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Professioni "Riforma o controriforma?". Una sintesi del seminario.

7 Aprile 2013 Lavoro, News

Lo scorso 18 marzo si è tenuto a Milano il seminario “Professioni: riforma o controriforma,” organizzato dalla Facoltà di Scienze Politiche, Economiche e Sociali dell’Università Statale in collaborazione con ACTA. Al centro del convegno l’analisi della legge, recentemente approvata, sulle professioni non regolamentate (l. n. 4/2013) e le sue implicazioni sul lavoro autonomo di seconda generazione. Riportiamo la sintesi preparata da Elena Sinibaldi, che ringraziamo.

Si sono confrontati sul tema esperti di diritto del lavoro, professionisti ordinisti e non, sostenitori e critici della legge.
Il seminario si è aperto con l’analisi giuridica di Adalberto Perulli, giuslavorista dell’Università Cà Foscari di Venezia, a cui hanno fatto seguito gli interventi di Potito Di Nunzio, rappresentante dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Milano, Giuseppe Lupoi, presidente di CoLAP (Libere Associazioni Professionali), e Romano Calvo, rappresentante di ACTA. Durante il dibattito conclusivo hanno preso la parola: Davide Imola, responsabile CGIL – Professioni, Ordini e Associazioni Professionali; Renato Turbati, rappresentante dell’Associazione italiana di valutazione; Gloria Mina, rappresentante di Assointerpreti; Sandra Bertolini, rappresentante dell’Associazione italiana interpreti; Maurizio Del Conte, giuslavorista dell’Università Bocconi di Milano; Anna Soru, presidente di ACTA; Sergio Bologna, storico del lavoro e rappresentante di ACTA.
I lavori del convegno sono stati coordinati da Renata Semenza, sociologa del lavoro dell’Università Statale di Milano.
Riprendendo gli stralci più significativi dalla trascrizione completa del seminario, si restituisce una sintesi dei passaggi principali della discussione.

La Prof.ssa Semenza avvia il dibattito interrogando i relatori su tre possibili scenari.

Come allora possiamo fare una riflessione su questa riforma e soprattutto sugli effetti che ci aspettiamo da questa riforma, oggetto della discussione di oggi? Ci sono tre ipotesi:

  1. che la riforma rappresenti un’opportunità, un’opportunità di rendere sostanzialmente visibili degli invisibili, di dare voce a questa categoria che non ha voce, di incentivare l’associazionismo e la rappresentanza di queste professioni e di riconoscere regole più trasparenti sulla certificazione professionale, sulla qualità del lavoro, sulle remunerazioni;
  2. che la riforma invece rappresenti un vincolo. Quindi, costituirà una barriera all’ingresso, ad esempio: nei rapporti di lavoro con la pubblica amministrazione, per l’accesso ai bandi ecc. (…)
  3. che la riforma non avrà nessun effetto. (…) Nel senso che l’impressione è che questa legge si limita a normare alcuni aspetti marginali (erogazione della formazione, la rappresentanza ecc.) e lascia scoperte le grandi questioni: del fisco, degli standard retributivi, delle tutele.

Il prof. Perulli, attraverso un’analisi sistematica dell’articolato normativo, sottolinea le ambiguità della stessa legge in merito ad alcuni punti: la nozione di “professione”, la ratio della legge, il ruolo delle associazioni professionali. Riconduce, inoltre, l’ambiguità al carattere volontaristico della normativa.

Il legislatore dà in questa legge una nozione di “professione” che è molto generica (…). Curiosamente il concetto di “attività economica organizzata volta a prestazioni di servizi o opere” rimanda al concetto di “imprenditore”, all’impresa come attività organizzata e, nello stesso tempo, richiama la nozione di “prestatore d’opera” cioè del soggetto, del lavoratore autonomo ai sensi dell’ articolo 2222 del Codice civile che è colui che, appunto, realizza un’opera o un servizio (…). Una nozione ampia. Non saprei dire se dentro questa nozione può starci anche l’imprenditore, forse sì forse no (…). Sicuramente non ci rientrano le professioni ordinistiche, nonché quelle dei mestieri artigianali e commerciali che, per esempio, rientrano nel concetto di professioni ai sensi del Codice del consumo.(…) Inoltre, una caratteristica di questa definizione del professionista è l’ampiezza delle modalità con cui il professionista esercita l’attività (…) nella formulazione di questa norma può anche essere dipendente. Può essere anche un lavoratore subordinato.

