Nasci incendiario muori editore
23 Settembre 2022 Compensi, Lavoro
Mentre l’inflazione rosicchia i compensi dei freelance, gli editori tornano a battere cassa per affrontare l’aumento del costo della carta.
Nelle comunicazioni ufficiali dell’Associazione Italiana Editori è possibile ritrovare condensato tutto il talento di una classe imprenditoriale capace di presentarsi, allo stesso tempo, come la “prima industria culturale del paese” e come una banda di filantropi, molti dei quali squattrinati, sempre sull’orlo del tracollo, sempre colpiti da una “crisi di troppo”.
L’ultimo Manifesto per il libro – rivolto ecumenicamente al prossimo governo, qualunque esso sia – è un caso esemplare. Dopo i soliti numeri sugli editori attivi (5200, contro i 1735 rilevati da Istat nel 2020) e il fatturato (in grande crescita dopo un 2021 memorabile, +18,5% rispetto al 2019), arriva l’inevitabile altro lato della medaglia. Oltre all’old foe della pirateria quest’anno a pesare è l’aumento del costo della carta, cresciuto “fino all’80% negli ultimi mesi”. La Confindustria degli editori chiede, dunque, un credito d’imposta sull’acquisto di carta: in sostanza, lo Stato dovrebbe “scalare dalle tasse” quanto gli editori spendono per “tirare” i loro libri. E tirano, tirano eccome…
Nel 2021 hanno ricominciato a crescere le opere pubblicate (siamo oltre 85000) che, in molti casi, rimangono invendute: secondo Istat “nel 2020 il 24,8% degli operatori del settore dichiara giacenza e reso per oltre la metà dei titoli pubblicati (22,1% nel 2019)”.
Riassumendo: la carta costa molto più del solito, quindi lo Stato dovrebbe premiare gli editori che ne comprano di più, pur sapendo che buona parte di quella carta trascorrerà in libreria (ottimisticamente) solo qualche mese, per poi avviarsi al macero.
La proposta di AIE non è nuova: si inserisce in una lunga tradizione di richieste di soldi pubblici per tenere in piedi un modello economico insostenibile (per chi ci lavora, ma non solo). Gli editori ricordano dei giocatori incalliti che chiedono alla collettività un altro gettone – un bel po’ di gettoni, a dirla tutta – da mettere nella slot machine del mercato editoriale. A forza di scommettere, arriverà il gettone vincente, magari un best seller, che pagherà le perdite.
Non siamo mica gli americani!
Se la descrizione che abbiamo appena dato vi sembra esagerata, macchiettistica, ingenerosa, potreste parlarne con Markus Dohle, chief executive officer di Penguin Random House, il primo editore di varia al mondo, che davanti a una corte americana ha descritto così il settore editoriale:
Everything is random in publishing. Success is random. Best sellers are random. So that is why we are the Random House!
Come riportato da Vox, Dohle non è l’unico a pensarla così: tutti i testimoni di PRH hanno descritto l’editoria come “caotica e romantica in egual misura, uno spazio nebuloso e incantevole nel quale gli editori elargiscono abitualmente grandi somme di denaro per grandi opere letterarie, incapaci di prevedere se mai recupereranno i loro soldi”.
Testimoni, abbiamo detto? Sì, perché PRH è stato portato a processo dal Dipartimento di Giustizia americano che lo accusa di aver violato le norme antitrust con l’acquisizione per 2,18 miliardi di dollari di Simon & Schuster (il quinto editore di varia al mondo). Una fusione che, secondo l’Economist, garantirebbe al nuovo soggetto un terzo delle vendite in lingua inglese al mondo e il 70% del mercato americano delle opere di finzione. (Tra i testimoni del governo, a sostenere che questa fusione abbasserebbe gli anticipi agli autori, c’era Stephen King, che si è definito freelance writer.)
Un altro punto di contatto tra le editorie ai due lati dell’oceano è la tendenza alla concentrazione in gruppi sempre più grandi. Mondadori solo nell’ultimo anno ha acquisito una quota di controllo di De Agostini Libri (compresa De Agostini Scuola: qui il comunicato per il via libera dell’antitrust), Ali e Star Comics, mentre l’accordo tra Messaggerie e Feltrinelli assorbe da quasi un decennio la stragrande maggioranza della distribuzione editoriale. Ma qui non siamo mica gli americani, nel senso che per l’antitrust italiano la situazione è eccellente.
Insomma, negli Stati Uniti come in Italia, il modello economico prevalente è quello di una progressiva concentrazione grazie alla quale si riesce a garantire una grande produzione (il complesso industriale del Print & Publishing è responsabile dell’1,3% delle emissioni di gas serra globali) con cui schiacciare la residua concorrenza. Qui si cerca di rattopparlo chiedendo aiuto all’erario, negli Usa si costruiscono colossi sempre più ingombranti, giustificati con la casualità del mercato che, se presa sul serio, faticherebbe a legittimare gli stipendi dei manager di questi gruppi.
Pagheremo con la carta?
Per comprendere il contesto delle richieste che AIE ha avanzato al prossimo governo è certo utile aver citato il più importante processo antitrust della storia dell’editoria americana. Ma non basta, in questa storia manca ancora un pezzo: il lavoro.
La prima riunione di Redacta in cui si è parlato dell’aumento del costo della carta è stata quella tenuta al LOcK di Milano il 22 settembre 2021. La riunione del 23 marzo 2022 a Bologna, durante la Children’s Book Fair, si è aperta con alcune slide sull’interazione tra aumento del costo della carta, conseguenze della guerra in Ucraina, e inflazione, che nel frattempo è diventata un problema per tutti e tutte.
Durante la discussione che è seguita tuttavia la preoccupazione più pressante era:
“Gli editori scaricheranno di nuovo i loro problemi sul costo del lavoro?”
Dalle mail e dai messaggi che ci stanno arrivando da soci e socie, amiche e amici, sembra proprio che queste paure si stiano avverando:
- dipendenti e finte partite iva lavorano sempre più intensamente, cercando di tappare buchi e re-internalizzare più lavori possibili;
- ai freelance più giovani vengono offerte tariffe da fame;
- mentre a quelli con maggiore esperienza vengono chieste sempre più mansioni per lo stesso compenso (come si dice: “Facciamo un bel forfait!”).
E la qualità dei libri? La possiamo immaginare…
Tra i tanti che dopo un anno di incassi record continuano a piangere miseria c’è anche un grande editore che, come rilevato dal nostro Osservatorio, continua a proporre le stesse tariffe calcolate al centesimo… con l’euroconvertitore.
Anche per questo, oltre al grande Stephen King, degli Stati Uniti è importante citare lo sciopero del 20 luglio degli impiegati di HarperCollins, un altro dei Big Four dell’editoria mondiale. La casa editrice negli ultimi due anni ha fatto incassi record, eppure i livelli di entrata degli stipendi dei suoi dipendenti non consentono di vivere dignitosamente nella grande città dell’editoria americana, New York.
Vi ricorda qualcosa?
Il modello economico dell’editoria non cambierà da solo, e non lo cambierà chi ci fa dei profitti. Non lo cambieremo neanche durante una delle nostre riunioni, ma ehi, non sono affatto male. Se vuoi partecipare ci trovi il primo giovedì del mese a Bologna, il terzo lunedì del mese a Milano e il terzo giovedì del mese a Torino. Con meno regolarità ci trovi anche a Napoli (prossimo appuntamento martedì 27 settembre) e a Roma (prossimo appuntamento sabato 15 ottobre).
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