Le avventure di Astolfa, biofreelance – 13a puntata
3 Giugno 2016 Vita da freelance
Dalla penna di bulander alle pagine di Actainrete.it.
Un inedito racconto a puntate, ogni venerdì, per sorridere e prepararsi al meritato weekend.
Cover di Marilena Nardi.
Tredicesima puntata
[Se te la sei persa o vuoi rileggerla, qui trovi la dodicesima puntata.]
La sfilata dunque si era conclusa meglio del previsto, fioccavano gli ordinativi, i ricconi di mezza Europa volevano vestire i loro cani con i modelli del designer misterioso. I rotocalchi si erano scatenati nella gara a chi ne rivelava l’identità, i loro emissari erano disposti a pagare cifre favolose per corrompere il personale del laboratorio di Astolfa. Costei aveva dovuto dichiarare il coprifuoco e impedire a chiunque di entrare ed uscire. La sorveglianza era stata rafforzata con altri cinque indiani maori.
Un vigile urbano di Abbiategrasso, pensando di fare il furbo, aveva telefonato a “Vogue” dicendo di conoscere il nome del sarto e di essere disposto a rivelarlo in cambio di 100 mila euro. Due giorni dopo era nel nuovo carcere di Pavia in cella d’isolamento.
Era ora di saldare il debito di gratitudine con Hollandér, bisognava organizzare il recital di Glen-gul alla Scala. “Coraggio Astolfa, devi proprio andare da quel deficiente di un bocconiano…”, aveva detto tra sé digitando il numero del fratello.
L’ufficio all’ultimo piano del “Matitone” aveva una vista sui tetti di Milano da mozzare il fiato, all’orizzonte il Monte Rosa si stagliava con la sua imponente maestà. Astolfa espose il suo progetto in poche parole. Il costo era davvero ragguardevole e il contributo che chiedeva allo sponsor di tutto rispetto. Il fratello rimase un po’ sovrapensiero, consultò qualcosa sul suo computer e poi disse:
“Ok sorellina, ci sto. A una condizione. Tu mi cedi una quota della tua società, poco, anche il 5, il 3 per cento. Pago bene, tanto per capirci”.
Astolfa, per quanto il suo sangue fosse, come si è detto, non freddo ma surgelato, accusò il colpo. Non disse nulla, si alzò, si avvicinò alla grande vetrata, cercò con lo sguardo l’abbaino di via Farini di quando era bambina e, senza voltarsi, rispose:
“Sai, per me non ci sarebbero problemi ma il nostro statuto prevede in questi casi una serie di passaggi lunghi e pieni d’incognite… Tieni conto inoltre che al sarto, per contratto, va il 25% degli utili e sono certa che, dopo il successo della sfilata, chiederà un aumento…”
“Pazienza” disse il fratello, “ci rinuncerò… debbo avvertirti però che anche secondo il nostro statuto le sponsorizzazioni, quando sono per cifre così alte, debbono passare al vaglio del comitato di controllo, ci vorrà qualche mese, spero tu non abbia fretta…”
Astolfa capì che non poteva tergiversare, quel deficiente di un bocconiano le aveva già pensate tutte.
“Ci sarebbe una soluzione”, disse, “potresti chiedere al mio socio Mangiavetri, che ha il 7% delle azioni, se te ne cede una parte; in questi casi lo statuto non prevede controlli”.
Restarono intesi in tal senso, rapidi nelle loro decisioni ambedue, si sarebbero risentiti l’indomani al più tardi.
“Maledetto bocconiano, ora me lo trovo tra i piedi!”, Astolfa aveva un diavolo per capello mentre il suo ascensore scendeva a velocità supersonica, tanto da farle male alle orecchie. Di sotto l’aspettava la Ferrari nuova fiammante, a guidarla l’ex campione di Formula 1 Fulmine Accelerati, che Astolfa aveva ingaggiato come autista dopo che un incidente lo aveva costretto a lasciare le corse.
Durante il tragitto per Abbiategrasso non disse una parola.
Dovettero cambiare percorso un paio di volte a causa dei posti di blocco. I disordini per la disoccupazione e la fame erano ripresi alla grande in città. I facinorosi dei centri sociali riuscivano a portare in piazza migliaia di precari, di disoccupati, di licenziati. E gli scontri con la polizia diventavano ogni giorno più duri.