Il Parlamento Europeo dice sì ai nostri diritti. E quello italiano che farà?
31 Gennaio 2014 Diritti, Formazione, Lavoro, News
Il 14 gennaio 2014 il Parlamento europeo ha approvato con 587 voti a favore, 65 voti contrari e 39 astensioni, una risoluzione sulla protezione sociale per tutti, compresi i lavoratori autonomi .
Dopo aver costatato che nel 2012 il lavoro autonomo ha rappresentato oltre il 15% dell’occupazione totale nell’UE, il Parlamento europeo in sintesi afferma che:
- la sicurezza sociale deve essere garantita a tutti, persino ai lavoratori autonomi. Lo sviluppo del lavoro autonomo deve procedere in parallelo con adeguate misure di protezione sociale, in conformità con le leggi nazionali degli Stati membri. Il Parlamento sottolinea la necessità di un equilibrio tra sicurezza e flessibilità nel mercato del lavoro, ad esempio con una completa attuazione di principi di flexsecurity (ma con un emendamento rinuncia ad esigere che i diritti alla sicurezza sociale e protezione sociale siano legati alla persona piuttosto che al contratto di lavoro ).
- occorre offrire forme assicurative mutualistiche per coprire infortuni, malattie e pensione. Nel frattempo, “il Parlamento invita gli Stati membri a sviluppare, se necessario, la protezione sociale sulla vecchiaia, invalidità , maternità / paternità e la disoccupazione, in modo che le disposizioni in materia di protezione sociale dei lavoratori autonomi siano più adatte le loro esigenze“.
- l’accesso alla formazione continua deve essere aperto a tutti i lavoratori: occorre redistribuire i fondi europei e nazionali esistenti, attualmente destinati solo ai dipendenti con contratti a tempo indeterminato, a tutti i lavoratori, compresi lavoratori autonomi, indipendentemente dal loro tipo di contratto ;
- va contrastato il falso lavoro autonomo, con “una chiara definizione del lavoro autonomo a livello nazionale per ridurre il rischio di falso lavoro autonomo”, e con l’imposizione di sanzioni consistenti ai datori di lavoro che usano il lavoro autonomo come mezzo per aggirare le leggi sociali. Il contrasto passa anche attraverso un’intensificazione della collaborazione tra stati e l’introduzione di misure che favoriscano la conciliazione lavoro-cura nel lavoro dipendente, in modo da non obbligare a cercare la flessibilità di luoghi e orari con lavori autonomi economicamente dipendenti.
- Anche le statistiche devono essere aggiornate: devono essere predisposti nuovi indicatori e rilevazioni statistiche adeguate a monitorare il lavoro autonomo.
E’ un documento che apre una finestra sul lavoro autonomo con molte novità interessanti.
La prima novità apprezzabile è che riconosce l’esistenza del lavoro autonomo come forma di lavoro a se stante, per la prima volta non viene rimarcato il principio secondo cui il contratto dominante, la forma comune di rapporto di lavoro, debba essere il lavoro subordinato a tempo indeterminato (e tutto il resto è considerato atipico) . E allo stesso tempo riconosce di non conoscere a fondo questo mondo e auspica una maggiore attenzione nella rilevazione statistica.
Sono due punti che rispondono a precise richieste avanzate dall’EFIP (European Forum of Independent Professionals), il network di associazioni europee di frelancers di cui Acta fa parte e che dal 2010 ha svolto un’azione di pressione presso le organizzazioni europee per garantire il rispetto delle attività lavorative indipendenti come alternativa legittima al lavoro subordinato.
Certo un’ammissione che arriva solo dopo aver verificato l’elevato peso occupazionale del lavoro autonomo e senza superare la convinzione che in gran parte sia “finto” lavoro autonomo, originato da un uso fraudolento dei datori di lavoro che così risparmiano sugli oneri sociali, o scelta forzata per lavoratori che cercano flessibilità di tempi e luoghi per conciliare lavoro e altri impegni. Manca (ancora) il riconoscimento che il lavoro autonomo sia in molti casi l’unico modo per lavorare in mercati frammentati e variabili o l’unico modo per lavorare tout cour (nell’attuale situazione il lavoro spesso te lo devi inventare) o infine possa rispondere ad una scelta soggettiva di libertà e realizzazione professionale.
