Avviato il dibattito sul DDL lavoro al Senato: le posizioni sui professionisti con partita Iva
24 Maggio 2012 Lavoro
E’ stata avviata al Senato la discussione sul DDL 3249, che proseguirà il 29 maggio. Sul sito del Senato è disponibile sia il resoconto stenografico completo, sia il resoconto sommario del dibattito odierno.
Di seguito riportiamo gli stralci sui passaggi che riguardano i professionisti con partita Iva, con riferimento agli aspetti contributivi, ai criteri di definizione delle “false partite iva e a cambiamenti fiscali (sulla deducibilità del costo dell’auto).
NEROZZI (PD).
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A mio parere, c’è una cosa che non funziona – lo voglio dire – nell’operazione di pulizia sulle partite IVA e ciò a causa dell’egoismo che una parte dell’impresa (ed io spero che questa mattina si apra una nuova fase al riguardo) ha dimostrato. Tentando di nascondere le false partite IVA con quelle vere sono state infatti colpite quelle vere, quei lavoratori cioè che sono davvero autonomi e fra il 33 per cento di contributi che versano (a fronte di altri lavoratori autonomi che ne versano molti meno) e quello che realmente guadagnano c’è una differenza abissale a cui dovremmo mettere mano. Tutto ciò si è fatto per coprire il 18-20 per cento di partite IVA che non sono quelle che mettono nel loro lavoro un proprio ruolo, una propria indipendenza e realizzazione.
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ICHINO (PD).
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Se consideriamo che la contribuzione previdenziale sui redditi dei veri liberi professionisti iscritti alla gestione separata dell’INPS grava interamente sui medesimi, se consideriamo che la contribuzione previdenziale grava su di essi in rapporto al costo orario complessivo in misura superiore rispetto a quanto grava sul costo orario complessivo del lavoro subordinato, se consideriamo che già oggi la contribuzione previdenziale grava sui liberi professionisti in questione in misura nettamente superiore rispetto a quanto essa grava sui redditi dei liberi professionisti iscritti a casse pensionistiche di categoria, credo che sia evidente il dovere di noi tutti di impegnarci affinché, nell’ambito di una generale armonizzazione delle aliquote di contribuzione previdenziale gravanti sui liberi professionisti, a partire dal 2013 si realizzi una revisione anche del programma che in questo disegno si esprime e sul quale ho sempre manifestato il mio personale dissenso (non solo mio personale, del resto: abbiamo sentito come anche il collega Nerozzi abbia espresso poco fa la stessa posizione) rispetto alla scelta qui compiuta dal Governo. L’aliquota sui veri liberi professionisti della Gestione Separata INPS può essere armonizzata rispetto alle altre proprio in quanto il criterio distintivo fra vera libera professione e parasubordinazione, che deve diventare lavoro dipendente protetto, si affermi in modo chiaro e netto.
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Dal resoconto sommario, apprendiamo inoltre che
Vi è stato quindi l’impegno ad armonizzare le aliquote gravanti sui liberi professionisti e a fare in modo che sia riconosciuta la distinzione tra subordinazione e parasubordinazione.
CAFORIO (IdV).
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A nostro avviso, una buona riforma, nel rispetto di quanto correttamente disposto dal nostro dettato costituzionale, avrebbe dovuto limitare le forme di lavoro parasubordinato tutt’oggi esistenti e cercare di trovare una soluzione, al fine di stabilizzare quanti da anni lavorano con tale tipologia di contratto. Al contrario, questo Governo ha inteso abolire, ad esempio, l’obbligo di specificare la causale nel primo contratto a tempo determinato. Non dovendo infatti più specificare le esigenze produttive, organizzative o sostitutive, si genera, a nostro avviso, un pericoloso precedente e un’autorizzazione, tra le righe, ad abusare dei contratti a tempo determinato.
Reputiamo altresì grave la concessione dell’anno di moratoria alle imprese nel recepimento delle nuove disposizioni sulle partite IVA. In questo modo si consentirà alle aziende di continuare a celare rapporti di lavoro subordinato e di prorogare il termine entro il quale dovranno trasformare tali rapporti in collaborazioni coordinate e continuative.
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DI NARDO (IdV).
