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Libri: Ritorno a Trieste

Autore: Sergio Bologna
Editore: Asterios
ISBN: 9788893131551
Pagine: 320
Data di pubblicazione: 2019

“Se provo un qualche senso d’identità in quanto Italiano, lo percepisco solo in rapporto a una comunità linguistica, erede bene o male di un patrimonio culturale straordinario, del quale, nei limiti del possibile, vorrei cercare di essere degno. La mia specificità culturale è la mia lingua madre, non altro. La lingua, questo patrimonio inesauribile che ciascuno di noi dovrebbe trattare con il massimo rispetto di cui è capace. Tanto più ricco è questo patrimonio, quanto più è articolato in dialetti, che ne espandono a dismisura lo spazio espressivo. Mi sento un buon Italiano solo quando scrivo o parlo un italiano chiaro, scorrevole, semplice ma ricco, elegante. Cosa che ho cercato di fare per tutta la vita senza riuscirci del tutto o riuscendoci a malapena, purtroppo, ma che mi ha riempito di gioia quando potevo leggere o ascoltare qualcuno in grado di farlo.(….) Oggi escono studenti dall’Università che non sanno scrivere un italiano corretto, oggi nel linguaggio comune l’italiano è sostituito da segni, da codici impastati d’inglese, mentre i dialetti vanno scomparendo. E allora di che comunità nazionale andiamo parlando? C’è questa stridente contraddizione nella società, non da oggi (lo aveva rilevato lucidamente Zagrebelski già dieci anni fa in quelle cinquanta paginette pubblicate da Einaudi col titolo “Sulla lingua del tempo presente”). In cosa consiste la contraddizione? Quanto più forte diventa la voce dei cori da stadio che invocano un ritorno all’amor patrio, quanto più le parole “Italia” e “Italiani” vengono ripetute con enfasi come dei mantra, quanto più si soffia nella bambola gonfiabile dell’identità nazionale, tanto più selvaggio e insensato è l’oltraggio quotidiano che migliaia di persone fanno alla nostra lingua madre, tanto più volgare è il linguaggio pubblico, tanto maggiore è lo scempio quotidiano della grammatica e del lessico, come se un gorgo mostruoso ci portasse verso la bassezza, la sciatteria, il luogo comune, il rifiuto della conoscenza e dell’intelligenza. E a guidare questa corsa verso il basso sono spesso le persone ai piani alti dell’informazione o quelle di maggior contatto con il pubblico. Il tono che ha assunto oggi la nostra cosiddetta “comunità nazionale” è quello della tifoseria di una squadra di calcio. Per questo il neo-nazionalismo attuale, che in Parlamento è riuscito a portare un po’ di deputati, è qualcosa di grottesco, di stonato, di bolso, che poco ha a che vedere con il vitalismo fascista, con il suo cieco ottimismo degli Anni Venti e Trenta. E’ roba di sfigati, di poveracci, capaci solo di fare i gradassi con un click.” (dal testo: Un passato che ritorna, pp. 243-244)