Dal punto di vista della ratio, collegata con la definizione, e quindi delle finalità di questa legge già nell’oggetto si vede che questa legge ha una sua finalizzazione soprattutto in termini di tutela dell’utenza, della committenza, della clientela cioè di chi si rivolge a questo professionista; tanto è vero che si dice nel comma 30 art. 1 che in tutti gli atti che contraddistinguono i rapporti tra professionista e cliente bisogna fare espressamente riferimento a questa legge. Posso dire è l’unico vincolo reale giuridico, cioè che fonda un’obbligazione, che io ricavo da questa legge. Tutto il resto è fondato su basi volontaristiche.

Le associazioni professionali hanno il fine di valorizzare gli associati e di garantire la tutela degli utenti nel rispetto delle regole sulla concorrenza. Anche qui, una forte caratterizzazione di queste associazioni professionali nel senso della tutela della concorrenza, della tutela del consumatore. (…) In merito agli articoli di questo blocco vorrei dire velocemente che questo sistema è volontaristico e pluralistico. Volontaristico perché su base volontaria (…) E poi il principio pluralistico perché queste associazioni possono essere costituite senza vincolo di rappresentanza esclusiva, quindi, potranno convivere più associazioni nell’ambito della medesima “categoria” e questo potrebbe anche essere un elemento di confusione nell’organizzazione di queste associazioni. Associazioni che hanno, come dicevo, una finalità orientata alla tutela dell’utente e che, in qualche modo alla fine, “scimmiottano” un po’ gli ordini professionali: c’è il codice di condotta, la vigilanza sulla condotta degli associati ecc. Questo profilo di dispositivi regolamentari ricordano molto la logica ordinistica.

Perulli conclude il suo intervento, esprimendo una posizione critica rispetto alla legge in questione.

Concludo dicendo che, per me, questa legge è frutto di una visione puramente economica del mercato, di una visione riduttiva ed economicistica della professione, in cui il diritto interviene solo per garantire agli attori di svolgere delle contrattazioni informate e consapevoli, con una tutela astratta della libera concorrenza e non confrontandosi pienamente con quelle situazioni di asimmetria che caratterizzano il mercato professionale e soprattutto il mercato delle professioni dette di nuova generazione. Grazie.

Interviene il dott. Di Nuzio che, pur dichiarandosi favorevole alla regolamentazione delle professioni non ordinistiche, mette in evidenza gli elementi critici di una legge fondata perlopiù su basi volontaristiche.

Come dicevo, il professionista non ha nessun obbligo di iscriversi all’associazione professionale. Quindi potremmo avere tanti professionisti non iscritti. Quindi, rispetto a quello che voleva essere l’intento del legislatore di fare chiarezza non vorrei, invece, si facesse confusione sul mercato. Le associazioni dovrebbero farsi carico di essere trasparenti, altrimenti il problema si pone.

Delle tre ipotesi presentate da Semenza, in chiusura del suo intervento Di Nuzio sembra più vicino alla terza: la legge non produrrà effetti.

Quindi, sicuramente per quel che mi riguarda sono favorevole. Speravo in una formulazione diversa perché così si farà ancora più confusione. Oggi di questa norma si sente dire poco ma in effetti non è che ci sia da dire molto. Si tratta più che altro di dare una possibilità alle associazioni di regolare gli aspetti deontologici dei professionisti. Grazie.

Su tutt’altra posizione l’ing. Lupoi che prende la parola rivendicando il suo ruolo di promotore della legge n. 4/2013. Nel suo intervento ripercorre i passaggi cruciali che hanno portato all’approvazione del testo normativo ed elenca gli effetti positivi che la regolamentazione avrà sul lavoro autonomo e sulle associazioni professionali. Innanzitutto, il riconoscimento di tutte le categorie professionali e la valorizzazione delle competenze attraverso la formazione e le regole di trasparenza. Ribaltando le critiche fatte dai precedenti relatori, inoltre, sottolinea che il carattere volontaristico della norma sia da considerarsi uno dei punti di forza.

Veniamo subito allo scoperto: sì, siamo noi i promotori di questa legge! Questa legge, guardate, non la voleva nessuno. (…) E quindi questa legge noi la consideriamo un miracolo e siamo orgogliosi di aver ottenuto questa legge. (…) Noi abbiamo combattuto, volevamo un po’ di più ma la politica è l’arte del possibile non del meglio. Se avessimo puntato su alcune cose oggi non saremmo qui a discutere di questa legge. Invece, è una legge importantissima per milioni di cittadini italiani che, senza questa legge, continuerebbero a restare indefiniti nella loro qualifica. Oggi sono professionisti.

È una legge che se la vediamo così non la capiamo. Perché siamo abituati a proibizioni, obblighi, qui no. Ed è una scommessa questa legge. Io rispondo subito la A (riferito alle 3 ipotesi proposte da Semenza, nota), che sta a noi far diventare vincente.