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Abbiamo interrogato il Governo sulla gestione separata dell’INPS, che ogni anno incassa 8 miliardi di euro di contributi, ma spende solo 300 milioni di euro per prestazioni. Gran parte dei contributi previdenziali dovuti all’INPS dai parasubordinati, dai precari o da coloro che esercitano professioni non ordinistiche di fatto vengono versati a fondo perduto, perché se non si raggiunge il minimo richiesto dalla legge per maturare la pensione (il che accade sempre più spesso, dati i lunghi periodi di disoccupazione o il lavoro nero) quei contributi vengono usati per pagare le pensioni di altri, ma non danno diritto ad averne una propria. Quanti sono i lavoratori che oggi si trovano in questa situazione? Chiediamo di conoscerne il numero e le cifre dei contributi anno per anno.
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Ed ancora, abbiamo chiesto maggiore chiarezza, poiché con la formulazione attuale della riforma si corre il serio rischio che l’aumento dei contributi per i contratti di collaborazione e per le partite IVA venga fatto pagare dai datori di lavoro agli stessi lavoratori. Come pensa il Governo di contrastare la possibilità che ciò si verifichi? E, sempre a proposito di partite IVA, perché la riforma stabilisce che, laddove celino rapporti di lavoro subordinato, esse dovranno essere trasformate in collaborazioni coordinate e continuative e non in contratti di lavoro dipendente?
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CASTELLI (LNP).
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È evidente che bisogna intraprendere azioni pesantissime e drastiche. Il provvedimento al nostro esame vorrebbe intervenire per facilitare il lavoro. Ma signori, oggi non è più una questione di licenziamento individuale: le fabbriche licenziano collettivamente perché chiudono. Gli italiani, negli ultimi cinque anni, hanno creato un milione e mezzo di posti di lavoro, tutti all’estero. E non vale nemmeno l’innovazione tecnologica. Faccio un esempio: la Brembo, che fa i migliori dischi freno del mondo, e quindi è al top dell’innovazione tecnologica, ha impiantato gli ultimi due stabilimenti in Polonia e in Cina. Bisogna intervenire drasticamente sui due numeri di cui parlavo prima, e non è certo e non solo con questo provvedimento che possiamo fare qualcosa. Mi dispiace che siano assenti tutti i colleghi del PdL, ma questo è un cavallo di Troia attraverso il quale la sinistra è riuscita a irrigidire ancora di più il mercato del lavoro. Pensiamo soltanto alla questione del lavoro interinale, del lavoro a progetto o alla questione delle partite IVA. Mentre sarebbe necessario un sistema molto più elastico, noi finiamo per irrigidire anche il lavoro interinale.
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BALDASSARRI (Per il Terzo Polo:ApI-FLI).
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Il problema dal quale siamo partiti affrontando la riforma del mercato del lavoro è la situazione attuale, che vede un mercato del lavoro spaccato nettamente in due, dicotomico: da una parte coloro che sono ipergarantiti e dall’altra soprattutto i giovani, chiamati tecnicamente gli sfigati, che svolgono lavori flessibili, precari e quant’altro. È evidente che la riforma del mercato del lavoro deve ricucire queste due parti, cercando di riavvicinarle. Certamente il testo che arriverà in Aula avrà bisogno di ulteriori approfondimenti su questi aspetti.
Rispetto a quanto emerge, la mia linea personale, venendo da una tradizione liberale, sarebbe stata quella di agire su entrambi i fronti, cioè di dare maggiori garanzie a chi non ne aveva e un po’ più di flessibilità a chi aveva condizioni troppo rigide. Ma fino adesso siamo abbastanza lontani da tutto questo, perché per esempio, per incentivare il passaggio al lavoro a tempo indeterminato sarebbe bene ridurre il cuneo fiscale contributivo sul lavoro a tempo indeterminato affinché ciò si traduca in un incentivo per lavoratori e imprese a passare ad una posizione più garantita. Se invece si decide di lasciare sostanzialmente quel cuneo, aumentando gli oneri contributivi sui lavori flessibili, la scelta per me è francamente poco condivisibile.
