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Acta e Slow News presentano i risultati del sondaggio per far emergere le criticità dell’informazione precaria
Stamattina sono stati resi pubblici i risultati dell’inchiesta promossa da Acta e Slow News sulle condizioni di lavoro dei professionisti dell’informazione e della comunicazione. La rilevazione, che non ha finalità statistiche*, è stata condotta dal 3 al 20 aprile 2020 tramite indagine anonima online su un campione di 609 intervistati in tutta Italia appartenenti al mondo del giornalismo e della comunicazione ed è consultabile a questo link.
Il contesto
In Italia i professionisti della comunicazione e dell’informazione sono migliaia, ma di difficile stima. Per quanto riguarda l’informazione, ad esempio, su oltre 40 mila iscritti alla previdenza giornalistica – la cassa INPGI – nel 2017-2018, solo poco più di 15 mila profili erano inquadrati come lavoratori con contratto a tempo indeterminato e quindi assunti all’interno di realtà editoriali, giornali, testate, radio, tv (qui i dati più aggiornati, fonte INPGI). Nella comunicazione si stima siano oltre 10 mila gli addetti stampa e i comunicatori (dati Agenda del Giornalista 2019). Ma il mercato si è arricchito di professionalità nuove e altamente competenti che però raramente possono contare su un riconoscimento o un inquadramento contrattuale del proprio ruolo: social media manager, esperti di marketing e consulenti editoriali, addetti stampa con competenze digitali avanzate.
Ciò significa che oggi il precariato e l’attività freelance nel settore non sono eccezione, ma regola e occorrono misure urgenti per tutelare queste professionalità.
I risultati
L’indagine è stata suddivisa in due filoni:
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un sondaggio rivolto a giornalisti o comunque collaboratori di realtà giornalistiche, tanto redattori quanto fotografi, illustratori o consulenti;
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un sondaggio rivolto invece a chi lavora principalmente all’interno di aziende o come ufficio stampa, addetto/a stampa, social media manager e consulente in comunicazione e marketing.
Sono state raccolte in tutto 609 risposte, 408 per il sondaggio giornalisti e 201 per il sondaggio comunicatori.
Su 609 rispondenti, il 44% ha 30 anni mentre solo il 14% ha dai 50 anni in su e la maggioranza è donna. I livelli di istruzione sono elevati: i due terzi dei rispondenti ha almeno una laurea magistrale.
Per quanto riguarda i giornalisti:
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Oltre il 40% dei giornalisti intervistati ha una partita Iva e oltre il 35% viene pagato con collaborazioni occasionali e diritto d’autore. Inoltre il 29% degli intervistati dichiara di lavorare per 1 sola testata o committente o il 28% con due.
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Il 52,7% degli intervistati svolge esclusivamente la professione di giornalista;
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Il 41,2 svolge anche altre attività per necessità economica, diversificazione del rischio e ricerca di varietà.
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Il 66% dei giornalisti del campione viene pagato solo se il servizio/pezzo o prodotto editoriale – es. vignetta o foto – è effettivamente pubblicata.
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Il 42% riceve meno di 5.000 euro lordi annui.
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Il 68,1% degli intervistati porta a casa meno di 10 mila euro lorde all’anno.
Per quanto riguarda i comunicatori:
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Solo l’8% di coloro che hanno risposto al questionario sono specializzati in una sola attività o strumento di comunicazione;
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Il 25% degli intervistati svolge oltre 5 mansioni contemporaneamente, mentre mediamente chi lavora nella comunicazione svolge almeno 4 mansioni diverse;
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L’attività più diffusa, svolta dall’80% degli intervistati è quella di social media e content management.
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Il 55% riceve un compenso fisso mensile, il 35% viene pagato in base alle ore di lavoro svolte o all’impegno effettivamente impiegato e il restante 10% al raggiungimento degli obiettivi.
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Il 32,8% dei casi guadagna meno di 10 mila euro lordi all’anno, mentre circa il 25% riesce ad assestarsi tra i 10 mila e i 20 mila euro.
Per entrambe le categorie, il dato più preoccupante riguarda la previdenza e il futuro pensionistico, con un’elevata percentuale di chi non ha alcuna cassa di riferimento in cui versare contributi: 14% dei comunicatori e 17,2% dei giornalisti (tra questi ultimi il 67% di chi non è iscritto all’albo giornalisti e il 12,9% dei pubblicisti).
In conclusione ci sono alcuni elementi che emergono con forza dai risultati:
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Degli intervistati, tra i giornalisti meno di 1/4 lavora in redazione o in un coworking ma solo il 5% non lavora mai da casa, per contro i 3/4 dei rispondenti non lavorano mai in redazione. Tra i comunicatori è più frequente il lavoro presso i clienti (il 56% vi lavora almeno un giorno la settimana) e anche il lavoro dai coworking (utilizzati dal 21%);
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Nonostante la richiesta di professionisti della comunicazione e dell’informazione da parte del mercato e nonostante l’aumento del carico di lavoro proprio nel periodo dell’emergenza Covid-19, i rispondenti segnalano un calo ulteriore dei compensi – già bassi – e un allungamento dei tempi di pagamento;
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Nell’attività giornalistica “classica” ormai i collaboratori non possono più svolgere la professione in modo esclusivo, ma svolgono attività di comunicazione collaterale – ad esempio come social media manager – per sostenersi.
Nasce Acta-media
Il gruppo che ha promosso questa indagine ha continuato a confrontarsi attraverso la rete durante la crisi Covid-19 e si è ora costituito in Acta-media, una sezione specifica di ACTA che ha l’obiettivo di elaborare delle proposte e delle strategie per valorizzare il lavoro dei freelance della comunicazione in quanto freelance, senza inseguire la strada della stabilizzazione dei contratti, che comunque non sarebbe accessibile ai più.
*Non avendo finalità statistiche non può essere presa come riferimento per l’universo dei comunicatori e giornalisti in Italia, ma solo del campione di intervistati effettivi