Ma il dato importante di questa legge è la valorizzazione delle competenze. Diceva prima (riferito a Perulli – nota) che le associazioni fanno poco. Non è vero le associazioni fanno formazione professionale e rilasciano l’attestato. La formazione continua non è opzionale. L’attestato lo puoi rilasciare solo se ogni 3 anni viene fatta la formazione continua. (…) È un costo, certo, ma noi pensiamo davvero che si possa restare sul mercato senza investimento, senza formazione?

Nel suo intervento, Lupoi chiarisce, inoltre, la nozione di “professionista” contenuta nella legge, in risposta agli elementi critici individuati da Perulli.

Quando il professore ha detto, ed è tutto un programma, “scimmiottano gli ordini professionali”, noi non scimmiottiamo è che l’oggetto della professione è lo stesso (…), l’obiettivo è lo stesso “informare l’utenza”.

Io sono scandalizzato per quello che ho sentito prima! (si riferisce alla definizione di professionista contenuta nella legge commentata da Perulli) Il medico chi è? Il medico, che è un dipendente dell’ospedale, sarà un professionista o no? Non è l’essere libero o dipendente a fare il professionista, è fare la professione.

Sebbene per Lupoi questa legge rappresenti un’opportunità, in conclusione ammette che qualcosa ancora manca.

Mancano i diritti del professionista. Manca l’obbligo di formarsi, la competenza. Manca qualcosa che parli del fisco e soprattutto il welfare. Mentre gli ordini hanno, bene o male, delle previdenze organizzate noi non le abbiamo. Noi siamo costretti a essere iscritti alla Gestione separata dell’Inps paghiamo il doppio per avere ¼. Poi una delle cose importanti di questa legge è avere creato dei professionisti e ora provare a metterci dentro i diritti che ancora non ci sono.

Infine, interviene il dott. Calvo che pone l’accento su almeno tre questioni problematiche lasciate aperte dalla legge che costituiscono potenziali vincoli per il lavoro autonomo: i requisiti relativi alla formazione e alla certificazione delle competenze in base alle normative UNI, gli effetti della legge per i professionisti che lavorano per la PA e il ruolo delle associazioni di rappresentanza.

Per quanto riguarda la certificazione delle competenze e le norme tecniche UNI, la domande che facciamo è: nel momento in cui per la professione specifica viene ad esistere la normativa tecnica UNI sarà ancora possibile esercitare questa professione senza disporre di certificato di conformità?

(…) la norma UNI non può che riguardare i processi organizzativi, non potrà mai entrare nel merito della qualità intrinseca dei processi artistici, intellettuali, creativi, della professione. (…) Può porre solo dei vincoli, diciamo, nei processi aziendali e organizzativi. Ancora una volta rischia di essere un giro di parole perché si dice che la normativa tutela la qualità della professione quando, invece, la normativa tecnica UNI produce solo delle carte.(…) Se la PA, in modo burocratico andasse a acquisire quelle norme tecniche UNI potrebbe rivelarsi addirittura controproducente.

L’altro tema è che può essere un’opportunità ma anche una fregatura è il tema della rappresentanza collettiva. Nel senso che l’art. 3 comma 3, abbiamo ricordato, dice che queste forme aggregative, che se ho capito bene sono associazioni di associazioni, hanno funzione di promozione, valorizzazione e rappresentanza delle istanze comuni nelle politiche istituzionali. La domanda che facciamo è: può essere questa forma aggregativa un modo di contribuire alla formazione di una rappresentanza unitaria, forte per il lavoro autonomo di seconda generazione?

Terminati gli interventi dei relatori, si apre il dibattito conclusivo. Prende la parola Davide Imola che, pur attribuendo alla normativa il merito di “riconoscere” il nuovo lavoro autonomo, esprime una posizione critica riguardo ai potenziali vincoli della legge e alla mancanza di tutele:

Secondo me, questa norma ha un merito che è quello di aver dato riconoscimento e rappresentanza a un mondo che non l’ha avuto per 20 anni. Nel farlo, però, ha lasciato molte pecche (…) 1) una cartomante può definirsi professionista ai sensi della 4/2013 senza essere smentita; 2) la questione delle certificazioni UNI. (…) È vero che se non sono iscritto a nessuna associazione non ho l’obbligo di prendere la certificazione, però, nel comma 7 dell’art. 2 troveremo che per essere iscritti all’elenco previsto dal Ministero dell’Economia e lo Sviluppo economico io devo avere tutti i requisiti che sono all’art. 5, 6 e 7, quindi, comprese la norme UNI. (…) Io credo che queste cose vadano corrette perché una cosa fatta a fin di bene per avere un riconoscimento professionale rischia di essere negativa.

