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Fior di contributi, zero certezze: la storia di M.

22 Aprile 2024 Diritti, Maternità, Vita da freelance

Pubblichiamo in forma anonima la testimonianza di una nostra socia, nella speranza che presto tutti questi ostacoli alla maternità vengano rimossi e che le istituzioni prendano atto della realtà lavorativa moderna e tolgano finalmente il paraocchi – fatto di schemi rigidi e normative desuete – che impedisce loro di garantire diritti fondamentali come la genitorialità e la malattia e sostenere i contribuenti nel momento del bisogno.

 

Questa è la storia di una libera professionista che cade da un palazzo di 40 piani. Mano a mano che la caduta prosegue, la libera professionista si ripete: “Fino a qui tutto bene. Fino a qui, tutto bene”. Il problema però non è la caduta, ma l’atterraggio. Soprattutto perché la libera professionista è incinta, e il materasso che dovrebbe attutire l’impatto (ovvero l’indennità di maternità) rischia di esserle sfilato da sotto all’ultimo momento.

Mi presento: mi chiamo M. e nella vita mi occupo di musica. Non saprei definire meglio il mio mestiere, perché faccio di tutto un po’: l’autrice radiotelevisiva, la podcaster, la giornalista freelance, la docente universitaria, la consulente. Nel mio ambito professionale è normale, le situazioni più regolari e stabili sono l’anomalia e non la regola. Ma a quanto pare il mio problema è proprio questo: faccio troppe cose, e troppo diverse tra di loro, perché la burocrazia italiana riesca a inquadrarmi una casellina.

Verso i miei contributi a due casse previdenziali diverse: INPS Gestione separata (la stragrande maggioranza dei miei introiti vanno assoggettati lì) e INPGI 2 (quella dei giornalisti freelance, a cui verso poche centinaia di euro all’anno, perché la mia attività giornalistica non è particolarmente redditizia). Quando resto incinta, faccio richiesta di indennità di maternità a quella che è la mia cassa principale, ovvero INPS Gestione separata. Inizialmente tutto fila liscio come l’olio: la domanda viene accettata e i versamenti cominciano ad arrivare, anche se mi viene specificato che per il calcolo definitivo dell’importo che mi spetta devo consegnare la documentazione fiscale relativa ai dodici mesi precedenti al parto. È proprio quando li consegno che inizia il dramma: INPS respinge retroattivamente la domanda, chiedendomi anche di restituire i soldi (poche centinaia di euro, per fortuna) ricevuti fino a quel momento. Motivazione? Sono iscritta anche a un’altra cassa professionale, quindi la maternità devo chiederla a INPGI. Peccato che a INPGI versi talmente poco che, qualora la maternità dovessi riceverla da loro, sarebbero pochi spiccioli.

Inizia così un’odissea (con bambin* al seguito, ovviamente, perché nel frattempo ho partorito) per capire da che parte sbattere la testa. Alla mia richiesta di chiarimenti, INPS dice che finora il mio commercialista mi ha fatto pagare un’aliquota più alta del dovuto e che l’indennità di maternità e di malattia non potrà mai spettarmi in quanto iscritta ad altra cassa. INPGI mi dice che sono ancora in tempo per chiedere la maternità a loro, ma che ovviamente gli importi saranno molto bassi, considerando quello che ho versato. Mi iscrivo appositamente a un’associazione giornalisti per chiedere al sindacato di protestare formalmente, perché la mia situazione è quella di centinaia di altre persone, ma non sanno come aiutarmi. ACTA, invece, si dimostra molto più sul pezzo: allo sportello maternità mi indicano con precisione quale aliquota dovrei aver pagato per ottenere l’indennità, e mi spiegano anche che in molti altri casi altre professioniste nella mia situazione sono riuscite a ottenerla.

Raccolgo quindi tutti i dati in mio possesso e torno da INPS, intenzionata a fare ricorso, ma *l* funzionari* mi sconsiglia anche solo di provarci, perché è molto difficile che vada a buon fine, visto che la persona che si è occupata di gestire il mio caso (un* su* collega) è molto puntiglios* sull’applicazione di regole, codici e codicilli. Ormai stremata dalla burocrazia, ribatto che ho comunque intenzione di provarci, che è una questione di principio, che sono una contribuente e voglio rivendicare i miei diritti, perché di contributi ne pago fin troppi: a INPS Gestione Separata, a INPGI 2 e perfino a ex ENPALS, perché ogni tanto quando mi capita di fare un lavoro nell’ambito dello spettacolo mi collocano anche lì…E a questo punto arriva il colpo di scena: *l* funzionari* si illumina di immenso e mi dice che se ho qualche giorno di collocamento nell’anno precedente al parto, la maternità posso richiederla tramite ex ENPALS. Ce li ho: meno di una settimana, ma ce li ho. Faccio richiesta. E ottengo la mia maternità: i soldi mi arrivano qualche giorno prima che io rientri ufficialmente al lavoro.

Tutto è bene quel che finisce bene, quindi? Non proprio, perché se mai dovessi rimanere di nuovo incinta (o peggio, ammalarmi), in assenza di un regolamento chiaro, il fatto che io riesca a ottenere le indennità per cui pago fior di contributi dipenderà sempre dalla buona volontà e dalla flessibilità mentale dei funzionari che mi troverò di fronte. INPS Gestione Separata mi ha già detto che secondo loro non ho diritto né alla maternità né alla malattia, anche pagando le relative aliquote; per INPGI 2 sono una candidata per una minima indennità di maternità che non si avvicina neppure a quello che prenderei con INPS, ma in compenso per i liberi professionisti non garantisce malattia; ex ENPALS è un’incognita, perché non è detto che ogni anno io arrivi ad accumulare i giorni di collocamento che mi sarebbero necessari per ottenere i benefici della cassa. Insomma, sono una contribuente ligia e puntuale, ma per lo Stato non esisto. Siamo in tant* a non esistere. Un grazie ad ACTA, che rende visibili le nostre istanze e i nostri diritti.

ACTA

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di ACTA tempo di lettura: 4 min
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