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L’editore non ti ama

17 Aprile 2025 Lavoro, Prontuario Redacta, Senza categoria, Vita da freelance

Tenetevi l’affetto, noi vogliamo il rispetto

“Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece infelice a modo suo” è probabilmente l’incipit più noto della storia della letteratura.

La famiglia è quel posto in cui, in linea teorica, dovrebbe vigere un amore incondizionato, dove ci si dovrebbe sentire al sicuro, dove si litiga ma poi si prova a risolvere in virtù di un legame affettivo profondo (al netto del fatto che poi, spesse volte, non è così).

Da qualche decennio, tuttavia, il termine ‘famiglia’ ha cominciato a essere impiegato nell’auto-narrazione di alcuni ambienti di lavoro. E molte persone, per un tempo fugace – poco più lungo di un battito d’ali di colibrì –, hanno voluto crederci, hanno voluto lasciarsi affascinare da quanti dicevano che: 

Ma questo immaginario, come al solito, è funzionale a chi lo crea, cioè a chi comanda – e non a chi a quel potere è sottoposto, cioè chi lavora. Quello della famiglia (o dell’amicizia) è un leitmotiv che nei settori culturali e creativi come l’editoria libraria vediamo accompagnato dall’altro grande caposaldo: il lavoro vocazionale.
Se il contesto del lavoro che ci appassiona è “come una famiglia”, sarà tanto più naturale amare ciò che facciamo, no?
Ed esigere il rispetto dei propri diritti sarà quindi un puntiglio, no?
E innescare il conflitto sarà fuori luogo, giusto?
E chiedere un aumento di salario, compensi più dignitosi, una migliore organizzazione nelle tempistiche, la considerazione delle professionalità, la trasparenza nei rapporti lavorativi… saranno istanze che suscitano imbarazzo, perché come possono servire queste cose dove c’è affetto?
Siamo una grande famiglia, abbiamo obiettivi comuni, e tutto si risolve con una pacca sulla spalla. Vero?

Svegliarsi dal sogno della passione

Se il sonno della ragione genera mostri, il sogno della passione genera illusioni che ci fanno accettare anche ciò che ci danneggia.

Ecco perché noi vogliamo svegliarci collettivamente e non vogliamo più che i piani vengano mischiati: il lavoro è lavoro e richiede rispetto, mentre l’affetto è un’altra cosa e occupa altri spazi della nostra vita.
Ecco perché vi invitiamo a dare il vostro contributo all’inchiesta “L’editore non ti ama”:

Ovvero aspettiamo le vostre testimonianze (e magari What if o considerazioni con il senno di poi), in cui ci raccontate di tutte quelle volte in cui vi hanno detto frasi come:
“Diamoci subito del tu” / “Qua siamo amici” / “Ne parliamo al telefono” / “Ti chiedo di avere un po’ di comprensione” / “Con il rapporto che abbiamo…” / “Ti conosco profondamente e ti capisco, ma…” / “Non mi deludere” / “Menomale che ci sei tu” / “Lo chiedo a te perché mi fido” / “Lo assegno a te perché sei la più brava” / “Non abbandonarmi” / “Ti siamo stati vicino quando [questione personale che forse era meglio non condividere]”.
Insomma: “SIAMO UNA FAMIGLIA”.

Partire da sé per arrivare a tutte

“Il personale è politico” se e solo se viene collettivizzato o socializzato per creare nuove narrazioni, come ci insegna il femminismo. 

Dalla raccolta dei contributi – di cui all’occorrenza pubblicheremo stralci in forma rigorosamente anonima, come abbiamo sempre fatto – vogliamo far emergere l’esistenza di ambienti di lavoro disfunzionali, quelli in cui il conflitto viene disinnescato e il rapporto di lavoro (che è sempre un rapporto di potere), attraverso modalità apparentemente di tipo amicale/affettivo o anche soltanto paternalistico, diventa manipolatorio.
La nostra chiamata non vuole essere una raccolta di vicende strappalacrime per infiocchettare un carosello Instagram ma il primo passo per la costruzione di:

  • Un’inchiesta per mettere a fuoco, analizzare e smontare le dinamiche a doppio taglio che i datori o i committenti in ambito editoriale (e, con loro, chiunque abbia un ruolo di potere nell’ambiente di lavoro) mettono in atto per ammansirci: perché una forza lavoro meno consapevole di contesti e processi inaccettabili è più silenziosa e più produttiva. Dinamiche tossiche e disfunzionali che possono spingersi talvolta, senza che chi lavora se ne renda pienamente conto, fino all’innominabile (e legalmente difficilmente dimostrabile!) mobbing.
    Dinamiche manipolatorie che, nel caso di chi lavora all’esterno delle case editrici, non hanno neanche un nome, eppure esistono e hanno tante più possibilità di manifestarsi quanto più le condizioni economiche sono disperate e quanti meno sono i committenti di chi ne è vittima (tipicamente i casi di forte dipendenza economica da un solo editore).
  • Una campagna comunicativa che porti chi in editoria si ritrova ingabbiato in queste dinamiche disfunzionali a prendere coscienza della propria situazione, perché pensiamo che la credibilità di un editore non si fondi solo sul suo catalogo, ma anche sul suo comportamento nei confronti di chi di quel catalogo lo costruisce. E sapere certe cose potrebbe magari interessare anche lettori e lettrici.
  • Forse un domani, con l’aiuto di tutte e tutti, un piccolo “manuale pratico di autodifesa”, per far scattare campanelli d’allarme e consigliare quali strategie mettere in atto. Un vademecum che sia scintilla di consapevolezza per alimentare il fuoco del conflitto: perché senza conflitto non c’è cambiamento e quindi miglioramento delle condizioni personali e collettive.
    Perché da sempre le pecore nere sono quelle che portano il nuovo e il cambiamento anche nelle famiglie “felici”. 
Redacta

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L’editore non ti ama

di Redacta tempo di lettura: 3 min
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