L’ultima cosa: diritti e welfare. Volevo ricordare che non c’è mai stato un articolo che prevedeva welfare e diritti. Dire “volevamo” non vuol dire niente, nessuno l’ha mai presentato in Parlamento, non l’ha mai voluto nessuno. C’è un’altra norma che si chiama “Statuto del lavoro autonomo professionale”, siamo gli unici in Europa, insieme e alla Grecia e Portogallo, che non ce l’hanno ancora e che, invece, non ha avuto (riferito allo statuto – nota) nemmeno un giorno di discussione.

La parola passa a Renato Turbati secondo il quale la legge in questione rappresenta un’opportunità:

Noi vediamo positivamente lo sforzo che ha fatto il legislatore e contemporaneamente il fatto di essere riconosciuti non è poca cosa perché una professionalità con un nome e un cognome riconosciuta dai committenti che sono molto più forti di noi, dal punto di vista economico e politico, è un punto di partenza su cui lavorare. Il punto principale è che si venga riconosciuti. Cosa che finora non ci era stato dato.

Interviene Gloria Mina ribadendo che la legge è un’opportunità. Si esprime criticamente, però, rispetto al suo carattere volontaristico, specie in riferimento al sistema qualità UNI EN ISO 9001 per l’associazione:

Devo dire che sono d’accordo con altri: mi dà molto fastidio che il giorno che veniamo informati che in fondo a ogni nostra mail dobbiamo scrivere “ai sensi della legge 4/2013” il giorno dopo chi non è iscritto a nessuna associazione sia esattamente considerato alla nostra stregua. Questa, secondo me, è la maggiore ambiguità. Cioè il riconoscimento delle associazioni o riconoscimento delle professioni? (…) Noi abbiamo salutato con grande favore questa legge. Quello che ci ha dato. Forse è vero che è un punto di partenza.

Segue l’intervento di Bertolini che puntualizza alcuni aspetti della normativa UNI e dei requisiti di qualificazione professionale, emersi nel corso del seminario:

Le norme UNI non certificano dei processi ma le competenze che UNI ha chiarito (…) durante un processo durato un anno e mezzo e che ha portato a un documento in cui si dice: le competenze sono il frutto di abilità e conoscenze.

Interviene Del Conte che nel suo commento sottolinea un punto critico nella logica di questa legge e una sua possibile trappola:

Ricordo come la rappresentanza collettiva degli interessi normalmente aspiri alla auto-determinazione, alla auto-regolamentazione. Ricordo come la rappresentanza sindacale tipicamente è una rappresentanza che non aspira al riconoscimento pubblico per il proprio status, ma esprime pubblicamente il proprio status. (…) Questa legge non ha portato significative novità, non ha portato novità in termini di diritti ma solo di doveri. Salvo questo status. Io ripeto, normalmente uno lo status se lo conquista non per riconoscimento pubblicistico ma per auto affermazione.

Le leggi molto spesso vengono fatte per non risolvere i problemi ma per congelare un situazione che incominciava in qualche modo a fare emergere dei problemi reali. Questa legge, quindi, al di là dei suoi effetti concreti, che mi paiono veramente minimi, genera l’interruzione di un percorso di auto-emancipazione e auto-affermazione per una parte moderna, dinamica e vitale del lavoro.

Prende poi la parola Anna Soru che nel suo intervento argomenta le ragioni per cui ritiene che la legge creerà vincoli ai nuovi professionisti, optando così per la seconda ipotesi formulata da Semenza. La legge infatti potrà creare forti vincoli a chi lavora per le Pubbliche Amministrazioni se queste considereranno come criterio di accreditamento l’appartenenza ad una associazione riconosciuta.

Soru é inoltre critica sulla norma che stabilisce che la rappresentanza sia affidata ad organizzazioni di secondo livello, una norma che sembra nata da un accordo tra chi ha fortemente voluto questa legge: sindacati (inclusa la CGIL che pure ora è critica su alcuni aspetti, come testimonia l’intervento di Imola), Colap e CNA, tutte organizzazioni di secondo livello e tutte organizzazioni che non si rivolgono solo a professionisti autonomi, ma che rappresentano anche lavoratori dipendenti (sindacati e Colap) o imprese (CNA), e che per questo spesso hanno obiettivi diversi e confliggenti. Afferma che comunque ACTA continuerà a cercare una interlocuzione con le istituzioni, a prescindere da questa legge.
Infine chiude Sergio Bologna, che ha ricordato l’importanza della costruzione di una coalizione, su cui auspica la collaborazione futura anche delle altre rappresentanze, dal sindacato al Colap.

ACTA

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