Nel documento emerge inoltre la preoccupazione che ampie fasce di lavoratori non accedano ad alcuna protezione sociale. Esistono infatti categorie di freelancers che non hanno alcuna copertura contributiva, ad esempio in Italia coloro che operano in regime di diritti d’autore (illustratori, traduttori editoriali etc), una situazione che meriterebbe qualche approfondimento perché del vantaggio del minor costo contributivo si è spesso appropriato il committente, che ha ridotto fortemente le tariffe, non lasciando spazi a possibilità di risparmio per il futuro o per le situazioni di difficoltà. Il documento europeo suggerisce l’incentivazione di forme di mutuo soccorso, una soluzione molto interessante che ci piacerebbe poter davvero sperimentare, non solo per coloro che sono attualmente scoperti ma anche per chi è costretto a rientrare nella famigerata gestione separata dell’INPS (estremamente onerosa e poco tutelante), con l’introduzione di un parziale opting out. Ma tutto ciò non risolverebbe la mancanza di un welfare adeguato a fornire le tutele di base ai più deboli, che non potrebbero permettersi l’adesione a fondi mutualistici. Su questo punto il Parlamento Europeo schiaccia il freno e , come ricordato, con un emendamento cancella un passaggio che prevedeva di legare la protezione sociale alla persona e non al contratto di lavoro.
Molto importante anche il punto sulla formazione: finalmente si chiede che anche i lavoratori autonomi abbiano accesso alla formazione finanziata, è auspicabile che le modalità di erogazione della formazione siano stabilite per andare incontro alle effettive esigenze dei lavoratori autonomi e non delle istituzioni formative.
Per concludere un’ultima perplessità. Se indubbiamente occorre sanzionare il ricorso delle imprese (senza dimenticare le PA!) al lavoro autonomo per scaricare sui lavoratori gli oneri sociali (e in Italia soprattutto per pagare di meno), preoccupa la volontà di individuare il ‘falso lavoro autonomo’ attraverso una serie di parametri che definirebbero il lavoro autonomo “economicamente dipendente”. Un’impostazione già tentata e fortunatamente bloccata perché rischiava di distruggere il lavoro genuinamente autonomo senza alcuna garanzia di riduzione degli abusi. Insomma un film già visto e che non vorremmo rivedere.
4 Commenti
Milo
ReplyMah, non ci siamo proprio: è la solita riproposizione della flexsecurity che nel tessuto italiano, sfaccettato e ricco di PMI, non può funzionare (come dicono molti esperti giuslavoristi).
L’idea che emerge per l’ennesima volta è quella che il lavoro autonomo sia sempre e comunque un potenziale strumento per eludere gli obblighi del lavoro dipendente, ma non tiene conto che è proprio la liberazione dalla subordinazione che fa crescere le professionalità (e, potenzialmnente, i compensi…).
E invece che cosa ci ritroviamo? Sempre e comunque la colpevolizzazione dei monocommittenti (o, per meglio dire, dei lavoratori autonomi e professionisti con committente prevalente), che in gran parte decidono autonomamente di mantenere questa struttura (per avere almeno una sicurezza, un punto di riferimento, per chi riesce a trovare, appunto, un committente prevalente), liberando tempo e risorse per affacciarsi verso il mondo della pluri-committenza, anche se di questi tempi è sempre difficile trovare altro lavoro (per cui ci si tiene stretto il prevalente…)
Come la vedo: sono anche d’accordo che, per compensi molto bassi, la monocommittenza possa tendenzialmente (ma non necessariamente!) nascondere irregolarità, ma non può e non deve essere sempre considerata un male, soprattutto sopra certi fatturati, perchè in certi ambiti professionali consente di liberarsi di vincoli antidiluviani (timbratura, obblighi subordinazione al ‘capo’, contratti di esclusiva, impossibilità di contrattare il compenso lavoro per lavoro, etc.).
Per non parlare poi di chi, professionista con cassa autonoma privata, non può passare con tanta leggerezza da una cassa all’altra senza rimetterci con ricongiunzioni onerose e totalizzazioni.
Che ne pensate?
A.
ReplyCosa ne pensiamo? Che non cambierà niente e se qualcosa cambierà dubito che sarà per il meglio