgoritmo, un’applicazione web per calcolare preventivi editoriali – sono la migliore incarnazione di quanto detto fin qui: strumenti a libero accesso per tutti e tutte; strumenti che vanno nella direzione di ribaltare quella narrazione che ci vorrebbe in competizione tra di noi e, a questa, opporne una di segno opposto. Quella in cui cospiriamo insieme, consapevoli che accettare pochi soldi per un lavoro fa male a me così come nuoce gli altri e le altre che lavorano come me.
È importante che cambino le narrazioni dentro i libri – al livello della rappresentazione – sì, ma non è sufficiente: c’è bisogno anche di parlare e sovvertire i modi di produzione che alle rappresentazioni consentono di esistere: le nostre condizioni di lavoro. Ovvero, non basta parlare di sfruttamento nei libri se proprio lo sfruttamento è ciò che quei libri li rende possibili.
Se gli editori progressisti e di sinistra possono permettersi di sfornare annualmente titoli sulle più varie istanze sociali, ma poi dietro il libro sul caporalato nell’Agro Pontino c’è nascosto il lavoro di persone sottopagate, viene quasi automatica una battuta: è fin troppo facile essere progressisti e di sinistra solo sulla carta.
Noi, però, che con la carta ci lavoriamo alla carta non vogliamo essere relegate. Le narrazioni le rompiamo solo cambiando le condizioni di lavoro.