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Fiocco rosa per i freelance: nasce Acta Media

13 Luglio 2020 Lavoro, News

Fiocco rosa per i freelance: nasce Acta Media, la costola di Acta dedicata ai professionisti del mondo dell’informazione e della comunicazione. Ce n’era davvero bisogno? Pensiamo di sì. E adesso proviamo a spiegarvi perché. Chiedendovi, se vi riconoscete nel progetto, di darci un segnale. Sappiamo che ci siete, il nostro sondaggio lo ha confermato. Adesso è il momento di provare a fare squadra. Ma andiamo con ordine.

Vantaggi e svantaggi

Le teorie sono buone per i libri. La realtà è sempre sfaccettata. Vale anche per il lavoro, ovviamente. Come suggerisce Jeff Sparrow in un articolo del Guardian ripreso da Internazionale, nel Settecento il lavoro da casa era la modalità privilegiata.

“Le fabbriche – chiosa lo storico N.S.B. Gras – si affermarono esclusivamente a scopi disciplinari, in modo che gli operai potessero essere efficacemente controllati sotto la supervisione dei capomastri”.

Dopo decenni, anche grazie al coronavirus, le cose stanno cambiando. Con il telelavoro, anche le grandi aziende stanno adottando sempre più il flusso di lavoro dei freelance: team di progetto piccoli e, in qualche caso, multinazionali. McKinsey stima nei prossimi dieci anni nei soli Stati Uniti i liberi professionisti saranno dieci milioni in più. Facile prevedere che i dati europei seguiranno la stessa tendenza.

Ferie pagate, malattie, proteste contro i licenziamenti, misure di sicurezza, assicurazioni. Vi suona familiare? Infatti. È tutto quello che i freelance non hanno. La flessibilità andrebbe pagata di più; invece, di solito, accade il contrario. L’ufficio e le formule di Taylor, se non altro, hanno permesso ai lavoratori di associarsi, scioperare e contrattare collettivamente perché riuniti fisicamente sotto lo stesso tetto. Il luogo di lavoro diventava il centro per lo scambio di idee. Quello che a noi, che lavoriamo da desk domestici e separati gli uni dagli altri, manca.

Le storie di chi ha scelto di uscire allo scoperto

Lavorare da casa è un sogno solo per i pendolari perennemente alla rincorsa di un treno. Per gli chi lo fa quotidianamente è una scelta di vita (in alcuni casi una necessità) non priva, però, di lati oscuri.

Tra le mura domestiche sono comuni vissuti di frustrazione, solitudine. Per non parlare della difficoltà a contrattare prezzi onesti e a farsi pagare quanto dovuto quando l’unica forma di comunicazione con i committenti è un’email. Le storie da raccontare sarebbero davvero troppe: abbiamo voluto citarne alcune delle nostre, per mostrare quanto siano vicine all’esperienza di tanti, e la differenza che può fare unirsi.

“Un anno fa sono stata contattata da un importante studio internazionale di architettura che necessitava di un consulente per un mese e mezzo – racconta Debora, nel gruppo di Acta Media dalla prima riunione – Avrei dovuto svolgere diverse attività dividendomi tra Milano e un’altra città. Dopo una rapida presentazione mi venne domandato quale fosse il mio compenso orario. La risposta indispose il mio intervistatore, il quale, nel mezzo di una conversazione diventata accesissima, si inalberò. “Questo non è un colloquio di lavoro. Io le sto chiedendo una consulenza!”. 

Solo una questione lessicale? Non proprio.

“Tornai a casa in treno mortificata per l’accaduto. Ma poi capii che non c’era nulla di personale in quello scambio: i motivi dell’incomunicabilità derivavano, piuttosto, dalla mancanza di un quadro di riferimento per stabilire i compensi. Inutile dire che non ottenni il lavoro”.

Patrizia, invece, è un’illustratrice.

“Sono pubblicista freelance in regime di diritto d’autore – racconta – collaborazioni multiple, pochissime lettere di accordo. Dal 2008 in poi ho sperimentato nel giornalismo il crollo dei compensi e il caos relazionale. Che, paradossalmente, mostrava il suo lato più selvaggio proprio con le testate di cui condividevo la ‘buona causa’. Una rivista pagava 15 euro per una rubrica mensile; un quotidiano di sinistra addirittura zero; una direttrice ben retribuita mi convocava per un lavoro gratis. Insomma, rispetto agli anni ’90-inizio 2000 il reddito si è più che dimezzato. Ma il volume di lavoro è lo stesso.”

Anche chi scrive, naturalmente, potrebbe aggiungere qualcosa alla raccolta. Che dire dell’editore che chiede quattro articoli di prova per avviare una collaborazione, allegando liberatoria con cui l’autore rinuncia a qualsivoglia compenso? O di chi commissiona un servizio, non lo pubblica e, quindi, non lo paga?

“Una larga fetta del lavoro giornalistico è svolta fuori dalle redazioni – chiosa Sara – ma fare il giornalista non è un hobby. Si deve anche vivere. Un singolo ha poco potere contrattuale: un gruppo di persone unito, invece, può fare molto”.

Contarsi per contare

In quel brodo primordiale che è la galassia freelance troviamo spesso tanta, tantissima voglia di sfogarsi, di raccontarsi. Diciamolo, è deformazione professionale. Quello che manca è il metodo.

Per questo abbiamo deciso di appoggiarci ad Acta, l’associazione che da tanti anni ha costruito il proprio percorso su poche, fondamentali rivendicazioni care ai liberi professionisti e un’attività di lobbying costante.

Come sostiene Barbara, anche lei presente dagli inizi del progetto Acta Media: “Il dialogo con i colleghi è diventato uno strumento fondamentale nel mio lavoro. Trovare un punto di riferimento in un’associazione che fornisce già da anni un ottimo supporto in termini di consulenza e confronto serve non solo a condividere i problemi: aiuta, soprattutto, a trovare soluzioni”.

Per provarci, in Acta Media partiamo da un assunto: il ruolo degli editori è fondamentale, certo. Ma la consapevolezza e la capacità dei freelance di rifiutare compensi da fame e condizioni di lavoro inaccettabili sono il vero motore del cambiamento.

Insomma: basta scuse, è il momento di cominciare a dire qualche no e lavorare insieme per proporre soluzioni sostenibili e dignitose.

Ci interessano il vostro contributo, la vostra voce, le vostre idee. Che i vostri committenti siano testate piccole o grandi, agenzie internazionali o piccole realtà locali, seguiteci, iscrivetevi alla newsletter e parliamone assieme. Senza paura. La mail è actamedia@actainrete.it. Abbiamo anche pensato di creare un gruppo Google aperto a tutti che segna l’inizio di un percorso. Facciamo anche riunioni (per il momento virtuali) ogni settimana.

Il bello deve ancora venire.

a cura di Antonio Piemontese

ACTA

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