(…)
Mi soffermo ora si due punti specifici, ma anch’essi di principio. Il primo è la questione delle auto aziendali. Venticinque-trenta anni fa siamo andati avanti per molto tempo con un chiaro abuso: l’auto ad uso privato fatta pagare come costo aziendale. Questo è stato l’inizio, la genesi, dopo di ché si ottenne un compromesso nella difficoltà di distinguere l’uso privato dall’uso aziendale. Il compromesso è stato per anni il 50 per cento. Credo che esso fosse ragionevole. Adesso, per racimolare qualche spicciolo e ricercando qualche ulteriore possibilità di entrata o di minore deduzione dei costi, questo limite si è spostato dal 50 al 30 per cento. Delle due l’una: se si verifica chiaramente che lo strumento è aziendale allora può essere dedotto pienamente con i costi; diversamente, se così non è, è un abuso e va perseguito in quanto tale. Perché altrimenti facciamo come per le pensioni di invalidità. Poichè ci sono i falsi invalidi si decide di abolire le pensioni di invalidità. È lo stesso principio.
L’ultimo argomento è quello delle partite IVA. Francamente, 35 anni fa, quando ho cominciato a lavorare, per due anni ho potuto farlo con una grande impresa alla quale fatturavo con partita IVA e per due anni avevo solo un cliente. Quindi, se fosse rimasto il vecchio testo, per i giovani di oggi questo fenomeno non sarebbe potuto avvenire. Il testo è stato modificato positivamente, ma a mio parere sempre con qualche marchingegno di eccesso burocratico: solo per quelli definiti “ad alto contenuto formativo tecnologico”. Ma in base a quali elementi si stabilirà chi è che ha un contenuto di alta formazione tecnologica? A me sarebbe andata benissimo: io avevo il PSD del MIT, ma un altro magari ha fatto un’altra scuola professionale.
Ci sono tantissime nuove professioni, soprattutto giovanili, che non prevedono l’iscrizione all’albo professionale. Anche su questo dovremmo un minimo riflettere. Io sarei favorevole a stabilire dei limiti di tempo: per i primi due, tre anni si può avere un solo cliente, poi si spera che la clientela aumenti; esaurito quel periodo di tempo, si può presumere che in realtà si tratti di un lavoratore dipendente. Un limite nel tempo ha un senso; un limite nella qualità della prestazione è molto più complicato da verificare e molto più difficile da attuare.
10 Commenti
Alliandre
ReplyIo ho paura, quando sento parlare genericamente di armonizzazione delle aliquote, perché se sappiamo che il Sen. Ichino con questo intende armonizzazione con artigiani e commercianti (ergo riduzione), gli altri cialtroni potrebbero benissimo intendere invece armonizzazione con i dipendenti (ergo innalzamento). Preferirei mille volte che si dicesse chiaro e netto “armonizzare con artigiani/commercianti e non con dipendenti/cocoqualcosa”.
“Un limite nel tempo ha un senso; un limite nella qualità della prestazione è molto più complicato da verificare e molto più difficile da attuare.”
Chapeau. (Che siano due/tre anni però, non pochi mesi)
barbara
ReplyRispetto all’aliquota commercianti. è vero che è più bassa ma tenete conto che ha un forfait di 3.000 euro anche se non si fattura nulla. Leggete questo post che ne parla. http://italiavistadalleuropa.wordpress.com/2012/05/23/doppio-inps/
Alliandre
ReplyVero, ma qui si parla di armonizzare l’aliquota tra le due gestioni, non di trasferire x legge le p. IVA vere dalla Gest Sep alla cassa commercianti.
Mario Panzeri
ReplyChapeau? A me sembra che il sen. Baldassarri, quando parla di un limite nel tempo di due-tre anni non si riferisca a tutte le partite IVA, ma soltanto a quelle di nuova apertura. Quindi non tiene affatto conto della situazione in cui, soprattutto in tempi di crisi come la presente, possono trovarsi professionisti non agli inizi dell’attività che perdono tutti gli incarichi tranne uno, che vorrebbero conservare sia in quanto fonte di reddito, seppur modesta, sia perché in grado di consente di restare “in gioco” e cercare di superare il momento difficile ampliando il numero dei committenti.
Anonimo codardo
ReplyNo vabbè… i 3k fissi della gestione commercianti non sono nulla se si è una P.IVA ‘vera’….
Alliandre
ReplyMario, vero: ma è un inizio (sempre meglio dei… quanti sono? 8 mesi? che hanno proposto nel DDL), e comunque ci vorrebbe quel po’ di elasticità mentale, da parte loro, necessaria a comprendere le situazioni di crisi.
Alliandre
ReplyAnche perché si dovrebbe poter presumere con un po’ di cervello e senza tante leggi che, in una situazione di crisi, il professionista che lavora in autonomia da vent’anni e improvvisamente ha una monocommittenza di lunga durata sia una P. IVA vera e non finta.
Mario Panzeri
ReplyAlliandre, temo che sia l’inizio ed anche la fine: oggi è trendy rivolgere tutta l’attenzione – almeno a parole – ai problemi dei giovani (anche la Fornero ha affermato recentemente che il DDL sul lavoro è pensato soprattutto per i giovani), mentre di quelli dei quaranta-cinquantenni in difficoltà non interessa niente, nemmeno per finta, a nessuno; e contare su un’applicazione razionale e ragionevole delle leggi mi sembra veramente illusorio. Inoltre, come risulta anche dalle prime testimonianze che si sono potere leggere in questo sito, le imprese cercano di stare ampiamente nel sicuro, e se non ci saranno leggi più che chiare in grado di fugare anche il più piccolo e immotivato dei loro timori, eviteranno quanto più possibile di stabilire rapporti di committenza con i professionisti non ordinisti.
Darkav
Reply@Aliandre
Ovvio. Questo è il paese dove si cerca di sopperire al buon senso con le regole, ovviamente non riuscendoci. Anche perchè più regole ci sono, meno responsabilità individuale si prendono i funzionari della PA, che infatti nelle regole ci sguazzano.
L’effetto perverso è che poi le regole -quasi sempre inapplicabili o insensate- vengono sistematicamente ignorate, salvo poi essere usate per colpire qualche povero disgraziato (di solito scelto in modo assolutamente casuale).
Tant’è vero che se in Italia applicassimo tutte le regole, saremmo più svizzeri degli svizzeri, ma questo non accade.
Benvenuto in Italia 🙂
Milo
ReplySecondo me il criterio (quasi)monocommittente=(finta) p.iva e’ da pazzi, nel senso che se proprio lo vogliono fare devono cambiare il cod. civile (come peraltro fanno nel DDL per quanto riguarda l’associazione in partecipazione).
Attualmente il cod. civile definisce in modo chiaro ed inequivocabile che cosa sia il ‘lavoro autonomo’ e non c’e’ scritto da nessuna parte che una p.iva debba essere multi-committente, neanche per un giorno, durante tutta la sua vita lavorativa.
Piuttosto, la p.iva e’ uno degli strumenti per il ‘vero’ professionista per liberarsi del capestro dei vincoli salariali dei CCNL (per chi ci riesce, ovviamente) e per intraprendere un’attivita’ che poi puo’ anche, ma non necessariamente, sfociare nella multi-committenza, ma intanto ‘protegge’ il lavoratore autonomo ad es. dai vincoli di orario, di compenso, ma anche e soprattutto dai vincoli di esclusiva imposti dai contratti di lavoro dipendente (soprattutto per le professioni intellettuali).
Se poi uno preferisce avere un committente principale, che per molti anni puo’ essere anche l’unico committente, per molti motivi (ad es. perche’ paga di piu’, perche’ garantisce in modo costante piu’ commesse, perche’ paga regolarmente, perche’ a livello di curriculum e di carriera e’ piu’ significativo, etc.) sara’ pure una libera scelta del professionista?
Ecco: se proprio si vuole colpire il fenomeno delle ‘finte’ p.iva (camerieri, commesse, muratori, etc.), allora un criterio deve esserci e non puo’ che essere la soglia di reddito, ma non da sola, e mi sembra che la nuova formulazione proposta dell’Art. 9 abbia talmente tante vie di fuga per le ‘vere’ p.iva (in particolari per le professioni riconosciute o che lo diverranno tramite ‘elenchi’ o mediante il curriculum), che il problema non si pone.
Casomai, il mio vero dubbio e’ che l’articolo non punti a colpire l’abuso, ma semplicemente a tirar su piu’ soldi possibile verso l’INPS, e questo e’ assolutamente un colpo basso…